A Vanuatu, un arcipelago di una quarantina di isole che compongono lo stato insulare dell'Oceania, a 2000 km dall'Australia, l'ultimo dei cicloni consecutivi ha colpito 250.000 persone, l’80% della popolazione. I suoi abitanti, presenti con una delegazione a COP28, dichiarano: "Ci stiamo provando ad adattare, quello che non possiamo fare è passare la vita a ricostruire".
La crisi climatica asseterà il mondo. Due miliardi di persone non hanno accesso adeguato all'acqua e potrebbero salire a 3 miliardi entro il 2050. In soli 6 anni il numero di persone colpite dalla fame è più che raddoppiato nei paesi che hanno registrato il maggior numero di eventi climatici estremi causati in gran parte dal riscaldamento globale accelerato dalle emissioni di gas serra. Effetti significativi sulla mortalità vanno ben al di là delle conseguenze dirette di cicloni e alluvioni, cioè dei decessi per annegamenti o crolli.
L'OMS, l'Organizzazione mondiale della Sanità, a novembre ha dichiarato che fra l’80 e il 90% di tutti i disastri documentati derivanti da rischi naturali negli ultimi 10 anni sono stati causati da inondazioni, siccità, cicloni tropicali, ondate di caldo e forti tempeste. Le inondazioni sono i disastri naturali più comuni a livello mondiale, rappresentando ben il 43% degli eventi. Si stima che oggi 1,81 miliardi di persone, ossia un quarto della popolazione mondiale, siano esposte a probabili inondazioni almeno una volta ogni 100 anni.
Una nuova analisi pubblicata a giugno 2023, sviluppata dal Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC), indica le città e i Paesi europei con le perdite più attese dalle inondazioni future. Si prevede, infatti che i cambiamenti climatici aumenteranno la quantità e la frequenza delle precipitazioni in Europa, quindi anche le perdite e il numero di persone colpite dalle inondazioni fluviali aumenteranno. E con essi i potenziali danni, dato che molte più persone, egli ultimi decenni, vivono in aree alluvionali.
Siccità, desertificazione, cicloni e alluvioni sempre più frequenti stanno, dunque, mettendo a rischio milioni di vite nei contesti più vulnerabili del pianeta. L’Italia, ad esempio, è il Paese più vulnerabile in Europa ai rischi legati al cambiamento climatico e, nello scenario peggiore, una transizione ritardata potrebbe costare 17,5 trilioni di euro tra il 2020 e il 2050, pari al 14,5% del PIL È il risultato dello stress test climatico sulle grandi economie europee effettuato da Scope Ratings, agenzia di rating che valuta - con il Macroeconomic Climate Stress Test (Mcst) di Scope Esg - l’impatto dei rischi nei prossimi decenni.
Per consentire una migliore pianificazione dell'adattamento e una migliore gestione degli eventi estremi è importante comprendere i fattori del rischio in diversi scenari. Ed è ciò che stanno proponendoci con i loro studi molti ricercatori dell'ONU su salute e cambiamenti climatici.
In spregio a tutto questo, al valore della vita umana che mettiamo a rischio a causa dell'inquinamento e alle catastrofi ambientali, e al deterioramento del pianeta, della biodiversità, in nome del puro profitto, l'OPEC - l’organizzazione che raccoglie 13 Paesi produttori tra i quali Arabia Saudita, Iran ed Emirati Arabi Uniti - ieri ha inviato una lettera ai Paesi membri, con il mandato di opporsi a qualsiasi accordo sul phase-out dei combustibili fossili. In sostanza, il timore, è che la COP28 sancisca l’uscita, seppur graduale, dai combustibili fossili.
Molto dura è stata la reazione di Teresa Ribera Rodríguez, vicepremier e ministro alla Transizione ecologica del governo spagnolo, che a Dubai rappresenta i 27 governi dell’Unione europea: “Disgustoso”. Anche i francesi sono rimasti sconvolti, mentre il ministro dell'ambiente italiano Gilberto Pichetto Fratin, al di là dell'evidenza, ha avuto parole di grande comprensione: "Sarebbero stupidi se non facessero i loro interessi".
Parole che confermano una visione di parte, dalla parte degli interessi economici di pochi contro la sopravvivenza di molti. Posizione confermata dalla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nel suo discorso alla Conferenza, dove ha giocato con le parole. Meloni, ha sì rivendicato il ruolo dell'Italia nel processo di decarbonizzazione e nello sforzo di contenere l'aumento della temperatura globale, ma ribadendo il proprio approccio a tale cambiamento in modo "pragmatico", "libero da inutili radicalismi", "non ideologico".
Nell'universo valoriale e nel programma della destra questo approccio significa ostacolare l'intero processo di transizione: come è avvennuto, ad esempio, con il voto contrario alla delibera europea sulle case green finalizzata a renderle più efficienti da un punto di vista energetico, o promuovendo la neutralità tecnologica nel settore dei trasporti enfatizzando la centralità di poche soluzioni tecnologiche (biorcarburanti).
E mentre da un lato il nostro governo ha dichiarato di non aver preso in considerazione la costruzione di alcuna centrale nucleare in Italia, dall'altro conferma l’interesse per i mini-reattori (Small Modular Reactors), preparando la strada per il ritorno dell’Italia all’uso dell’energia nucleare. Nel nuovo PNIEC, il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, hanno stabilito, come obiettivo strategico, il riavvio della capacità nazionale di generare energia atomica in un orizzonte al 2050.
Per non parlare del rapporti tra Adnoc (l'azienda petrolifera di stato emiratina) ed Eni, rapporti che, guarda caso, si sono intensificati proprio in vista di COP28, a dimostrazione dell'intreccio, in Italia, tra trivelle e politica. Per Adnoc, Eni è un portale verso nuovi territori e nuovi mercati, in particolare quelli africani. E come ci spiegano alcuni attenti osservatori presenti a Dubai, è nel fumoso Piano Mattei di Giorgia Meloni per l'Africa che va letto il legame tra Italia ed Emirati.
Per la Redazione - Serena Moriondo