di Serena Moriondo
Difficile dire quando e come potremo mai raggiungere l’obiettivo della parità di genere dichiarato nel Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza. Siamo un Paese dove, da un lato convivono mafia, violenza e vigliaccheria come ci ha dimostrato ciò che è successo in questi giorni a Campobello di Mazara e, dall’altra, si alza coraggiosa, forte, osteggiata la voce di giovani cantanti nel corso del 1° maggio, a condanna dell’omofobia e a difesa delle libertà sessuali.
L’Europa potrà anche aiutarci a risanare l’economia con un’iniezione di miliardi ma quello di cui abbiamo bisogno non si può comprare, si conquista: la volontà di superare una cultura sessista, retrograda, maschilista, violenta.
Per questo, non trovo affatto convincente l’approccio utilizzato nel PNRR per affrontare il divario di genere esistente in Italia. Certo l’arrivo di Draghi coincide con l’urgenza di presentare un PNRR all’altezza del momento, ed è un bene che al governo ci siano anche persone competenti, ma non è sufficiente a dimostrare che stiamo intraprendendo la strada giusta per la gender equality.
Il PNRR è indispensabile, anche ambizioso, corposo, per certi aspetti ridondante, espressione di una volontà, più tecnica che politica, di riforme strutturali ma anche un documento, a mio parere, con alcuni limiti pregiudiziali:
- il primo che mi viene in mente è già stato evidenziato: il Piano è stato stato approvato dal Governo senza discussione pubblica. Un aspetto che va oltre la mancata condivisione con le parti sociali o le audizioni formali, contravvenendo al regolamento approvato dalla Commissione UE a fine 2020, che prevedeva l’approvazione dei Piani da parte dei vari Governi come “sintesi del processo di consultazione, condotto in conformità con il quadro giuridico nazionale, delle autorità locali e regionali, delle parti sociali, delle organizzazioni della società civile, delle organizzazioni giovanili e di altre parti interessate pertinenti, per la preparazione e, ove disponibile, l'attuazione del piano e il modo in cui gli input degli stakeholder si riflettono nel piano”;
- il secondo è probabilmente meno condiviso, ma altrettanto importante. Per quanto in Europa il modello più diffuso resti quello della “famiglia eterosessuale monogamica fondata sul matrimonio” sono ammesse anche le convivenze non matrimoniali, sia registrate che di fatto, sia etero che omosessuali, come pure lo stesso matrimonio same sex, dimostrando che nell’Unione la famiglia è ormai considerata un’istituzione plurale. Nel nostro Piano prevale la rappresentazione basata sul tradizionale binomio uomo-donna, sottendendo un modello per nulla pluralista della famiglia;
- il terzo limite richiede un passaggio di approfondimento in più. Un’Europa che si limitasse a registrare la dimensione plurale dell’istituzione familiare sicuramente verrebbe meno agli scopi e ai suoi obiettivi, tant’è che nei Trattati (anche dopo Lisbona), l’Unione europea vi è concepita come “il luogo privilegiato del massimo dispiegamento delle istanze della persona e dei suoi diritti fondamentali”. La Carta di Nizza - avente lo stesso valore giuridico dei Trattati (art. 6, par. 1, TUE) - recita: “l’Unione pone la persona al centro della sua azione” omettendo, volutamente, ogni riferimento a “uomini e donne”. Contrariamente a ciò che avviene nei Piani presentati da Francia e Germania, all’interno dei quali ”le persone” sono i soggetti ai quali riferire i vari interventi, il PNRR italiano impiega principalmente singole categorie, nello specifico donne e giovani mentre altre, penso ai bambini e agli anziani, sono citate nella maggioranza dei casi, in quanto parte del carico familiare di cura in capo alle donne;
- l’ultimo limite è senz’altro il più difficile da superare. Intervenire sulle molteplici dimensioni della discriminazione verso le donne, per il PNRR italiano significa mettere in atto “politiche per le donne” (1.6.2 “Le pari opportunità di genere. Le politiche per le donne” pag.45). Ma da tempo, a livello internazionale, le donne rifiutano l’ottica dell’inclusione: le donne non devono essere incluse, perché le donne non sono una categoria, un settore a parte, a cui destinare misure protezionistiche. I servizi pubblici sono necessari a tutti, la condivisione delle responsabilità familiari parla al genere umano. Le politiche di genere non sono solo politiche per le donne, come i diritti umani non sono solo i diritti dell'uomo.
Le donne non sono una categoria e non sono un soggetto debole ma reso vulnerabile dalla violenza originata da una cultura maschilista; dalla mancanza di un reddito e di un lavoro dignitosi; dal mancato riconoscimento delle loro competenze all’interno della società; dal carico di lavoro che le viene attribuito come “naturale” senza alcuna giustificazione, che non sia discriminante; dalla mancanza di servizi pubblici, ecc. Nel discorso davanti al Parlamento europeo - dopo l'incontro con il Presidente turco Erdogan - la Presidente Von der Leyen ha ricordato al Parlamento europeo che “Per vedere il mondo in pieno abbiamo bisogno di donne e uomini. Questo è l’unico modo in cui saremo in grado di prendere le decisioni giuste.” Ha ragione, ciò che chiediamo è perchè siamo metà del mondo, perché siamo una risorsa attraverso la quale costruire una rinascita sociale ed economica per ogni Paese e per l’Europa.
Il PNRR approvato non è all'altezza di questo obiettivo.