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foto bandiera spi manifestazione Di Mina Cilloni – Segretaria Naz.le SPI-CGIL  (Dip. Benessere e Diritti)

Abbiamo vissuto e, ancora stiamo vivendo, un periodo difficile e tragico, la pandemia che ci colpisce ancora troppo e la crisi hanno fatto precipitare il nostro paese in una sorta di mancanza di speranza e di futuro.

Questa crisi non è solo per l’inquietudine di un vaccino gratuito per TUTTI ma è anche una crisi di futuro che si riflette sulla condizione demografica ( siamo sempre più vecchi), da un crollo degli investimenti perché i due pilastri – quello della relazione e quello produttivo senza speranza e fiducia fanno fatica a pensare e a costruire il futuro.

Questa condizione che la pandemia ha ulteriormente messo in luce ci porta, o dovrebbe portarci, ad un insegnamento – servono, sono necessarie tutte le importanti azioni che abbiamo messo in campo come Sindacato Pensionati, come Auser nei lunghi mesi di chiusura: le telefonate agli/alle iscritt*, la spesa e la consegna dei farmaci a domicilio, il supporto psicologico attraverso le telefonate di Auser, le videochiamate, ecc, ma serve la nostra disponibilità e capacità di un linguaggio e di una rinnovata relazione che deve continuare e che tenti di sfondare il muro di isolamento che ognuno di noi ha dovuto costruire attorno a sé.

La relazione, l’ascolto dei bisogni sono fattori determinanti rafforzeranno e riconsegneranno identità a tutta la nostra Organizzazione.

In questo tempo abbiamo sperato e continuiamo a sperare sia servito e serva per interrogarci sul nostro modello di sviluppo ma anche delle nostre abitudini di vita, sul rapporto tra esseri umani e natura, sui valori individuali e collettivi.

L’obiettivo è la ricostruzione di un tessuto sociale e relazionale che porti la felicità. La felicità è un diritto per tutti.

La felicità non è solo una questione psicologica ma è questione sociale e il nostro obiettivo è rivendicare a chi ha la responsabilità di governare un’idea, un progetto di futuro che abbia al centro il rispetto dell’ambiente, la solidarietà, il potenziamento dei diritti universali e dello stato sociale in ogni suo aspetto, un’economia al servizio della persona e dell’ambiente attraverso modelli ecologicamente, socialmente ed economicamente sostenibili.

Come rispondiamo ai bisogni espressi e/o percepiti da parte della popolazione anziana? Cosa possiamo fare noi?

Nella difficoltà del periodo ma, attraverso modalità di lavoro che, con fatica, stiamo apprendendo, dobbiamo inserirci nelle scelte che il Governo sta affrontando ricostruendo attraverso la nostra capacità di programmazione e contrattazione e nel contempo essere soggetto che sappia riproporre una cultura per la coesione sociale e della relazione.

Questo va visto all’interno di un contesto generale che non perda l’insieme dei problemi e le istanze di tutte le generazioni e di tutti i soggetti ( donne, migranti, lavoratori, pensionati…) per evitare ulteriori disgregazioni.

Dobbiamo rimettere al centro della nostra azione contrattuale e politica la persone e il territorio come luogo di lettura dei bisogni e come luogo di progettazione partecipata e, attraverso la promozione di azioni di cittadinanza attiva e partecipazione consapevole, solo così saremo capaci di stimolare e contrattare una “buona vita”.

Questo ci permette di affrontare un altro grande problema: la solitudine.

Solitudine che vivono e/o sono costrette a vivere soprattutto le persone anziane ma non solo e questo deve suggerirci quanto sono ampi i terreni di lavoro per favorire un maggior scambio intergenerazionale.

Due i fattori significativi: la povertà rende soli e chi ha una migliore istruzione soffre meno di solitudine.

Il sentirsi soli aumenta un effetto che poco teniamo in considerazione: sentirsi soli incoraggia sentimenti di cospirazione, a cercare senso altrove.

Questo deve spingerci a chiedere di investire per tutti per una formazione continua e per tutto l’arco della vita, portare conoscenza nelle periferie, alfabetizzazione informatica, oggi più che mai tema centrale per evitare ulteriori penalizzazioni e differenze, ridurre l’emarginazione e combattere la povertà.

Non possiamo dimenticare che in un paese più fragile può diventare più fragile la democrazia.

Questo ci porta a dire che la ricchezza non è solo benessere economico ma un insieme di beni relazionali, di beni economici, ambientali e abbiamo la necessità di collegare i vari ambiti includendoli e intrecciandoli l’uno con l’altro per dare risposte importanti alla crescita e alla soddisfazione della persona.

E’ nel territorio che dobbiamo saper spenderci, attraverso l’ascolto dei bisogni che si potrà arricchire la contrattazione sociale. Una contrattazione che vada a condizionare lo sviluppo urbanistico della città, i piani commerciali, i piani di viabilità, il verde, la sicurezza, la politica del riuso, una politica giocata sulla prevenzione e la salute.

Stili di vita, alimentazione, attività motoria – il tutto in alternativa alla medicalizzazione della vecchiaia, ad una gestione assistenzialistica che produce e troppo spesso si muove dentro ad una logica del profitto che peraltro aumenta i costi della sanità.

Dobbiamo predisporre percorsi formativi che permettano di essere informati e competenti, l’educazione, la conoscenza di nuovi paesi e di nuove culture ma anche riconoscere occasioni culturali penso al cinema, al teatro, all’arte alla bellezza più in generale, la gestione del risparmio, il consumo intelligente, la mobilità, la casa.

E sulla casa, più in generale sull’abitare, molto stiamo facendo insieme ( superbonus110%, qualità abitare, rigenerazione…) Ci sono date opportunità  e ci sono risorse che dobbiamo saper gestire e contrattare.

La rigenerazione delle città, dei paesi, delle periferie, dei borghi hanno un ruolo importante per ri-pensare all’edilizia abitativa, alle infrastrutture e ai servizi a partire dai bisogni delle persone che invecchiano ( e invecchiamo tutti…), che vi abitano e dalle esigenze dei territori ove le comunità vivono.

Una rigenerazione finalizzata al rilancio dei territori più marginali ( aree interne e montane) e alla valorizzazione delle loro specificità può essere un’integrazione delle nuove cittadinanze attraverso il lavoro, l’inclusione sociale, l’istruzione, l’abitare dignitoso, i servizi.

La domotica, le telecomunicazioni, la mobilità. L’assistenza di prossimità, la sanità di quartiere, sono gli strumenti con cui dotare il sistema rigenerato delle città e del territorio e aumentarne il valore.

Una riprogettazione e ricostruzione coerente di case, di scuole, di strutture sanitarie e commerciali efficienti coincide, in gran parte, con la loro distribuzione a rete.

In questo ambito si inseriscono la progettazione e le costruzioni abitative che favoriscano il vicinato di nuclei di diversa generazione, non necessariamente con legami familiari, adattando i singoli appartamenti alle esigenze delle diverse fascie d’età e prevedendo spazi per servizi e momenti di socialità  comuni.

Progetti di abitare sociale devono rifiutare il concetto di una comunità chiusa, al contrario devono essere aperti al quartiere e alla comunità il più possibile.

Credo si debba verificare cosa ha prodotto questo modello abitativo in questo periodo di pandemia che, nel rispetto delle misure di prevenzione, può aver dato risposte importanti all’isolamento attraverso una vita in comune e forme di socialità.

Inoltre diventerà importante come dovrà essere lo spazio abitativo, in termini di spazi e la loro disposizione, spazi esterni per la circolazione degli abitanti, impianti di ventilazione, ecc.

La prospettiva di trascorrere più tempo a casa farà nascere nuovi bisogni per un vivere più gradevole la casa che è il luogo per eccellenza in cui si realizza il proprio progetto di vita in autonomia, in libertà e in relazione armonica con la comunità di appartenenza.

Allo stesso tempo- sempre in una logica di estensione dei servizi pubblici e territoriali e domiciliari vanno previsti insediamenti abitativi che favoriscano la presenza – diurna e notturna – di assistenti familiari e di piccoli servizi per l’insieme dei diversi nuclei familiari: portineria sociale, pulizie e piccole manutenzioni, assistenza collettiva, ecc.

Queste politiche devono essere adeguatamente incentivate da parte delle istituzioni centrali, regionali e territoriali.

Sono molti altri i temi che dobbiamo affrontare e molti abbiamo iniziato ad affrontarli con attenzione e con la capacità di fare rete tra di noi e tra di noi e le comunità in cui affrontiamo la contrattazione sociale.

E vale per noi, già più “grandi” ma, vale per tutti, dobbiamo imparare a vivere il tempo che passa non come una minaccia alla nostra potenza, alla nostra forza, alla nostra bellezza ma come possibilità di scoprire nuove dimensioni.