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L'Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS) ha reso pubblico quest'oggi un approfondimento sull'effetto che l'applicazione del nuovo Regolamento europeo sulla "Nature restoration law" avrà nel nostro Paese.

Il Regolamento, all’articolo 8 prevede che, entro il 31 dicembre 2030, non avvenga più  “alcuna perdita netta della superficie totale degli spazi verdi urbani” e che dal primo gennaio 2031 debba manifestarsi “una tendenza all’aumento” degli spazi verdi, rispetto ai valori del 2024. La stessa cosa vale anche per la copertura della volta arborea urbana.

Nello specifico, Walter VITALI (Urban@it), Andrea FILPA (Uniroma3) e la Presidente dell'Associazione Nuove Ri-Generazioni, Rossella MURONI - facenti parte del gruppo di lavoro sul Goal 11 “Città e comunità sostenibili” - hanno messo in evidenza, con il loro lavoro, come lo stop immediato al consumo di suolo in alcune parti molto significative del territorio nazionale si potrebbe estendere, entro tre anni, con il Piano nazionale di ripristino, al 36% dei Comuni italiani.

L’approvazione del nuovo Regolamento europeo sul ripristino della natura - Nature restoration law - poco prima della fine della legislatura - si legge nel Comunicato Stampa di ASviS - è stata giustamente salutata come un successo di grande importanza per la sostenibilità."

"Il recupero del 20% degli ecosistemi danneggiati entro il 2030, e di tutti entro il 2050, insieme agli obiettivi sulla biodiversità - affermano Vitali, Filpa e Muroni - "come l’inversione del declino delle popolazioni degli impollinatori, hanno catalizzato l’attenzione dei media e degli osservatori, incentivati anche dalle proteste di una parte degli agricoltori e dalle resistenze di numerosi Paesi membri compresa l’Italia che al Consiglio europeo del 19 giugno ha votato contro."

L'aspetto su cui gli esperti di ASviS sostengono "non si è finora prestata la dovuta attenzione" è quello per cui, in pratica, quel 36% dei Comuni rappresentano i territori più urbanizzati che includono, cioè, "la stragrande maggioranza della popolazione nazionale”.

"L’obbligo di evitare perdite nette degli spazi verdi urbani può riguardare tutti i Comuni classificati come “Città” e come “Piccola città e sobborghi” – su un totale di 7960 comuni italiani, il 36% appunto – oppure solo loro parti, ma in questo caso devono essere comprese almeno le unità territoriali definite “centri urbani” e “agglomerati urbani”. È la ragione per la quale in queste porzioni di territorio, importantissime, lo stop al consumo di suolo netto è immediato, perché in nessun caso il Piano nazionale di ripristino le può escludere. Si tratta, con buona approssimazione, dei centri urbani con popolazione superiore a 50 mila abitanti e di quelli suburbani con più di cinque mila abitanti."

La cosa più urgente – affermano i tre esperti - è che gli istituti deputati, Istat e Ispra, consegnino ai comuni che hanno unità territoriali classificate come “centri urbani” e “agglomerati urbani” la cartografia relativa, in modo che questi possano provvedere ad adeguare i loro strumenti urbanistici, bloccando le edificazioni previste o individuando le necessarie compensazioni territoriali. Poi va preparato il Piano nazionale di ripristino, anche attraverso l’adesione volontaria dei Comuni che sono disponibili all’ipotesi massima, e l’estensione del blocco anche ai terreni agricoli coltivati a seminativo. Una scelta di sostenibilità che potrà vedere in prima fila proprio il mondo dell’agricoltura, da sempre molto sensibile su questo tema."

Con la definizione del Piano, il consumo di suolo avvenuto dopo tale data dovrà essere compensato con analoghe superfici rinaturalizzate.

Link: QUI per l'approfondimento ASviS

Per la Redazione - Serena Moriondo