Due sono i documenti pubblicati ieri, che ci riguardano, che dovrebbero togliere il sonno agli italiani e fare un sobbalzo sulla sedia alle forze progressite del Paese.
Il primo dei due è un Report dell'Istat e riguarda il calo demografico (al 2023) le cui tendenze sono giudicate irreversibili, pur se in un contesto nel quale non mancano elementi di incertezza.
Negli ultimi dieci anni il Paese ha perso circa 1.350.000 residenti (da 60,3 milioni a poco meno di 59) e le previsioni contemplano un ulteriore calo dell'1,1% che ci porterà a 58,6 milioni nel 2030 e una diminuzione più accentuata nel 2050 (-3,3%), fino ad assestarsi a 46,1 milioni nel 2080. Questo aprirà inevitabilmente nuovi scenari non solo demografici ma anche sociali ed economici.
- Il progressivo spopolamento investe tutto il territorio ma con differenze tra Nord, Centro e Mezzogiorno, dove assumerà una dimensione più significativa con un calo dei residenti del 4,8%. Nel lungo periodo, il Nord potrebbe ridursi di 50mila residenti nel 2050 e di 2,6 milioni di abitanti entro il 2080 mentre nel Sud del Paese la popolazione, nel 2080, potrebbe ridursi di ben 7,9 milioni di abitanti, 3,4 milioni dei quali già entro il 2050. Per quanto tale ripartizione geografica presenti ancora oggi un profilo per età più giovane, si prevede che l’età media dei suoi residenti passerà da 45,5 anni nel 2023 a 51,5 anni nel 2050, sopravanzando sia il Nord sia il Centro.
- Lo scenario mostra che, nel passaggio che condurrà la popolazione dagli odierni 59 milioni di individui a circa 46 nel 2080, si avranno 21 milioni di nascite, 44,4 milioni di decessi, 18,2 milioni di immigrazioni dall’estero e 8 milioni di emigrazioni. Nello scenario più attendibile, quindi, la popolazione muta radicalmente, e non solo sotto il profilo quantitativo (anche negli scenari di natalità e mortalità più favorevoli il numero di nascite non compenserà quello dei decessi così come, i futuri flussi migratori, non controbilanceranno il segno negativo della dinamica naturale). Le attuali generazioni di anziani portatrici di valori, usi, livelli di istruzione e competenze proprie lasceranno in massa il passo alle nuove.
- La struttura della popolazione residente è oggetto da anni di uno squilibrio tra nuove e vecchie generazioni, dovuto alla combinazione, tipicamente italiana, dell’aumento della longevità e di una fecondità costantemente bassa. Oggi il Paese presenta la seguente articolazione per età: il 12,4% degli individui ha fino a 14 anni di età; il 63,6% tra 15 e 64 anni; il 24,0% dai 65 anni di età in su. L’età media, nel frattempo, si è portata a 46,4 anni e ciò colloca l’Italia, subito dopo il Giappone, tra i leader mondiali sul versante della longevità, insieme ad altri Paesi dell’area mediterranea (Portogallo, Grecia, Spagna) e alla Germania. Le prospettive future comportano un’amplificazione di tale processo. Nel 2050 le persone di 65 anni e più potrebbero rappresentare il 34,5% del totale. Una significativa crescita è attesa anche per la popolazione di 85 anni e più, quella all’interno della quale si concentrerà una più importante quota di individui fragili (dal 3,8% nel 2023 al 7,2% nel 2050). Ciò comporterà un impatto importante sulle politiche di protezione sociale: sia in termini socio-sanitari sia in termini previdenziali (con una crescita, a legislazione vigente, dell’età al pensionamento: rispetto agli attuali 67 anni, si passerebbe a 68 anni e 2 mesi a decorrere dal 2035, a 69 anni precisi dal 2045 e a 69 anni e 10 mesi dal 2055).
- Sul piano dei rapporti intergenerazionali si presenterà un rapporto squilibrato tra ultrasessantacinquenni e ragazzi, in misura di oltre tre a uno e, conseguentemente, una riduzione della popolazione in età lavorativa. Nei prossimi trent’anni, infatti, la popolazione di 15-64 anni scenderebbe al 54,3%, con importanti ricadute sul mercato del lavoro e sul sistema di welfare.
- Nei prossimi 20 anni si prevede un aumento di circa 930mila famiglie: da 26 milioni nel 2023 si arriverà a 26,9 milioni nel 2043 (+3,5%) ma si tratterà di famiglie sempre più piccole, caratterizzate da una maggiore frammentazione, il cui numero medio di componenti scenderà da 2,25 persone nel 2023 a 2,08 nel 2043. L'aumento del numero di famiglie deriverà prevalentemente da una crescita delle famiglie senza nuclei (+16%), cioè in assenza della presenza di una relazione di coppia o di tipo genitore-figlio. L’invecchiamento della popolazione, con l’aumento della speranza di vita, genera infatti un maggior numero di persone sole, il prolungato calo della natalità incrementa le persone senza figli, mentre l’aumento dell’instabilità coniugale, in seguito al maggior numero di scioglimenti di legami di coppia, determina un numero crescente di individui soli e di monogenitori. Tanto che, tra 20 anni, quattro famiglie su 10 saranno costituite da persone sole. Fino a 64 anni di età la condizione di vita in solitudine, volontaria o meno che sia, coinvolge oggi 4,9 milioni di individui, il 60,5% dei quali uomini e, in futuro, seguirà l'andamento di flessione generalizzato della popolazione. Il fatto di ritrovarsi a vivere soli, spesso non dettato da una volontaria scelta di vita, potrà condizionare il livello di autonomia delle persone molto anziane, che saranno sempre più soggette a bisogni specifici. Per effetto della bassa fecondità, i figli saranno sensibilmente di meno: tra i 15 e i 19 anni, dove oggi si riscontra un picco di ragazzi di 2,8 milioni di individui, nel 2043 scenderà a poco più di due milioni. La sequenza dei passaggi nel ciclo di vita, invece, non sembra interessata da profondi cambiamenti: superata la fase della adolescenza e della giovane età, dove oggi l’89% dei 20-24enni è nella posizione di figlio (88% nel 2043), nella fascia 25-29 anni e ancora in quella 30-34 anni l’essere figlio rappresenta e continuerà a rappresentare la condizione esistenziale prevalente, cosicché solo dai 35-39 anni prevale la condizione di individuo in coppia con figli (47% nel 2023 e in diminuzione negli anni a venire).
Il secondo documento riguarda la Relazione annuale sullo stato di diritto dell’Unione europea, che presenta una valutazione della situazione in ciascuno Stato membro, e dove troviamo alcune considerazioni positive ma anche diverse perplessità e raccomandazioni alle politiche del Governo italiano in tema di giustizia, libertà di stampa e informazione, conflitto di interessi (vd.Capitolo sullo Stato di diritto in Italia).
Nel complesso:
- sulla riforma Istituzionale, si legge come "alcuni stakeholders hanno espresso preoccupazioni sulle modifiche proposte in relazione all’attuale sistema di check and balances e anche dubbi che possa portare più stabilità". Come rilevato anche dall'Associazione Nazionale Costituzionalisti, preoccupazioni sono state espresse anche sulll'indebolimento del ruolo del Capo dello Stato e per la mancanza di una legge elettorale che renda chiaro il quadro della riforma. Si legge:"con questa riforma non ci sarà più la possibilità per il Presidente della Repubblica di cercare una maggioranza alternativa o individuare una persona fuori dal Parlamento come Primo ministro";
- il ricorso alla decretazione d'urgenza da parte dei vari Governi (non solo quello attualmente in carica) è aumentato nei decenni passati, fino a toccare l'eccessiva intensificazione degli ultimi anni. Secondo i dati ufficiali, nell'attuale legislatura (iniziata nell'ottobre 2022) il Governo ha adottato 59 decreti-legge, dei quali 51 convertiti in legge e sette non convertiti, ma il cui contenuto è stato incluso in altre leggi. Si tratta di circa il 50 % delle leggi adottate dal Parlamento. Il frequente ricorso ai decreti-legge da parte dei Governi può incidere sull'equilibrio dei poteri tra il Governo (in quanto potere esecutivo) e il Parlamento (in quanto potere legislativo);
- in merito alla riforma della Giustizia, "le preoccupazioni maggiori - osserva la Commissione europea riguardano l'impatto sui giornalisti che sono "maggiormente esposti alle querele per diffamazione". Nessun ulteriore progresso nel portare avanti il processo legislativo per riformare e introdurre garanzie in tema di diffamazione, della protezione del segreto professionale e delle fonti giornalistiche, che tengano conto degli standard europei sulla protezione dei giornalisti;
- critiche anche al limite della pubblicazione degli atti giudiziari e alla necessità di "un meccanismo di finanziamento pubblico della stampa che ne garantisca l'indipendenza". In tema di libertà di stampa, la Commissione: 75 incidenti nei primi sei mesi dell'anno "con una crescita di casi intimidazione legale da parte dei politici";
- si riconoscono all'Italia progressi nel portare avanti il miglioramente del livello di digitalizzazione dei tribunali penali e delle procure e alcuni ulteriori progressi nell'adozione di norme esaustive sui conflitti di interessi ma nessun ulteriore progresso nell'adozione di una regolamentazione sul lobbismo per istituire un registro operativo. Così come si riconosce che la durata dei procedimenti ha continuato a diminuire, anche se costituisce tuttora un grave problema: "Secondo il Quadro di valutazione UE della giustizia 2024, nel 2022 i tempi di esaurimento dei contenziosi civili e commerciali di primo grado sono diminuiti di 20 giorni rispetto al 2021, ma rimangono tra i più lunghi dell'UE, dato che occorrono ancora 540 giorni per risolvere il caso" . Si registra un ulteriore miglioramento nel 2023 anche nelle cause penali;
- nessun ulteriore progresso nell'affrontare in modo efficace e rapido la pratica di canalizzare le donazioni attraverso fondazioni e associazioni politiche e nell'introdurre un registro elettronico unico per le informazioni sui finanziamenti ai partiti e alle campagne elettorali;
- nonostante siano quattro i progetti di legge attualmente all'esame del Parlamento, non vi è stato alcun ulteriore progresso per realizzare un'istituzione nazionale per i diritti umani che tenga conto dei Principi di Parigi delle Nazioni Unite;
- permangono criticità per quanto riguarda lo spazio civico, anche alla luce dei casi di aggressività verbale nei confronti di organizzazioni impegnate in attività umanitarie e dei casi di violenza segnalati contro chi partecipa a manifestazioni. Sono state segnalate aggressioni verbali subite da determinate organizzazioni, soprattutto quelle che svolgono attività umanitarie, ad opera di alcuni media ed esponenti politici e alcuni episodi di violenza perpetrata dalla polizia a danno di manifestanti.
Su questa base - oltre a ricordare i relativi impegni assunti nell’ambito del Piano di Ripresa e Resilienza in particolare sui pericoli determinati dal ruolo della criminalità organizzata nell'impossessarsi dei fondi del PNRR e per i danni conseguenti all'uso irregolare dei fondi che sono quantificabili in 1, 8mld di euro - l'UE ha avanzato nuove raccomandazioni che chiedono al Paese di intensificare gli sforzi e affrontare efficacemente e rapidamente le criticità esposte nelle 48 pagine della Relazione.
Difficile dormire sonni tranquilli.
* Foto di Alexandra Gorn su Unsplash
Per la Redazione - Serena Moriondo