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Il diritto ad uno spazio dove abitare è un bisogno di ognuno talmente evidente che si stenta a capire come uno Stato democratico possa non occuparsene; come possa non occuparsi di una condizione certificata: l’Istat stima come nel 2023 siano 2,2 milioni le famiglie in povertà assoluta, quasi 5,7 milioni di persone, e 2,8 milioni le famiglie in povertà relativa per un totale di 8,4 milioni di persone. Queste famiglie vivono in case spesso decadenti. Case fatiscenti che consumano molto, difficili da scaldare, impossibili da raffrescare. Scontato dire che sono abitazioni prive di un qualsiasi intervento di efficienza energetica. Case povere che rendono sempre più poveri.

È evidente come sia necessario tenere insieme temi solo apparentemente distanti. Sono stati 39.000 gli sfratti emessi nel 2023, prevalentemente per morosità. Una situazione drammatica che si è agganciata all’altra dinamica che sta travolgendo le nostre città: gli affitti brevi che stanno svuotando i centri storici con fenomeni di gentrificazione alimentati dall’overtourism.

Numeri e fenomeni che confermano una necessaria connessione di senso: la battaglia per la giustizia climatica e la giustizia sociale sono strettamente intrecciate, e quando si allontanano generano mostri. È successo con il superbonus, misura assolutamente condivisibile nei suoi fini di efficientamento energetico del patrimonio abitativo ma che, sganciata da ogni proporzionalità del reddito e nonostante il meccanismo della cessione del credito, ha favorito soprattutto chi già aveva, e non ha toccato affatto l’edilizia pubblica né quella popolare.

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