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Il 30 giugno l'Italia ha inviato alla Commissione europea l’aggiornamento del PNIEC, il Piano nazionale integrato energia e clima, uno strumento fondamentale per definire la politica energetica e ambientale del nostro Paese e indirizzare i nostri sforzi verso il contrasto ai cambiamenti climatici.

Il Piano conferma l’uscita dal carbone entro la fine del 2025, tranne che per la Sardegna dove tale traguardo dovrà essere raggiunto un anno dopo, nel 2026. Una parte di questo processo di dismissione sarà sostituito dall’utilizzo di gas metano, come ribadito durante l’ultimo vertice del G7 guidato dall’Italia, infatti, il nostro Governo non intende rinunciare al gas nei prossimi anni.

Per la prima volta viene inoltre prevista una sezione specifica per il nucleare. Attraverso la “Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile”, il ministro Picchetto intende far ripartire il settore nel Paese in una logica di supporto all’espansione delle rinnovabili. Secondo lo scenario ipotizzato, che nel breve termine punta al nucleare da fissione e nel lungo a quello da fusione, entro il 2050 almeno l’11% del fabbisogno elettrico nazionale sarà soddisfatto dall’atomo.

Due osservazioni:

  • i primi commenti registrati sul PNIEC sono negativi: Legambiente, Greenpeace Italia, Kyoto club, Transport&environment e Wwf Italia, hanno dichiarato che  “l’Italia consegna tempestivamente un Pniec non partecipato e che già sappiamo non raggiungerà gli obiettivi al 2030” e lamentano la mancanza di un target specifico di riduzione delle emissioni di CO2. Inoltre "l’inserimento del nucleare sia da fissione sia da fusione, rende questo Pniec, che si proponeva di essere più concreto e realistico, totalmente irrazionale. L’operazione vera è mantenere lo status quo perché qualsiasi apertura alle tecnologie nucleari fissili […] avrebbe comunque tempi ben più lunghi di quelli dettati dalla traiettoria della transizione. Il tentativo di riproporre il nucleare, insomma, appare totalmente non in linea con una strategia di rapida decarbonizzazione, senza voler considerare i rilevanti rischi ambientali connessi e la bassissima accettabilità sociale”. La presunta "neutralità tecnologica" sostenuta dal Governo Meloni non esiste, gli interessi economici rappresentati dall'energia fossile sono evidenti. "Questo - dichiarano le associazioni ambientaliste - rischia di penalizzare fortemente il nostro Paese, sia sul piano della sicurezza e indipendenza energetica, sia per le opportunità e gli investimenti nella transizione che preclude”. Anche Elettricità Futura, la principale Associazione della filiera industriale nazionale dell’energia elettrica che rappresenta oltre il 70% del mercato elettrico italiano, ha sostenuto che il PNIEC "non sembra un Piano sufficientemente sfidante rispetto ai target al 2030 europei." Nello specifico: Elettricità Futura aveva proposto di rendere il PNIEC 2024 coerente "con le potenzialità di decarbonizzazione dell’industria elettrica nazionale, ad esempio innalzando il target 2030 di riduzione delle emissioni di CO2eq per il settore elettrico italiano che era stato indicato nella precedente versione del Piano, il PNIEC 2023" e inevece è stato abbassato. Avevano chiesto "di aumentare il target di rinnovabili nei consumi elettrici, in coerenza con il Piano elettrico 2030,  al contrario, anche questo obiettivo è stato rivisto al ribassoNon lascia ben sperare - dichiara il settore energia di Confindustria - l’ulteriore complessità del quadro normativo che si è aggiunta con l'introduzione del Decreto Aree Idonee. È un provvedimento che avrebbe dovuto accelerare l'installazione delle rinnovabili e che invece, nella realtà, sta complicando la possibilità di fare gli impianti e aggiungendo extra costi che avranno un effetto domino, facendo aumentare il costo dell’energia elettrica prodotta. [..] Infine, pur essendo favorevoli allo sviluppo dell'innovazione tecnologica e alla ricerca di nuove soluzioni energetiche, appare eccessiva l’enfasi riposta sugli aspetti del nucleare, un tema su cui il Paese è chiamato con urgenza a risolvere la questione del deposito nazionale delle scorie, anche considerando che nel 2025 rientreranno dalla Francia in Italia le scorie che avremmo dovuto stoccare in quel deposito che ancora non esiste. Sarebbe opportuno concentrarci ad accelerare lo sviluppo delle tecnologie già disponibili e competitive, e il PNIEC 2024 dovrebbe dare un segnale forte alle imprese che sono pronte a investire in Italia”;
  • era il 2011, e il 54,8% degli italiani aventi diritto si recò alle urne, su quattro specifici passaggi referendari . Uno di questi riguardava il quesito che proponeva l’abrogazione delle nuove norme (decreto legge 25 giugno 2008, n. 112) introdotte dal governo Berlusconi che consentivano la produzione nel territorio nazionale di energia nucleare, dopo l’addio al nucleare sancito dal referendum del 1987. Il risultato fu chiaro, votarono contro il nucleare il 94,1% degli italiani. Come ha scritto per ASviS Toni Federico (*), anche "Supponendo che oggi gli italiani siano in maggioranza favorevoli, si andrebbe a un rilancio del nucleare civile mobilitando una inesistente classe di tecnici, ricercatori ed esperti che il Paese avrebbe ancora, laddove ciò vale solo per la fisica e l’ingegneria dei progetti internazionali per la fusione e i plasmi, non per la fissione. Si confida, non si capisce con quale grado di ingenuità e di disinformazione, sugli Smr, piccoli reattori di quarta generazione. Ma al mondo non ne esiste alcuno, e sul mercato potrebbero essere così portati solo i reattori di terza generazione da Francia, Uk e Usa (con cui si alimentano da tempo i sottomarini militari nucleari)." La Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile, annnunciata dal ministro Picchetto, costituirebbe il soggetto di raccordo e coordinamento tra tutti i diversi attori nazionali che a vario titolo si occupano di energia nucleare, sicurezza e radioprotezione, rifiuti radioattivi, sotto tutti i profili. "Tutte le previsioni - però, precisa Toni Federico - concordano sul fatto uno degli Smr, una volta ingegnerizzato, costerebbe non meno di due miliardi di euro per circa 300 MW, e darebbe energia elettrica con un Lcoe (Levelized cost of electricity) intorno ai 140 € per MWh, oggi più del doppio del costo livellato delle fonti rinnovabili. Oggi 300 MW si fanno con pochi pannelli e poche pale eoliche." Alla tassonomia originaria 2020/852, cioè la classificazione delle attività su cui è possibile investire per non creare danno significativo all’ambiente, la Commissione europea ha aggiunto, nel marzo 2022, l’energia nucleare come fonte sostenibile sotto la pressione del governo francese. Nella primavera del 2023 alcune associazioni hanno presentato ricorso presso la Corte di Giustizia europea. I ricorrenti ufficiali della causa sono gli uffici europei di Greenpeace in Germania, Francia, Spagna, Italia, Belgio, Lussemburgo, Europa centrale e orientale e l’Unità europea di Greenpeace. Analoga opposizione stanno facendo, ClientEarth, l’Ufficio per le politiche europee del WWF, Bund (Amici della Terra Germania) e Transport and Environment. Anche il Governo austriaco ha chiesto alla Corte di annullare questa operazione di greenwashing della Commissione. A maggio 2020, il Gruppo di esperti sulla finanza sostenibile (TEG) dell'UE (composto da società civile, mondo accademico, imprese e settore finanziario, enti pubblici dell'Unione e internazionali) ha sostenuto in un documento che l’inclusione del nucleare nella tassonomia non è consigliabile perché il trattamento delle scorie dell’energia nucleare non soddisfa il principio Dnsh (do no significant harm), che stabilisce che nessun investimento green può essere fatto su attività che soddisfano uno o più obiettivi ma ne danneggiano altri. L'Italia, dopo quasi quarant’anni dal referendum del 1987, non è riuscita né a decommissionare i reattori spenti né a realizzare alcun tipo di deposito per le scorie radioattive. Concludendo questo punto: molti esperti sostengono che ci troviamo di fronte ad una chiara violazione dei principi “chi inquina paga”, di non imporre un carico iniquo sulle future generazioni, sui costi, sulla proliferazione e sicurezza nucleare, sul rischio incidenti gravi potenzialmente causati da fattori umani, eventi naturali, ma anche da attentati terroristici. Inoltre, i tempi lunghi di stoccaggio geologico dei rifiuti radioattivi devono essere collegati necessariamente ai futuri cambiamenti del clima, ai futuri sviluppi della società, ai comportamenti sociali nonché alla possibile perdita a lungo termine delle informazioni e delle conoscenze tecnologiche e sitologiche indispensabili. In altre parole l'energia nucleare chiaramente, oggi, non soddisfa il criterio Dnsh e, quindi, non è sostenibile. 

 * Direttore del comitato tecnico scientifico – Coordinamento delle attività di ricerca e dei rapporti con Enti di ricerca e Università della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile. Ha svolto attività di ricerca con Università, Fondazioni (Bordoni e Metes) ed ENEA dove ha ricoperto la carica di direttore della Divisione Metodi di progettazione e di responsabile del progetto “Sviluppo sostenibile”, nonché quella di Presidente dell’ISSI.

Per la Redazione - Serena Moriondo