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Disegno disequalitySui quotidiani è apparsa la notizia, tratta da dati dell'ISTAT pubblicati a luglio, che viviamo in una società disuguale dove la ricchezza che possiedi, il genere a cui appartieni e il territorio in cui risiedi influiscono sull’aspettativa di vita.

Tra i 30 e i 69 anni il tasso di mortalità dei laureati è di 21 decessi ogni 10.000 persone. Il tasso tra coloro che non hanno neppure finito le scuole medie è di 54/10.000. Ma perché un laureato ha più possibilità di sopravvivere rispetto ad un non laureato? E perché tra i 40-50enni i decessi delle persone con la licenza elementare o media sono il doppio rispetto a coloro che hanno un titolo di studio superiore? La risposta è da ricercarsi nel lavoro svolto dalle persone che non hanno studiato: di solito chi ha studiato meno svolge o ha svolto un lavoro più faticoso. Anche il fattore economico ha un peso: un laureato in media guadagna di più e quindi ha delle condizioni di vita migliori.

Potremmo dire che non è una novità, in tutti i sensi: il titolo di studio è infatti stato utilizzato per studiare le diseguaglianze sociali nella mortalità in quanto è frequentemente considerato la migliore proxy della condizione socio-economica poiché fortemente correlato con altre misure di posizione sociale.
Ed è da tempo risaputo che la salute ha radici sociali ed ambientali, radici che oggi l’evidenza delle disuguaglianze sociali di salute ci restituisce più attuali che mai.

Figura 4 Relazione tra PIL pro capite e Aspettativa di vitaSu scala planetaria la curva di Preston [2003] descrive una chiara relazione tra reddito (PIL procapite) e speranza di vita. Condizioni individuali di partenza diseguali (classe sociale) e un contesto caratterizzato da una diminuzione dell’occupazione, una crescente insicurezza, aumento della frammentarietà e precarietà del lavoro oltre a peggioramento delle condizioni retributive e della qualità del lavoro, rischi crescenti da indebitamento, abitazioni insalubri o inadeguate, riduzione dei servizi e trasferimenti assistenziali pubblici, mancato accesso alle opportunità ambientali, infrastrutturali, educative, ecc. non possono che favorire e alimentare le disuguaglianze di salute favorendo la frequenza e la gravità di alcune malattie oltre all’eccesso di mortalità della bassa rispetto all’alta istruzione intorno al 50-90% in tutti i Paesi europei. Vi sono poi strette interazioni con altri caratteri all’origine di potenziali disuguaglianze come il genere, l'età, l'origine etnica.

Non a caso le raccomandazioni internazionali verso una promozione della salute attenta ai determinanti sociali, ha dato vita alla strategia "Health in All Policie" (la salute in tutte le politiche). Strategia che dovrebbe essere il pane quotidiano per i nostri politici, ma il dato di 95,3 milioni di persone (che rappresentano il 22% della popolazione) a rischio di povertà o di esclusione sociale nell'UE, dice tutt'altro.

La sperequazione dei guadagni, i cambiamenti climatici che hanno le conseguenze più gravi nei Paesi più poveri e la crescente carenza d’acqua, che in molte aree del mondo è ormai un privilegio anziché una necessità collettiva, la percentuale della ricchezza concentrata nelle mani di pochi e i flussi migratori in aumento dal Sud del mondo sono, potremmo dire, "statistiche a cielo aperto", sotto lo sguardo di tutti.

Schema disuguaglianze sociali di salute 1Per quanto riguarda il nostro Paese, tutti gli studi comparativi che hanno valutato lo stadio di sviluppo delle iniziative di contrasto delle disuguaglianze di salute nella politica dei vari paesi europei vedono "l’Italia sospesa in una fase di stallo, intermedia tra una consapevolezza iniziale dell’esistenza e dell’importanza del problema e l’incapacità di darvi seguito con programmi di azione coordinati, coerenti e non settoriali. La responsabilità di questa impasse va da un lato alla povertà di cultura e tradizione empirica della politica nostrana, che preferisce argomentare di equità sul piano delle controversie etiche ed ideologiche piuttosto che misurarsi con i dati. D’altro lato la colpa è da attribuire anche alla natura episodica e monodisciplinare degli sforzi di ricerca finora realizzati in Italia su questi temi. In Italia è ancora molto difficile misurare sistematicamente le covariate sociali in associazione con gli indicatori di salute, e sono carenti i sistemi di indagine longitudinale multiscopo, gli unici che sarebbero in grado di disarticolare i meccanismi di generazione delle disuguaglianze di salute lungo le traiettorie di vita ("Le disuguaglianze di salute: un sfida per le discipline che si occupano di valutazione delle politiche", G. Costa, Dipart.di Sanità Pubblica, Univiversità di Torino Serv. di Epidemiologia, Regione Piemonte Centro riferimento CCM per l’Equità nella Prevenzione e per la Salute in Tutte le Politiche).

Quindi, la statistica è al servizio di chi e per fare cosa?

La statistica ha accompagnato decisioni importanti e talvolta le ha anticipate, o ha addirittura concorso a manipolarle, pensiamo ad esempio al fatto che "con l’avvento del fascismo in Italia e del nazismo in Germania, ma anche nel periodo del comunismo nell’Unione Sovietica, la statistica diventa il cuore del controllo sociale del Paese" ed è notizia che riguarda il nostro tempo, dopo aver toccato il dato più alto di disoccupazione giovanile 21,3%, il governo cinese ha deciso proprio in questi giorni di sospendere il rilascio mensile dei dati sulla disoccupazione giovanile motivando la decisioni con il fatto che l'economia e la società sono in continuo sviluppo e cambiamento e il lavoro statistico deve essere continuamente migliorato.

Non a caso, Enrico Giovannini, quando ha ricoperto la carica di presidente dell’Istat (2009-2013), ha sostenuto che sono tre sostanzialmente i profili di assoluta centralità della statistica nel campo dei nuovi equilibri tra istituzioni e società: la qualità delle rilevazioni (metodologia, ampiezza, profondità); la trasparenza e l’indipendenza del trattamento degli esiti statistici; l’innovazione e l’efficacia di “racconto” di tali esiti.

La serietà dei dati è una cosa, come li si leggono un’altra. Vero. E il fatto che certe informazioni spesso vengono sottovalutate o, come succede da tempo in Italia, del tutto ignorate, è un'altra sacrosanta verità.

Un'altra verità, conosciuta da molto più tempo è che l’eguaglianza dei lavori, quindi delle lavoratrici e dei lavoratori, a fronte dei capitalisti, e la diseguaglianza rispetto a questi ultimi presuppone una distinzione tra chi si appropria della potenza sociale rappresentata dal capitale e chi la subisce. Quindi come si distribuisce il reddito all’interno del sistema economico? Qual è la relazione tra distribuzione di reddito e benessere di una comunità? 

Oggi bisognerebbe essere capaci di andare" oltre il racconto" statistico. La qual cosa non riguarda solo i politici, ma la coscienza di ognuno.

Per la Redazione - Serena Moriondo