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FOTO PRESENTAZIONE INDAGINE CGIL SUL LAVOROSalari, occupazione, qualificazione e organizzazione del lavoro sono le questioni centrali per la maggior parte delle lavoratrici e lavoratori che hanno risposto a oltre 50 mila questionari (validi 31.014), per l’inchiesta della Cgil nazionale coordinata dalla Fondazione Di Vittorio in collaborazione con le categorie e le strutture sindacali sparse sul territorio nazionale.

Il 42% tra gli intervistati ritiene che il contrasto alla precarietà sia una priorità dell’azione sindacale e il 68,6% del campione teme che nella propria azienda si andrà a una riduzione di personale. Due dati che fanno ben comprendere le preoccupazioni di chi, pur avendo un lavoro, teme per il proprio futuro e che non trova alcuna rassicurazione dalle politiche messe in campo da questo Governo di destra, a partire dalla negazione del salario minimo.

Il 53,8% delle donne guadagna fino a 20 mila euro l’anno Gli uomini in questa situazione sono il 30,7%. Anche questi dati confermano un aspetto lavorativo che la Cgil denuncia da tempo: che continua una grave discriminazione sul piano retributivo a scapito delle donne. Il diritto alla parità di retribuzione tra donne e uomini per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore è sancito sia dalla nostra Costituzione sia dalla Comunità europea sulla parità di retribuzione; tuttavia, l'attuazione e l'applicazione di questi principi si sono sempre rivelate difficili. In parte, ciò si deve al fatto che la discriminazione retributiva spesso non è nemmeno rilevata proprio a causa di una mancanza di trasparenza retributiva da parte delle aziende. Le differenze si ampliano con l’età, durante la carriera e con l’aumentare dei bisogni familiari. Con salari ridotti e meno denaro da investire, in età avanzata cresce dunque il rischio di difficoltà economiche in età pensionabile ed esclusione sociale. Non a caso il Consiglio europeo (in Europa il divario retributivo di genere supera il 5%), per la prima volta, ha incluso la discriminazione intersezionale (ossia fondata su una combinazione di molteplici forme di disuguaglianza o svantaggio, come il genere e l'etnia o la sessualità) nell'ambito di applicazione della direttiva sulla trasparenza retributiva (aprile 2023) che obbliga le imprese, con più di 250 dipendenti, a riferire annualmente all'autorità nazionale competente in merito al divario retributivo di genere all'interno della propria organizzazione (dal momento del recepimento della direttiva da parte gli Stati membri dell'UE, la stessa verrà estesa anche alle imprese fino ai 100 dipendenti, con obbligo a riferire ogni tre anni).

Altro punto dolente è la qualificazione del lavoro: il 38% degli intervistati non ha svolto nessuna attività di formazione all'interno della propria azienda in una fase di transizione, come quella attuale, dove è richiesto che gli investimenti siano sempre più guidati dai criteri Esg (Environmental, social and corporate governance) non solo da punto di vista puramente economico, ma anche aspetti di natura ambientale, sociale e di organizzazione aziendale e, quindi, su asset che permettano nuovi modelli produttivi e un’attenzione maggiore ai temi del cambiamento climatico e della sostenibilità. Attività che, viceversa, richiedono e richiederanno crescenti capacità professionali, a cui il lavoro deve saper rispondere in termini di autonomia e di formazione continua. Non è un caso che solo il 37,8% delle aziende italiane, prevalentemente di grandi dimensioni, manifatturiere, che operano nel nord Italia e alcune imprese della ricezione turistica e alberghiera presenti anche al Sud, ha avviato investimenti in questa direzione.

goal 8 Lavoro dignitosoDalla lettura complessiva dell’inchiesta ne emerge una rappresentazione dei posti di lavoro ben lungi dall’essere - come auspicava Bruno Trentin, nell’ impegno sindacale di una vita - :“dei luoghi dove si mette in opera un progetto personale, dove ciascuno è messo alla prova, e allo stesso tempo un luogo dove la soggettività della persona si esprime attraverso le sue opere, la sua socialità e il posto che essa gli dà nella società”, dove un diverso modo di lavorare e di identità personale coincide con la realizzazione soggettiva della persona, attraverso il “rifiuto cioè del lavoro coatto” che rappresenta il lato oppressivo del rapporto di lavoro. 

Per approfondire guarda la presentazione QUI

Per la Redazione - Serena Moriondo