contattaci2
Chiamaci: 06 441 146 25
Scrivici una e-mail
area riservatacerca
cercaarea riservata
logo rigenerazioni NEWS 800x100 trasparente

Foto anziano disabilità non autosufficienza rsaAl momento ancora nulla è previsto nella proposta di Legge di bilancio del Governo per l'attuazione della Legge 33, la riforma  che contiene le “Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane”, approvata lo scorso marzo.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede l'obbligo di emanare i decreti attuativi della riforma entro gennaio 2024, non sappiamo se la data verrà rispettata ma è certo che, in mancanza di risorse, non potranno trovare applicazione. La legge prevede l’istituzione di un “ Sistema nazionale per la popolazione anziana non autosufficiente ” (SNAA), con il compito di realizzare una programmazione integrata dei servizi, monitorarne e valutarne l’andamento. Il CIPA (Comitato interministeriale per le politiche in favore della popolazione anziana).ha poi il compito di  adottare un Piano nazionale dell’assistenza, sulla base del quale Regioni ed Enti locali adottano a loro volta e coerentemente con il primo, i Piani territoriali.

Quindi, l’insieme dei diversi interventi per la non autosufficienza dovranno essere programmati dai diversi attori responsabili ad ogni livello di governo: Stato, Regioni e territori. Ma senza le risorse non si realizzerà nulla di tutto questo. Le famiglie però sono anni che attendono servizi e supporto: in Italia vivono circa 3 milioni e 800 mila persone anziane non autosufficienti. Diventeranno 4,4 milioni nel 2030 e 5,4 milioni nel 2050. Questo dati dovrebbero bastare per far comprendere l'urgenza di questi provvedimenti.

Il Patto per la non autosufficienza, una rete di soggetti della societàù civile, tra cui lo SPI CGIL, che ha ha formulato dettagliate proposte per i decreti legislativi, denuncia il ritardo con cui il Governo Meloni si sta muovendo. Anche tenendo conto degli stretti vincoli di spesa che ne limitavano la messa in opera, era lecito aspettarsi dalla legge di bilancio una manifestazione concreta di attenzione verso la riforma – attenzione che non può prescindere dalla destinazione di risorse economiche, se si vuole uscire dalle pure affermazioni di principio. 

L’attuale Fondo non autosufficienza - ex art. 1 c. 1264 Legge 296/2006 - pari a 913 milioni euro nel 2024 - è del tutto insufficiente a sostenere il connesso Piano nazionale 2022-2024 (Dpcm 3.10.2022). Come è noto, il Fondo in questi anni è stato destinato a finanziare misure rivolte ad una minoranza di persone. Un’inezia rispetto ai 3,8 milioni di persone in condizione di non autosufficienza stimati dall’Istat.

Considerato che il Piano 2022-2024 si pone dichiaratamente come strumento di passaggio verso l’attuazione del nuovo sistema previsto dalla legge 33/2023, l’incremento del fondo NA va assicurato già dal 2024 (obiettivo principale è noto: l’attuazione dei LEPS di processo e l’avvio dei LEPS di erogazione per la domiciliarità), per proseguire poi progressivamente a sostegno del nuovo Piano NA previsto dalla legge 33/2023. Il fondo NA dovrà peraltro assicurare anche le risorse aggiuntive per la sperimentazione della “prestazione universale”.

Anche sul piano sanitario le cose non vanno affatto bene: le associazioni aderenti al Patto hanno chiesto l'adeguamento progressivo, con una previsione pluriennale, del Fondo Sanitario Nazionale, drammaticamente sottofinanziato, per raggiungere il livello dei principali Paesi UE – OCSE. Priorità assoluta è lo sblocco delle assunzioni, indispensabile anche per assicurare il personale necessario ad attuare la riforma per il potenziamento dell’assistenza territoriale (DM 77/2022) e la stessa legge 33/2023.

Le associazioni avevano chiesto un miliardo e 300 milioni per partire, su un budget complessivo di legislatura tra i 5 e i 7 miliardi ma, al momento, la proposta di Legge di bilancio non prevede risorse vincolate per la riforma della non autosufficienza.

I punti fondamentali dai quali iniziare – gradualmente ma da subito – per mettere in atto la riforma, sostiene il Patto, sono principalmente un'assistenza domiciliare specificamente progettata per la non autosufficienza, finora assente – quella attuale è a carattere unicamente sanitario e non sociale, limitata nel tempo (non oltre due o tre mesi) e nell'intensità delle prestazioni (circa 18 ore l'anno), destinata a pazienti in uscita da un ricovero ospedaliero. Il PNRR prevede attualmente il raddoppio della platea delle persone destinatarie, fino al 10% di chi ha più di 65 anni, senza però modificarne le caratteristiche. La nuova assistenza domiciliare dovrebbe differenziarsi per la lunga durata, adeguata ai bisogni delle persone anziane non autosufficienti, per la molteplicità degli interventi sanitari e sociali previsti e per il coordinamento tra Asl e Comuni.

Nei servizi residenziali dovrebbe essere migliorata la qualità dell'assistenza fornita alle persone anziane che ne sono ospiti con un tempo di assistenza maggiore rispetto a quello attuale da parte dle personale dedicato.

Nei trasferimenti monetari, la prestazione universale deve integrare l'indennità di accompagnamento, che oggi è uniforme anche in presenza di bisogni differenziati. Gli importi della prestazione universale devono essere superiori per chi versa in condizioni più gravi e per chi sceglie di impiegare la prestazione per ricevere servizi di qualità, assumendo come badanti persone formate e regolarizzandole. 

Infine, occorre introdurre un sistema di monitoraggio dei livelli essenziali di prestazioni sociali (Leps) finora mancante, che consenta alle Regioni di verificare l'adempimento effettivo di quelli teoricamente già in essere – percorso assistenziale integrato, assistenza domiciliare sociale, dimissioni protette, servizi sociali di sollievo, servizi sociali di supporto.

La stessa situazione di stallo si verifica per le altre due riforme incardinate nel Pnrr che dovevano funzionare in parallelo con quella per la non autosufficienza: quella sulla disabilità, realizzata con la legge delega 227/21 e di competenza del Ministero per le disabilità, e quella sulla medicina territoriale (Decreto ministeriale DM 77/2022), di competenza del Ministero della Salute. Quest'ultima prevedeva per ciascun distretto delle Asl una centrale operativa territoriale, a cui dovevano afferire un ospedale della comunità (uno ogni 100 mila abitanti), due case della comunità (una ogni 40-50 mila abitanti) e tutta la rete di assistenza domiciliare, residenza sanitarie assistenziali e hospice. La recente rimodulazione del Piano Nazionale però ha introdotto sostanziali ridimensionamenti rispetto a questi standard: sono state eliminate così 414 case di comunità su 1.350, 76 centrali operative territoriali su 600, e 96 ospedali di comunità su 400. 

Foto bandiera spi 2Le case della comunità, in particolare, sarebbero state la sede naturale dei Punti unici di accesso previsti dalla Legge 33, dove persone anziane e caregiver avrebbero potuto ricevere informazioni e supporto per una presa in carico. La mancanza del personale, i vincoli assunzionali e ora anche le difficoltà a reclutare per le case di comunità il personale sanitario, in particolare di medicina generale, e l'impossibilità di destinare alle spese correnti di funzionamento le risorse dei fondi del PNRR, vincolate a nuovi investimenti, stanno creando ulteriori problemi alla realizzazione della riforma sulla non autosufficienza.

Lo SPI CGIL si è mobilitato da tempo per far conoscere i documenti prodotti dal Patto  alle Istituzioni locali, Comuni, ASL, Distretti Sanitari e Ambiti Territoriali Sociali (ATS) che sono i principale attori territoriali per l’attuazione della Legge 33/2023. Di fronte a questi inaccettabili ritardi, il Segretario Generale del sindacato pensionati della Cgil, Ivan Pedretti,  ha recentemente dichiarato: “Il nostro Paese ha bisogno di investimenti: interventi che possano mettere lo Stato nelle condizioni di rispondere alle necessità dei cittadini. Servono più welfare, più infrastrutture, più sanità. Il governo, invece, dirotta risorse dal pubblico al privato con gravissime conseguenze per quanto riguarda il diritto alla salute dei cittadini. Lo dimostra la legge di bilancio e lo prova anche la gestione delle risorse del Pnrr”. Pedretti ha poi aggiunto: “Dobbiamo contrastare questa tendenza che fa avanzare l’interesse privato e lobbistico a discapito di quello generale e che attribuisce maggior valore al profitto economico e alle privatizzazioni che a diritti fondamentali dei cittadini come quello alla salute. Le nostre mobilitazioni, le lotte e gli scioperi che verranno hanno anche questo obiettivo.”

Per la Redazione - Serena Moriondo