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Il nuovo Rapporto "Global trends in climate change litigation: 2024 snapshot" descrive il quadro delle cause giudiziarie intentate contro le aziende per motivi legati all’ambiente nel corso del 2023.
Si tratta di 230 casi ma il database del Sabin center for climate change law include già 2.666 cause climatiche, con circa il 70% di queste presentate dal 2015, anno dell'Accordo di Parigi sul clima.
Molte delle cause più recenti mirano a responsabilizzare governi e aziende rispetto alle loro azioni climatiche.

Nonostante increduli e negazionisti, la crisi climatica si sta manifestando in tutta la sua drammaticità. La Bbc, a marzo ha pubblicato un servizio dal titolo "Climate change is fuelling the US insurance problem" tramite il quale ha messo in evidenza come gli eventi meteorologici estremi stiano rendendo difficile assicurare le case in alcune parti degli Stati Uniti. In Florida e in California, ad esempio, molte compagnie assicurative come State Farm, uno dei maggiori fornitori di assicurazioni, si sono ritirate, poiché inondazioni, innalzamento del livello del mare, incendi e terremoti stanno rendendo la situazione troppo rischiosa e, quindi, non più conveniente nel raopporto tra premi pagati e risarcimenti effettuati. Esempi di “assicurazioni sulla natura” si stanno diffondendo in tutto il mondo e nel 2022 The nature conservancy (Tnc) ha annunciato l'acquisto della prima polizza assicurativa per le barriere coralline negli Stati Uniti. Procedure analoghe vengono utilizzate per proteggere le foreste dagli incendi boschivi. Futura Network, un sito di dibattito promosso da ASviS, in un recente articolo ha messo in evidenza come  "Un rapporto di Share Action, iniziativa no-profit sugli investimenti responsabili e sostenibili, ha passato al vaglio 65 compagnie medio-grandi: meno del 25%, secondo l’organizzazione, ha obiettivi concreti al 2030 sulla crisi climatica."

Circa, dunque, il 45% dei casi e delle denunce internazionali depositati finora sono stati presentati a tribunali, organi e corti internazionali per i diritti umani, riflettendo una tendenza crescente nell'uso di argomenti legati ai diritti umani nelle cause sul clima. Nonostante le cause internazionali rappresentino solo il 5% del totale, il Rapporto rileva come abbiano comunque il potenziale di influenzare significativamente i procedimenti nazionali.

Il tasso di successo delle cause climatiche è vario:

  • per i casi di "government framework", cioè quelli che mettono in discussione le scelte governative sui cambiamenti climatici, circa il 60% ha avuto almeno una decisione giudiziaria, con un terzo di queste favorevoli all'azione per il clima;
  • i contenziosi riguardanti i casi "chi inquina paga" e "corporate framework", quelli cioè che che mirano a garantire che le aziende allineino le loro politiche e i processi di governance agli obiettivi climatici, hanno avuto esiti incerti
  • mentre per quelli di "climate-washing" gli esiti sono stati positivi nel 70% dei casi.

Per il futuro - le autrici del Rapporto Joana Setzer e Catherine Higham - prevedono un aumento delle querelle post-catastrofe e un crescente interesse per l'ecocidio e il diritto penale, date le nuove legislazioni in alcune nazioni come il Belgio e le nuove proposte sui crimini ambientali a livello di comunità europea.

Il nuovo codice penale belga approvato nel febbraio 2024 ha, infatti, reso il Belgio il primo Paese dell’UE a riconoscere l’ecocidio come crimine internazionale, insieme ai crimini di guerra, al genocidio, ai crimini contro l’umanità e ai crimini di aggressione. La nuova legge belga riconosce inoltre che le azioni delle imprese sono commesse da soggetti, amministratori e altri dirigenti, punibili con la reclusione fino a 20 anni e multe fino a 1,6 milioni di euro. Nel frattempo, le proposte per l’adozione di concetti correlati come quello di “crimine di distruzione ambientale” nel diritto internazionale continuano a guadagnare terreno (IUCN, 2024). Inoltre, le sinergie tra contenzioso ambientale e climatico stanno crescendo, con strategie legali climatiche applicate a casi ambientali come l'inquinamento da plastica.

Poiché - conclude il Rapporto - il numero dei disastri legati al clima aumenta di anno in anno, aumenta anche la necessità di prendere buone decisioni su come rispondere a tali disastri. Considerati i diversi punti di vista, sul piano politico, su come possa concretizzarsi una “buona” ripresa, questo argomento  sembra destinato a diventare oggetto di nuove contestazioni nei tribunali. Un primo esempio è il caso Comité Dialogo Ambiental contro Federal Emergency Management Agency, depositato negli Stati Uniti nel 2023. In questo caso si contestava la gestione a seguito degli uragani a Porto Rico. I ricorrenti sostengono che nella loro pianificazione per la ripresa gli imputati non avevano considerato alternative ragionevoli alla ricostruzione dell'attuale infrastruttura energetica basata sui combustibili fossili di Porto Rico, e che questa ricostruzione limita la resilienza e per anni costringerà ad una  dipendenza energetica dannosa per il clima. Analogamente un gruppo di relatori speciali delle Nazioni Unite in Colombia, nel 2022, hanno sollevato preoccupazioni sulle violazioni dei diritti umani associate al fallimento della risposta della Colombia alla crisi umanitaria e ambientale subita dalla popolazione Raizal di Vieja Providencia e Santa Catalina, dopo gli uragani di categoria 4 e 5 Eta e Iota. Tra le preoccupazioni sollevate c’era il fatto che le abitazioni costruite dopo gli uragani non erano sufficientemente resistenti ai futuri disastri legati ai cambiamenti climati.

Per la Redazione - Serena Moriondo