di Gaetano Sateriale, coordinatore CERS2030 e Ferrara 2030 (componente del Comitato Scientifico dell'Ass. Nuove Ri-Generazioni)
Il libro di David Allegranti “Quale PD”, Laterza, è una sorta di antologia di interviste degli attuali dirigenti del PD, da cui emerge un quadro a 360 gradi dei problemi del partito e delle opinioni dei singoli. Tanti protagonisti che dicono cose sensate sugli errori compiuti e da non ripetere e che parlano (un po’ meno) delle cose che è necessario fare per “rigenerare” un forte partito di sinistra. Nella speranza che la Segreteria guidata dalla Schlein riesca a raggiungere questo obiettivo da qui alle prossime elezioni europee.
È più giusto partire da una nuova identità di sinistra del PD o dal quadro delle necessarie alleanze di centro-sinistra? Io penso sia giusto partire dalla ricostituzione di una identità di sinistra ma a due condizioni: la prima è che non sia una identità interna (valida solo per il gruppo dirigente) ma percepibile e diffusa nella coscienza dei cittadini-elettori, la seconda che sia una identità programmatica e non di immagine e slogan.
Nel libro si parla di molti temi (riforme fatte dal PD, errori compiuti) ma se ne tralasciano molti altri, perché le radici del declino della sinistra sono più antiche di quelle del PD e risalgono al trionfo del “liberismo” Reaganian-Thatcheriano che affidava le magnifiche sorti progressive dell’umanità alle dinamiche dei mercati nella globalizzazione economica e (soprattutto) finanziaria. Ci abbiamo creduto anche noi (o almeno una parte dei dirigenti della sinistra italiana) e le diseguaglianze sono cresciute in maniera esponenziale: economiche, sociali, ambientali, territoriali, culturali, ecc. Altrimenti non si capirebbe perché i DS al governo (ben prima di Renzi) hanno deciso che era meglio rinunciare alla concertazione con le parti sociali. E perché Renzi ha deciso che oltre alla “rottamazione” interna bisognava anche realizzare la rottamazione delle relazioni esterne al partito (la cosiddetta “disintermediazione”) per rafforzare la sinistra.
È stata colpa di una cultura leaderista che si è impadronita del PD? Questa considerazione che spesso spunta nel libro di Allegranti a me pare poco approfondita e motivata. I leader in politica ci sono sempre stati, anche a sinistra, fin dal Pci e dal Psi. Ma erano persone autorevoli non autoritarie: venivano da grandi scuole ed esperienze personali, avevano seguito un lungo iter interno (non erano dirigenti piovuti dall’esterno), si circondavano di persone competenti (non solo compiacenti). L’idea del leader che risponde direttamente e solo al suo popolo è la degenerazione del modello, quella che porta anche a sinistra a sperimentare forme di populismo importato. Erano i militanti di partito che andavano nei quartieri ad ascoltare e parlare con la gente (non il leader a concedere selfie). I media sono utili ma non possono essere l’esclusivo mezzo di comunicazione con iscritti ed elettori: i media consentono di cambiare idea ogni giorno senza che nessuno ne chieda conto, il confronto di persona lo impedisce.
Quindi è il liberismo e non il leaderismo in sé che produce disastri.
Vi sono poi molte rimozioni nelle interviste raccolte nel libro: comprensibili ma non accettabili. Ad esempio l’errore del Titolo V della costituzione, per inseguire l’onda federalista della Lega. L’abolizione delle Province e degli enti di governo del territorio (e il conseguente abbandono dei Comuni minori) fatta con la legge Delrio. La riforma delle pensioni subita dal Governo Monti (di cui il PD era parte passiva). La precarizzazione del lavoro (subita o accettata non sempre passivamente) fin dalla fine degli anni 90 che produce disprezzo del lavoro (il lavoro “come uno scarto”, dice Papa Francesco). La riduzione del peso dei sindacati (avviata dal Governo D’Alema) che produce spostamento anche nel voto operaio. L’idea che la progressiva privatizzazione del sistema sanitario nazionale (e il suo smembramento regionale) potesse essere compatibile con l’articolo 32 della Costituzione. La mancata riforma della legge elettorale.
Ma incombe su tutte le pagine e su tutte le interviste un vuoto, una rimozione ancora più grave e strategica. Cosa vuol dire oggi essere un partito di sinistra, avere una bussola che ti fa stare sempre a sinistra, indipendentemente dalle alleanze politiche da farsi (e da non compromettere mai con la propria identità)? Nel mondo, in Europa, in Italia, crescono enormemente le diseguaglianze (i ricchi più ricchi i poveri più poveri) non solo economiche ma sociali, culturali, sanitarie, demografiche, di genere, ecc.: ridurre le diseguaglianze è l’asse di una vera politica di sinistra. Ridurle per alcuni (i propri referenti) e ignorare il resto è politica di destra. La difesa corporativa dei benefici dei propri iscritti è di destra (anche quando la fanno associazioni e movimenti di base). Questa come bussola di riferimento strategico.
Quanto al contenuto programmatico di una nuova sinistra, c’è da farsi cadere le braccia: nel libro “Quale PD” nessuno cita due contributi completi e fondamentali, di portata globale, che sono veri ed attuali da molti anni: l’Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile: ambientalmente, socialmente, economicamente, istituzionalmente (e, aggiungiamo noi), politicamente sostenibile e le encicliche di Papa Francesco che legano indissolubilmente il futuro ambientale del pianeta con quello sociale, gli uomini, il territorio con la biodiversità. È già tutto scritto con precisione analitica dal 2015, non c’è da inventare nulla. Resta solo da studiare. Sì, per costruire una nuova cultura di sinistra è necessario rimettersi a studiare e sperimentare sul campo: le enunciazioni non bastano, gli slogan elettorali tanto meno.