Nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile di ASviS, il 23 maggio, si è svolto l’evento “Alle radici delle disuguaglianze di genere: il ruolo degli stereotipi nelle transizioni”, organizzato dal gruppo di lavoro sui Goal 1 e 10 e dal Forum Disuguaglianze e Diversità con la collaborazione del Gruppo di lavoro sul Goal 5 che ha intrecciato il tema degli stereotipi di genere con le diverse fasi di vita di una donna, e le transizioni digitale ed ecologica e che ha visto, tra gli altri, la partecipazione della Presidente dell'Associazione Nuove Ri-generazioni, Rossella Muroni.
Alcuni elementi di riflessione proposti dal dibattito.
- Un’indagine dell’ISTAT, condotta nel 2018 con il Dipartimento Pari Opportunità, rilevava che il 59% della popolazione italiana tra i 18-74 anni, senza particolari differenze tra uomini e donne, si ritrovava (molto o abbastanza) d’accordo con almeno una delle seguenti affermazioni: “per l’uomo, più che per la donna, è molto importante avere successo nel lavoro”; “gli uomini sono meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche”; “è l’uomo a dover provvedere alle necessità economiche della famiglia”. Il 22% si diceva molto d’accordo. A fronte di questi dati e del perdurare degli stereotipi di genere, è evidente che la loro conoscenza e analisi sono essenziali per individuare le radici culturali, storiche, economiche e sociali che impediscono una piena parità tra uomini e donne e per valutare le azioni e le politiche necessarie per contrastarli. Strategico è, dunque, il ruolo dell’educazione e la formazione fin dalla scuola dell’infanzia per contrastare gli stereotipi. Anche seguendo le indicazioni della Convenzione di Istanbul del 2011 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne – ratificata anche dall’Italia – assume rilievo una proposta di legge organica per promuovere percorsi di accompagnamento nelle diverse fasi della formazione dai 3 ai 18 anni che stimolino nelle bambine e nei bambini, nelle ragazze e nei ragazzi, la capacità di riflettere su affettività, relazioni, sentimenti di parità, rispetto e accoglienza. Nel corso del dibattito è stato evidenziato come il contrasto agli stereotipi di genere richieda un’attenzione al linguaggio e alla rappresentazione dei generi nei libri di testo, dove ancora gli uomini svolgono tantissime professioni, mentre le donne troppo spesso sono maestre o svolgono ruoli di cura. A tal fine, occorre monitorare che siano adottati libri di testo che rispettino le indicazioni contenute nel codice di autoregolamentazione Polite (Pari opportunità nei libri di testo) e promuovere la formazione e un continuo aggiornamento per tutto il corpo docente. Un’attenzione particolare va riposta nei media e nella pubblicità. Infine, in Italia, pur essendoci, nella fascia tra i 30-34 anni, 33,3% di laureate rispetto al 20,4% tra gli uomini, il vantaggio femminile nell’istruzione non si traduce in un vantaggio sul mercato del lavoro: il tasso di occupazione femminile è più basso di quello maschile di 19 punti percentuali; si riscontrano ancora un basso tasso di donne laureate nelle discipline STEM (gli uomini laureati in materie STEM sono il 33,7% del totale, le donne solo il 17,6%) e differenze di genere nei test scolastici standardizzati che riguardano i quindicenni e la matematica (test OCSE-PISA: differenza media di punteggio tra ragazzi e ragazze in matematica è di 16 punti in Italia contro i 5 punti nei Paesi OCSE). Nei risultati in matematica e scienza i divari di genere spesso si saldano con quelli territoriali e socio-economici: punteggi più bassi per le studentesse si rilevano in Sicilia, Sardegna, Campania, Calabria, Basilicata e Puglia. Il PNRR individua proprio nel potenziamento dell’insegnamento delle materie STEM nei diversi cicli scolastici uno degli assi del percorso per la parità. Investimenti che sarà fondamentale monitorare nei prossimi anni. Al tempo stesso è stata richiamata la segregazione formativa anche per gli uomini. Sono, infatti, troppo pochi quelli che decidono di formarsi in ruoli di cura ed educativi, e questo si riflette poi nel numero basso di insegnanti uomini nelle scuole: quella italiana è la scuola più femminilizzata d’Europa.
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In merito a dati, algoritmi, e lotta agli stereotipi non possiano dimenticarci che Il mondo della rete e dell’intelligenza artificiale è lo specchio della società, con il rischio di riflettere, perpetuare e persino amplificare gli stereotipi e le diseguaglianze sociali esistenti. Gli algoritmi si nutrono di dati e nel processo di raccolta e selezione si possono celare molteplici stereotipi e bias nei processi di reclutamento, nella diagnostica medica, nei motori di ricerca. Inoltre nei nuovi modelli di Intelligenza Artificiale generativa come ChatGpt4 l’algoritmo può catturare e riprodurre categorizzazioni esistenti nei dati, poi ripetutamente rinforzate dalla loro reiterazione. Le soluzioni individuate e le direzioni su cui lavorare sono almeno tre. La prima consiste nella sensibilizzazione degli utenti ed è legata alla trasparenza e al rafforzamento dei controlli. La seconda coinvolge chi ha responsabilità di realizzare e sviluppare gli algoritmi. La terza, infine, riguarda la regolamentazione. Per quanto riguarda la sensibilizzazione degli utenti, una maggiore trasparenza su fonte dei dati, parametri e criteri sulla base dei quali un algoritmo fornisce una risposta può promuovere un approccio più consapevole ma soprattutto sviluppare capacità critiche da parte degli utenti. Campagne di sensibilizzazione dovrebbero informare il pubblico sulle capacità ma anche i limiti e le potenziali distorsioni dei sistemi di Intelligenza Artificiale. Parallelamente occorrerebbe rafforzare gli strumenti a disposizione delle Autorità di vigilanza o delle Università e dei centri di ricerca. Andrebbero promosse metodologie comuni per monitorare bias e per progettare standard su cui testare e sviluppare gli algoritmi e, prima di questi, per valutare la qualità dei dataset da cui i sistemi “imparano e si addestrano”. Sul secondo aspetto, il punto di partenza è l’aumento della presenza delle donne nei gruppi di lavoro che progettano, addestrano o che monitorano modelli di elaborazione dei dati e algoritmi, a partire dall’educazione e dalla formazione, e pensando a una regolamentazione per le grandi aziende che operano nel settore dell’IA per garantire che i gruppi di sviluppo degli algoritmi siano il più possibile diversificati e che le persone che sviluppano le tecnologie provengano da contesti differenti in modo che la diversità venga presa in considerazione. Infine coinvolgendo attivamente gli stakeholder interessanti, come le organizzazioni che si occupano di parità di genere e gli utenti finali – integrando i loro feedback – può contribuire a garantire una prospettiva più ampia e inclusiva. Infine, il tema delle regole per rendere lo sviluppo e l’utilizzo delle intelligenze artificiali più trasparente, equo ed inclusivo. La Commissione europea ha presentato nell’aprile del 2021 una proposta di Regolamento sull’Intelligenza Artificiale (Artificial Intelligence Act) con l’obiettivo di promuovere sistemi di intelligenza artificiale sicuri ed etici, classificando le tecnologie in base ai rischi che queste pongono per i diritti fondamentali. Dopo mesi di trattative, il Parlamento europeo approverà a metà giugno una proposta legislativa volta a regolamentare l’Intelligenza Artificiale, prevedendo una serie di obblighi per i produttori, requisiti di trasparenza e sanzioni. Tuttavia, l’impatto di questo Regolamento dipenderà dalla sua implementazione e da come potrà interagire/adattarsi con l’evolvere delle tecnologie e l’emergere di nuovi rischi.
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Circa la giustizia ambientale e la lotta agli stereotipi di genere, è noto che l’impatto dei cambiamenti climatici non è lo stesso per gli uomini e per le donne. Queste ultime, secondo l’IPCC, rappresentano il 70% dei poveri del mondo (1,3 miliardi di persone) e dipendono in misura maggiore per il proprio sostentamento dalle risorse naturali. Le donne soffrono maggiormente scarsità di acqua, impoverimento delle terre, inquinamento e fenomeni climatici estremi, che possono portare, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, a peggioramenti più acuti della salute mentale, di essere soggette a violenze domestiche e avere minore sicurezza alimentare. A livello globale, secondo l’ONU, l’80% degli sfollati a causa di disastri ambientali sono donne. Richiamata durante il convegno l’analogia tra il corpo delle donne e dell’ecosistema, entrambi messi fuori dal mondo del potere e delle decisioni. Per questo è importante adottare un approccio sistemico per risolvere una crisi sistemica come ricordato dalle molte leader eco-femministe e attiviste per il clima, che a tutte le latitudini si battono per la giustizia ambientale e sociale, ribadendo la necessità di considerare le lotte in modo intersezionale e contribuendo a includere chi non ha voce, e chi subisce maggiormente le conseguenze dei cambiamenti climatici. Per poter fare tutto questo servono dati e analisi disaggregati su impatti di cambiamenti climatici su genere e un’integrazione della chiave di genere in tutte le politiche ambientali come previsto dal Gender Action Plan della COP; partecipazione e dialogo sociale, e monitoraggio dei risultati; aumento della rappresentanza politica femminile che è studiato possa facilitare l’adozione di politiche più severe in materia di cambiamento climatico; accompagnamento e rafforzamento delle innovazioni green, dell’economia circolare e delle comunità energetiche che spesso sono guidate da donne.
- Stereotipi di genere nel terzo tempo della vita mettono in evidenza come il mondo in cui si invecchia dipende molto dalla vita che si è condotta e spesso le donne arrivano al terzo tempo della vita in condizioni di salute peggiori, anche a causa della grande quantità di lavoro, anche di cura, che hanno svolto. A fronte del numero di anziani e anziane che cresce – l’ultimo censimento ISTAT ci dice che gli over 65 rappresentano il 23,5% del totale ed entro il 2050 questa percentuale potrebbe raggiungere il 34,9% del totale – l’assistenza a questa fascia di popolazione è quindi una priorità sociale che investe milioni di famiglie. Ed in particolare è una priorità per le donne: sono loro, infatti, a prestare in grande maggioranza assistenza familiare agli anziani nel nostro Paese e nelle RSA la prevalenza femminile è ampia, sia tra gli ospiti delle strutture che tra gli operatori. Il Forum Disuguaglianze e Diversità è una delle organizzazioni che sostengono il Patto per un Nuovo Welfare sulla non-autosufficienza e la riforma del settore, la cui attuazione deve essere realizzata dal Governo, entro gennaio 2024, attraverso i decreti delegati. Tra gli obiettivi quello di programmare, realizzare e monitorare in modo integrato l’insieme degli interventi del settore in modo da assicurare risposte unitarie e adeguate per i servizi di assistenza pubblica agli anziani non autosufficienti e di affiancamento e supporto ai loro familiari. La riforma mira a garantire un sostegno efficace e personalizzato a tutti coloro che si trovano ad affrontare difficoltà ma anche per affiancare le loro famiglie e ridurre il carico di cura, in particolare sulle donne. Affinché questo si realizzi nella declinazione dei dettagli sulla sua attuazione e sulle risorse destinate all’implementazione, sarà importante declinare bisogni e interventi in funzione delle differenze di genere sia per gli interventi integrati socio-sanitari (con attenzione alla medicina di genere) sia per quelli relativi agli ambiti relazionali e di socializzazione.