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La spesa sanitaria pubblica italiana, pari a circa 131 miliardi, risulta ridotta rispetto ai 423 mld della Germania e ai 271 mld della Francia. E, a parità di potere d’acquisto, la spesa italiana pro capite risulta meno della metà di quella della Germania. Al contrario, a fronte del 21,4% di spesa privata per la sanità sostenuta dalle famiglie italiane, l’out of pocket in Francia raggiunge appena l’8,9% del valore totale, mentre in Germania si ferma all’11%.

Ad attestare queste cifre la Corte dei Conti che, nella "RELAZIONE AL PARLAMENTO SULLA GESTIONE DEI SERVIZI SANITARI REGIONALI. Esercizi 2022-2023" (3 aprile 2024), sottolinea come lo sforzo di efficientamento gestionale del decennio passato sembra aver dato risultati permanenti che "nel complesso hanno resistito anche di fronte a un evento imprevedibile e di portata epocale, come la pandemia da Covid-19". 

"Nel biennio della pandemia, 2020-2021, la spesa sanitaria pubblica è aumentata, in valore cumulato, del 15,5% in Italia, un incremento molto superiore al decennio precedente, ma inferiore a quello registratosi in Francia (+19,2%), Germania (18,4%), e Regno Unito (+28,6%). L’incidenza della spesa sanitaria pubblica in rapporto al Pil è stata pari al 6,8%, superiore di un decimo di punto a quella del Portogallo (6,7%) e di 1,7 punti rispetto alla Grecia (5,1%), ma inferiore di ben 4,1 punti a quella tedesca (10,9%), di 3,5 punti a quella francese (10,3%), e inferiore di mezzo punto anche a quella spagnola (7,3%)". In compenso la voce debiti v/fornitori è cresciuta nel corso degli anni passando dagli oltre 15,26 mld del 2019 ai 17,47 mld del 2021 con un aumento percentuale pari al 24,04%, la qual cosa denota un aumento degli affidamenti a terzi e un debito derivato da ritardi nei pagamenti dei fornitori e del relativo contenzioso giudiziale o stragiudiziale.

Anche altri aspetti risultano preoccupanti:

  • peggiora la speranza di vita, soprattutto al Sud (la speranza di vita senza limitazioni nelle attività a 65 anni, pari, a livello nazionale a 10 anni, scende a 8,3 nel Mezzogiorno e a 7,8 nelle Isole, mentre nel Nord sale a 11,0 anni) e, in generale, la situazione di multi-cronicità grave risulta in media 12 punti superiore nel Mezzogiorno rispetto alle Regioni del Nord e 8 -10 punti superiore a quelle del Centro;
  • è ancora lontano un recupero delle liste di attesa (gli effetti negativi della pandemia sulle erogazioni di servizi sanitari si protraggono anche nel biennio 2022-2023 e appaiono ben lontani dall’essere recuperati. I dati pubblicati da Agenas sul rispetto dei tempi di attesa nel 2022 rispetto all’anno precedente, dimostrano che vi è stato un lieve, generalizzato, peggioramento della performance per tutte le tipologie di intervento, ed i volumi di attività complessivamente erogati dalle strutture ospedaliere pubbliche e accreditate, pur incrementati di 328.000 unità rispetto al 2021, sono stati ancora inferiori di circa il 10% rispetto al 2019);
  • durante il periodo della pandemia è aumentato il personale ma sono scesi i redditi (solo nell’anno 2022, in conseguenza dell’emergenza pandemica, "le unità del personale hanno superato di poco i livelli occupazionali del 2008, ponendo fine a un decennio di riduzione, mentre la spesa per i redditi da lavoro dipendente ha eguagliato, in termini nominali, quella del 2008 solo a partire dall’anno 2021 (38,5 mld, +0,3% rispetto al 2008, pari a 38,3 mld), segnando, quindi, comunque una riduzione netta in termini reali).
  • Infine, nell’analisi del fenomeno della mobilità sanitaria interregionale che denota un'offerta diseguale della qualità e quantità di prestazioni sanitarie, le Regioni con maggiore capacità attrattiva risultano quelle che nell’ambito della valutazione dei LEA ottengono i punteggi più elevati. Le Regioni “meno attrattive” sono, ad eccezione del Molise, quelle in piano di rientro (Abruzzo, Puglia, Sicilia, Lazio, Calabria, Campania). La mobilità incide sulle entrate a disposizione di ciascuna Regione per il finanziamento del sistema sanitario, con questo meccanismo la Lombardia si è trovata a disporre di risorse aggiuntive per 5,6 miliardi, l’Emilia-Romagna per 3,4, il Veneto per 1,3 e la Toscana per 1, il Molise per 282 milioni. Sul fronte opposto la Campania ha perduto risorse per 2,7 miliardi, la Calabria per 2,4, il Lazio per 2,2, la Sicilia per 1,9 miliardi. Perdite non trascurabili di risorse da mobilità passiva si sono riscontrate anche per Abruzzo, Liguria, Piemonte e Marche").

Di fronte a questo quadro piuttosto preoccupante, la Corte dei conti nella memoria di marzo, per l'esame del DL n.19/2024, recante "Disposizioni urgenti per l'attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e resilienza (PNRR)", ha lanciato un messaggio ancor più allarmante: “Gli investimenti negli ospedali andranno rinviati e serviranno coperture”.

Due considerazioni conclusive:

1. In merito all'aumento della spesa privata: Cesare Cislaghi, in un articolo molto interessante pubblicato il 20 marzo sulla rivista "Epidemiologia & Prevenzione", ci rammenta come negli anni ’50 del secolo scorso quasi tutti gli ospedali fossero pubblici, facevano eccezione solo alcuni ospedali gestiti da ordini religiosi, e solo alcune cliniche potevano chiamarsi effettivamente private. Le Facoltà universitarie di Medicina e Chirurgia erano statali e contenevano tutta la ricerca medica e l’eccellenza clinica e chirurgica. L’attività privata era per lo più solo la seconda attività di chi lavorava negli ospedali pubblici. Ora questa situazione si è capovolta. Esaminando i dati ISTAT sugli aspetti della vita quotidiana delle famiglie dal 2017 al 2021 e, nello specifico, per le condizioni di accesso con le quali sono avvenute le prestazioni sanitarie (se cioè gratuitamente, o pagando un ticket, o pagando direttamente, o ottenendo un rimborso da una assicurazione privata), si osserva che "la diminuzione (avvenuta nello specifico nel periodo della pandemia) non ha riguardato le visite a pagamento, che anzi sono, seppur leggermente, aumentate."  Secono l'esperto vi sono diverse ragioni per questa deriva:  la concezione liberista di salute , tipica dei governi conservatori che caratterizza anche il Governo in carica, "non può che favorire forme di contenimento dell’impegno pubblico sui servizi sanitari favorendo quindi la crescita del privato"; la dichiarazione di voler abbassare la pressione fiscale che si assesta tra il 42,5% (dato ufficiale) il 47,4% (calcolato dalla CGIA di Mestre), vede il Governo agire sui principali capitoli di spesa pubblica tra cui la sanità (l’attuale spesa sanitaria di 136 miliardi,  corrisponde al 6,5% del Pil e al 15% delle entrate fiscali dello Stato); le condizioni di lavoro del personale sanitario sono peggiorate tanto che"molti sono coloro che hanno lasciato il SSN e sono andati addirittura all’estero dove hanno trovato rimunerazioni e soddisfazioni maggiori, altri si sono trasferiti nelle strutture private, molti infine pur rimanendo nel SSN hanno optato per un regime di part-time svolgendo attività libero professionali ad esempio in intra-moenia.", inoltre l’immagine dei servizi sanitari privati è molto curata, sia nelle strutture che nell’accoglienza e molte sono le comodità che il servizio pubblico non dà (ad esempio alla possibilità di prenotarsi via internet e di ricevere per email i referti diagnostici, comodità che solo alcune Regioni hanno iniziato a garantire);  gli imprenditori italiani hanno individuato nel settore sanitario una crescente possibilità di sviluppo. Sono sorti diversi ospedali privati, diversi centri diagnostici e laboratoristici, si è sviluppato soprattutto il settore assicurativo integrativo. È evidente - spiega Cislaghi nel suo articolo - che "se si destinano alla sanità meno risorse rispetto a quelle disponibili, per giunta in un periodo in cui invece il costo della sanità è cresciuto, le possibilità sono due, o fornire alla popolazione meno servizi sanitari, o favorire, direttamente o indirettamente, l’accesso ai servizi forniti dal privato tramite copertura assicurativa." In Italia, a mio giudizio, stanno succedendo entrambe le cose. A ciò si aggiunge la spinta - da parte dei vari governi che si sono succeduti negli anni, con la condivisione di imprenditori e sindacati - alla diffusione del welfare aziendale che ha ulteriormente allargato le disuguaglianze nell'accesso alle prestazioni essenziali.

2. In merito ai tagli al PNRR, come ha evidenziato Daniela Barbaresi della Segreteria Nazionale CGIL: “Con il decreto-legge del 2 marzo n.19 vengono tagliate pesantemente sia le risorse del ministero della Salute, per oltre 676 milioni di euro, abbandonando la sanità territoriale e mettendo in seria discussione la riforma prevista dal Dm 77/2022, sia quelle delle Regioni sulla sanità, per circa 1,8 miliardi”. È bene non dimenticare - scrivono dalla CGIL - che la revisione del PNRR, riducendo i progetti della missione 6 sancisce una restrizione consistente di quanto previsto per la rinascita della sanità di territorio: via il 30% delle case di comunità, via il 24 % degli ospedali di comunità con buona pace della presa in carico dei fragili e di quanti affetti da patologie croniche. Non a caso "il diritto alla salute è uno dei temi centrali della mobilitazione lanciata dalla Cgil, e proprio il diritto alla cura e la salvaguardia del servizio sanitario nazionale è uno dei pilastri della manifestazione convocata per il prossimo 20 aprile a Roma."

* Foto di Luis Melendez su Unsplash

Per la Redazione - Serena Moriondo