Le risorse destinate, scadenzate nel tempo, “sono assolutamente insufficienti per gli investimenti da mettere in campo per il recupero e la messa in sicurezza degli edifici pubblici e privati danneggiati dalle continue scosse. I frequenti sciami sismici che si sono verificati e si verificheranno, se non si prevedono interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria con l'urgenza del caso e la continuità necessaria, metteranno a dura prova la resistenza delle strutture, abitative e non, dell'area”.

Il decreto inoltre “non risponde in maniera adeguata all’emergenza che stanno vivendo le famiglie sfollate a seguito delle ultime scosse. Ad esse sono destinati contributi, limitati nel tempo, per una ricerca autonoma di nuova abitazione che oltre ad essere impensabile, dato il mercato degli affitti, è inaccettabile sul piano sociale che ha il sapore dell'ennesima gentrificazione prefigurando uno spopolamento del territorio che l'area flegrea e in particolare il centro storico di Pozzuoli già hanno vissuto alla metà degli anni '80 con effetti drammatici”.

È necessario, invece - secondo la Cgil Napoli e Campania - che le famiglie in tempi ragionevoli ritornino nelle loro case e a tal fine vanno investite le risorse giuste per l'eliminazione degli ordini di sgombero e il ripristino dell'agibilità e abitabilità. Il decreto contiene anche la nomina di un commissario che, oggettivamente, con le scarse risorse disponibili e le stesse modalità del decreto, potrà fare ben poco se non, ancora una volta, espropriare gli enti e amministrazioni locali della podestà urbanistica”.

La convivenza con il sisma non riguarda solo gli edifici. “Quello che è a rischio è il mantenimento e lo sviluppo di un intero tessuto sociale. Occorre prestare attenzione e sostenere le attività produttive dal presente precario e dalle prospettive non certo rassicuranti, difendere le realtà locali nelle loro totalità. Garantire i diritti sociali, soprattutto quelli della salute evitando qualsiasi ridimensionamento delle prestazioni sanitarie pubbliche”.

Dopo anni di condoni e un uso sconsiderato del suolo, concludono i sindacalisti, “occorre mettere mano a un piano di interventi che consenta la permanenza sul territorio degli abitanti, delle attività produttive e della vita sociale, economica e culturale, attraverso controlli preventivi e costanti della stabilità degli edifici pubblici e privati con certificazioni e anche attraverso una manutenzione urbana e territoriale e continua”.

Il decreto, a nostro avviso, “non ha assolutamente questo respiro, sia per le risicate risorse, sia per la visione limitata di una realtà complessa come quella dell'area dei Campi Flegrei anche sul piano sociale e non solo emergenziale”. (Fonte: Collettiva.it)

Una breve riflessione conclusiva. La CGIL, nel 2013, mise a punto un nuovo Piano del Lavoro dal titolo “CREARE LAVORO PER DARE FUTURO E SVILUPPO AL PAESE”. Nelle sue pagine, uno spazio particolare era dedicato al tema della prevenzione e la tutela de territorio mirato al raggiungimento di un processo di sviluppo sostenibile, per accrescere l'occupazione e consentire all’Italia di realizzare gli obiettivi europei e internazionali.

In quel documento c'era anche una precisa indicazione su come la CGIL avrebbe dovuto agire per conseguire quel risultato, individuando un nuovo modello di contrattazione sia a livello aziendale, perchè la sostenibilità ambientale dell’attività produttiva, la salute e la sicurezza non possono essere variabili estranee alle scelte di investimento dell’impresa; sia a livello territoriale, perchè il lavoro si lega necessariamente al welfare, ai sistemi territoriali e, quindi, il confronto sindacale con Regioni e Comuni avrebbe dovuto diventare il momento di attivazione, tra gli altri, del Nuovo Piano del Lavoro.
Nonostante siano trascorsi undici anni, il Piano mantiene tutta la sua attualità e urgenza perché le criticità del Paese non solo non sono state superate ma, al contrario, si sono aggravate. Viene da pensare che se la CGIL, nel suo insieme lo avesse adottato ovunque e con maggiore convinzione, come punto di riferimento nella definizione delle piattaforme rivendicative locali, forse il Ben Paese sarebbe in condizioni un po' meno critiche.

Non è mai troppo tardi per riuscirci.

Per la Redazione - Serena Moriondo