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Foto Al JaberIl Centre for Climate Reporting, come oramai tutti sanno, ha diffuso l’audio di un evento online del 21 novembre, in cui Sultan Ahmed Al-Jaber, CEO della principale compagnia petrolifera emiratina e Presidente della COP 28, sostiene che "non esiste alcuna scienza, né alcuno scenario, che affermi che l’eliminazione graduale dei combustibili fossili sia ciò che ci porterà (a limitare il riscaldamento globale) a 1,5°" e aggiunto che l’abbandono graduale (phase out) dei combustibili fossili non consentirebbe uno sviluppo sostenibile "a meno che non si voglia riportare il mondo all’età della pietra".

David King, presidente del gruppo di scienziati Climate Crisis Advisory Group., ha commentato: “È incredibilmente preoccupante e sorprendente sentire il presidente Cop28 difendere l’uso di combustibili fossili. È innegabile che limitare il riscaldamento globale a 1,5 C significa che tutti dobbiamo ridurre rapidamente le emissioni di carbonio e eliminare gradualmente l'uso di combustibili fossili entro il 2035. L’alternativa è un futuro ingestibile per l’umanità".

Il dottor Friederike Otto, dell’Imperial College di Londra, nel Regno Unito, si è associato al collega, aggiungendo: “La scienza del cambiamento climatico è stata chiara per decenni: dobbiamo smettere di bruciare combustibili fossili. Un fallimento nell’eliminazione graduale dei combustibili fossili alla Cop28 metterà diversi milioni di persone più vulnerabili nella linea di tiro dei cambiamenti climatici. Questa sarebbe una terribile eredità per Cop28” e ha respinto l’affermazione che i combustibili fossili siano necessari per lo sviluppo nei Paesi più poveri, affermando che l’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici “dimostra che gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite non sono realizzabili continuando le attuali economie ad alte emissioni guidate dai fossili. [Ci sono] massicci co-benefici che vengono con il passaggio a un mondo libero dai fossili”.

Al Jaber si è difeso portando in conferenza stampa Jim Skea, professore di sostenibilità energetica all'Imperial College di Londra e presidente dell'IPCC, senza però ottenere la redenzione sperata. 

"La conferenza stampa di Sultan al Jaber - ha spiegato il giornalista Ferdinando Cotugno che cura il servizio da Dubai per il quotidiano Domani: "è stata un momento interessante più per chi si occupa di giornalismo che per chi si occupa di clima. Dopo la sua dichiarazione iniziale, il petroliere emiratino è sembrato sinceramente in difficoltà quando la moderatrice ha aperto lo spazio delle domande dei giornalisti e si sono alzate in simultanea quaranta mani tutte insieme, come guidate da una molla. C'era tutta la ferocia dei migliori reporter climatici del mondo in quella scena, un tipo di dinamica a cui chi lavora e comanda in una monarchia assoluta non è abituato. Le conferenze sul clima sono un processo fondato sulle regole democratiche, anche quando si svolgono in paesi non democratici: il lavoro dei giornalisti e la partecipazione della società civile sono garantiti dall'Onu. Nel confronto tra Sultan al Jaber e i giornalisti si è visto tutto questo attrito tra come funzionano le cose negli Emirati e come funzionano in un contesto democratico. In quel momento la democrazia mi è piaciuta più che mai. In quel momento colleghe e colleghi mi sono piaciuti più che mai." e ha aggiunto "Non era mai successo che il presidente di una COP dovesse convocare una conferenza stampa urgente per confermare che lui crede nella scienza, per difendersi dall'accusa di negazionismo, come un Prestininzi qualsiasi. Tutto il processo messo in piedi dalle Nazioni Unite trent'anni fa è fondato su una cosa sola: convertire le conoscenze scientifiche in decisioni politiche. Per questo motivo è stato così grave lo scoop di Guardian e Center for Climate Reporting di due giorni fa, il video in cui Sultan al Jaber sosteneva, in una conversazione privata ma politica (con l'ex inviata del clima dell'Irlanda), affermazioni contrarie al consenso della scienza sulla necessità di uscire dai combustibili fossili per contenere l'aumento delle temperature entro 1.5°C. Il video andava anche oltre il conflitto di interessi e minava il fondamento stesso della COP: un'istituzione in cui la scienza è regina. 97mila persone sono qui perché credono nella scienza. Un petroliere potrà anche guidare una conferenza sul clima, a voler essere molto inclusivi (molto, molto, molto inclusivi), un negazionista no.

Non è facile individuare una strada comune. Ll'Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI),  specializzato in analisi delle tendenze politico-economiche globali, sostiene che UE e Stati Uniti hanno scelto due modelli di transizione costosi, entrambi hanno un fragile sostegno politico e nessuno dei due approcci sembra adatto ai Paesi in via di sviluppo. 

Siamo quindi d'accordo che anche i Paesi e le aziende focalizzati sui combustibili fossili devono essere parte della soluzione ma questo è possibile solo se non negheranno l'evidenza e saranno disposti ad aprire una trattativa vera. 

Infografica consumo rapporto oxfamMentre, infatti, Oxfam, in un nuovo Rapporto, denuncia che l'1% più ricco del mondo inquina quanto i due terzi più poveri, a Dubai si dà sfoggio di ricchezza e potere, quelli dei Paesi e delle aziende che hanno in mano l'estrazione e il commercio del petrolio a livello globale, in grado di condizionare, nel corso della COP, gli interventi di molti invitati importanti.  "I super-ricchi - ha detto Amitabh Behar, direttore esecutivo ad interim di Oxfam international, in occasione della pubblicazione del rapporto “Climate equality: a planet for the 99%" -  ”stanno saccheggiando e inquinando il pianeta fino al punto di distruggerlo, lasciando l’umanità soffocata dal caldo estremo, dalle inondazioni e dalla siccità”. A lato infografica che descrive le emissioni di consumo annue pro capite, per fascia di reddito, per il 1990, il 2019 e il 2030.
(Fonte: Oxfam/SEI).

Foto Tina Stage

Nel 2019, 77 milioni di persone ha prodotto un inquinamento da carbonio pari ai due terzi più poveri dell’umanità (cinque miliardi di persone). Difficile ignorare questa doppia ingiustizia sociale e ambientale tanto più che questi comportamenti “fuori misura” causeranno entro il 2030, secondo l’Oxfam, 1,3 milioni di morti in più legati alle temperature estreme, un numero più o meno equivalente alla popolazione di Milano.

Tina Stege, considerata una delle figure più carismatiche dell'intera conferenza, inviata per il clima delle Isole Marshall, un arcipelago dell'Oceania appartenente a AOSIS, Alliance of Small Island States, l'alleanza dei piccoli stati isola nazioni "zattere di sabbia che rischiano di sparire inghiottiti dalla crisi climatica", ha ribadito al  Sultan Ahmed Al-Jaber che: "le rinnovabili sono metà dell'equazione, che non ha senso senza l'altra metà: il phase-out delle fonti fossili". "Noi siamo qui per fargli rispondere di questo impegno."

Ci auguriamo, per tutti noi, che non sia sola.

Per la Redazione - Serena Moriondo