Il giornalismo climatico si sta diffondendo. Non si tratta di garantire semplicemente che giornalisti specializzati sulla salute, in agricoltura o su temi come l’energia, o che le ultime notizie o quelle locali coprano regolarmente fatti riguardanti il clima. Questo nel mondo avviene già abbastanza spesso, anche se non ovunque nello stesso modo. Lo vedremo nel corso dell'articolo.
Non basta neppure l'ulteriore passo avanti avvenuto con l'apporto divulgativo dei meteorologi. In molte redazioni, in particolare le emittenti, i meteorologi sono infatti comunicatori climatici cruciali. Alcuni come il Lead Weather Presenter della BBC, Ben Rich, hanno usato tale scienza per spiegare al pubblico quando e come gli scienziati possono collegare le condizioni meteorologiche estreme ai cambiamenti climatici. Ma i meteorologi non sono solo bravi comunicatori climatici. Spesso hanno un background scientifico e un buon rapporto con il pubblico, che è abituato a vederli tutti i giorni in TV. E' successo con il meteorologo e reporter Seigonie Mohammed a Trinidad e CCN TV6 di Tobago, a Carl Parker al Canale del Meteo degli Stati Uniti, alla meteorologa Anne Borgstrràm allo YLE in Finlandia.
Le redazioni devono andare oltre, fare un passo in più, devono arrivare a prepararsi per eventi climatici ricorrenti nello stesso modo in cui si preparano per le elezioni o le Olimpiadi. In gran parte del mondo, la “stagione” degli incendi sta diventando un appuntamento stagionale di copertura nazionale, della durata di mesi. Lo stesso, purtroppo, vale per la siccità, le alluvioni o la stagione degli uragani. Lo stesso si può dire per il caldo estremo. I giornalisti spesso dicono di essere sorpresi a cercare immagini per accompagnare storie sui pericolosi rischi per la salute del calore estremo che non siano solo foto di persone che si divertono sulla spiaggia.
E' così che è nata l'esperienza dell'Oxford Climate Journalism Network (OCJN), una rete internazionale di cronisti che si occupano di clima e che dialogano per costruire un'informazione migliore. Questa esperienza ha preso il via nel gennaio 2022: giornalisti, redattori, fotografi ...si sono riuniti settimana dopo settimana, parlando con colleghi giornalisti e con esperti scientifici e politici su come capire i modi in cui il cambiamento climatico sta rimodellando il nostro mondo.
Per due anni consecutivi hanno pubblicato un Report, l'ultimo a novembre 2023 dal titolo "Climate Change News Audiences: Analysis of News Use and Attitudes in Eight Countries", per presentare nuove informazioni su come le persone in otto paesi – Brasile, Francia, Germania, India, Giappone, Pakistan, Regno Unito e Stati Uniti – accedono a notizie e informazioni sui cambiamenti climatici. I risultati sono contraddittori e confermano l'importanza della strada intrapresa da OCJN: nel 2023, oltre tre quarti (80%) degli intervistati ha affermato di essere preoccupato per la disinformazione sui cambiamenti climatici, in linea con i dati del 2022. Ancora una volta, televisione e online (comprese le app di social media e messaggistica) sono la fonte principale dove si trova la maggior parte della disinformazione legata al clima. Politici, partiti politici e governi sono spesso menzionati come fonti di informazioni false e fuorvianti. Quasi due terzi degli intervistati ritengono che i media possano svolgere un ruolo significativo nell’influenzare le decisioni sui cambiamenti climatici, le azioni delle grandi imprese, le politiche governative e gli atteggiamenti del pubblico, con convinzioni particolarmente forti in Brasile, India e Pakistan.
Uno dei seminari più popolari dell' Oxford Climate Journalism Network (OCJN) è "il clima e la psicologia" con il dott. Kris de Meyer, neuroscienziato presso l’unità di azione per il clima dell’UCL a Londra. Il Dr. de Meyer mostra come la psicologia comportamentale sia in grado di spiegare come tutto questo sembri difficile da comprendere e digerire: l’unico modo in cui le persone cambiano è vedere gli altri cambiare, e quindi queste esperienze dovrebbero essere quotidianamente al centro della comunicazione climatica tutelando, anche sul piano della salute mentale, coloro (giornalisti, fotoreporter, ecc.) che la documentano correndo dei rischi. Oluwatosin Omoniyi, il nuovo editor per il clima di Premium Times, e Jill English, il primo produttore internazionale di clima presso la CBC rappresentano "nuove" esperienze redazionali. In una posizione strategica all'interno delle redazioni combinano l'esperienza con la collaborazione. Perchè il giornalismo climatico è, sopra ogni altra cosa, uno sforzo collettivo.
E in Italia? Il monitoraggio periodico di Greenpeace con l’Osservatorio di Pavia sull’informazione dei cambiamenti climatici in Italia cominciato nel 2022 e proseguito nel 2023 nell’ambito della campagna “Stranger Green”, ha analizzato come la crisi climatica viene raccontata in Italia dai cinque quotidiani nazionali più diffusi (Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa), dai telegiornali serali delle reti Rai, Mediaset e La7 e da un campione delle 20 testate di informazione più seguite su Instagram.
I risultati sono pessimi: oltre a confermare la scarsa visibilità che la crisi climatica ha sulla stampa e in televisione, svelano che più del 20% delle notizie diffuse dai più importanti quotidiani e telegiornali nazionali fa da megafono ad argomentazioni contro la transizione energetica e le azioni per mitigare il riscaldamento globale. Mentre resta forte la dipendenza dei principali giornali italiani dai finanziamenti delle aziende inquinanti. L’influenza del mondo economico sulla stampa è emersa anche dall’analisi dei soggetti che hanno più voce nel racconto della crisi climatica: al primo posto si trovano infatti aziende ed esponenti dell’imprenditoria (25%), che staccano politici e istituzioni nazionali (15%) e associazioni ambientaliste (11%), mentre tecnici e scienziati sono appena il 7%. In base ai risultati dello studio, la classifica dei principali quotidiani italiani, valutati nel 2023: soltanto Avvenire si è avvicinato alla sufficienza (con 5,2 punti su 10), scarsa La Stampa (4,2), bocciati la Repubblica (3,6) e il Corriere (3,4), pessimo Il Sole 24 Ore (appena 2,8). Anche i telegiornali si confermano poco interessati al riscaldamento globale: nelle edizioni di prima serata, meno del 2% delle notizie trasmesse ha fatto almeno un accenno alla crisi climatica. Gli argomenti più trattati sono stati alcuni eventi estremi (siccità e anomalie climatiche) e le proteste degli attivisti. Il TG5 (con il 2,7% sul totale delle notizie trasmesse) e il TG1 (2,4%) sono i telegiornali che hanno dato più spazio ai cambiamenti climatici, mentre fanalino di coda si è confermato il TG La7, con appena l’1,1% delle notizie trasmesse. Novità del monitoraggio del 2023 è stata l’analisi delle testate d’informazione più diffuse su Instagram, che spesso sono un punto di riferimento per i più giovani, che ha mostrato come, nella prima parte dell’anno, le notizie sulla crisi climatica sono state poco meno del 3%.
Concludiamo con tre considerazioni:
- Per la prima volta, un team di scienziati e giornalisti insieme ha analizzato diverse informazioni e indicatori che riguardano i livelli alluvionali e il loro impatto sulla popolazione e sulle infrastrutture della costa di Montevideo. Secondo le informazioni rilasciate dallo Stato uruguaiano la raffineria di petrolio, il porto, le spiagge e il lungomare - meglio conosciuto come la Rambla -, i quartieri più vulnerabili e quelli più ricchi sono a rischio di essere allagati in 80 anni se gli effetti del cambiamento climatico non verranno frenati. La capitale dell’Uruguay perderà – entro il 2100 e di fronte agli eventi estremi – circa il 10% della sua superficie. Il governo uruguaiano afferma nel Piano di adeguamento nazionale per la zona costiera di fronte alla variabilità e al cambiamento climatico che "il livello di vulnerabilità delle risorse costiere è elevato, considerando i cambiamenti nelle precipitazioni, gli scarichi dagli affluenti del Rio de la Plata, la modifica dei modelli di vento e il livello medio del mare". Lo studio condotto nel 2019 dall'Istituto di idraulica ambientale dell'Università di Cantabria (Instituto de Hidràulica Ambiental de la Universidad de Cantabria) per il Ministero dell'Ambiente uruguaiano, stima che il mare in Uruguay salirà tra 42 e 58 centimetri entro il 2100. Anche la velocità del vento durante gli eventi estremi sulla costa durante l'inverno si sono intensificate del 10-20%, ed entro il 2100, questi eventi dovrebbero aumentare nella zona costiera, con velocità fino a 200 km all'ora. E considerando che il 70% della popolazione uruguaiana vive nella zona costiera, una striscia equivalente al 3,6% della superficie totale del paese, il fenomeno è fonte di grandissima preoccupazione. Ma non tutti i cambiamenti ambientali possono essere spiegati da queste variabili del cambiamento climatico: l’intervento umano degrada molto di più l’ambiente esponendo a maggiori disastri le popolazioni, soprattutto le più vulnerabili. Dietro i cambiamenti climatici si nascondono i problemi ambientali dell’inquinamento e dello sfruttamento eccessivo delle risorse, come il drenaggio delle acque reflue, discariche, urbanizzazioni, che ignorano del tutto l’equilibrio ambientale. Dietro i disastri di natura ambientale si nascondono potere, denaro e cattivi comportamenti. Per questo una solerte presa di coscienza da parte dei Governi e le politiche pubbliche sostenibili diventano essenziali.
- Quanto tempo è dedicato all’insegnamento del cambiamento climatico? In Italia è lasciato al buon cuore degli insegnanti, molti dei quali non hanno una preparazione adeguata. Le competenze sui cambiamenti climatici possono anche derivare dallo studio di materie come scienza della terra e scienza della vita ma i concetti di cambiamento climatico dovrebbero essere integrati in tutte le principali materie scolastiche e le questioni sociali nelle discussioni in classe in modo che gli studenti possano comprendere meglio le influenze politiche ed economiche che hanno un impatto sui cambiamenti climatici.
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Nel 2023 in Egitto i manghi raccolti hanno mostrato di non essere così gustosi come l’anno prima. Tutti si sono accorti di questo problema: la questione è derivata da un cambiamento climatico dovuto all'aumento delle temperature, e questa è diventata una storia che ha permesso alle persone comuni in Egitto di comprendere meglio gli effetti profondi, e pervasivi, del riscaldamento globale. È una storia raccontata da una giornalista egiziana, Suzy Elgeneidy, che ne ha tratto una piccola utile lezione: è importante trovare il nostro mango, la storia concreta, specifica, anche piccola, che fa capire la portata di quello che sta avvenendo.
Andando oltre il cibo, il modo migliore per scrivere una storia sul clima è concentrarsi su tutto ciò che ci interessa: salute, risparmi energetici, istruzione, conflitti e sicurezza, diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, ... Un esercizio che come Associazione Nuove Ri-Generazioni svolgiamo da alcuni anni. Ed è sempre più importante inserire il tema climate change in storie che in apparenza parlano di altro. L' esempio migliore da cui partire dovrebbe venire dalla politica, dai dibattiti elettorali, iniziando da quelli che sono in previsione quest'anno e che caratterizzeranno le elezioni amministrative locali di primavera e, naturalmente, le elezioni europee del 9 giugno.
Per la Redazione - Serena Moriondo