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foto lavoro dignitàdi Gaetano Sateriale

Nell’editoriale del Corriere della Sera del 10 giugno, Carlo Verdelli, rendendo omaggio a Guglielmo Epifani, metteva in fila tutti i temi riguardanti il lavoro che sono quasi sempre affrontati in maniera separata l’uno dall’altro. La sicurezza e la salute prima di tutto (come nell’ultimo discorso di Guglielmo alla Camera, dopo la terribile morte di Luana D’Orazio), la possibile ondata di licenziamenti, i rischi di crescita della disoccupazione e della precarietà (giovanile e femminile), con i contratti in nero, le presunte partite IVA e le migliaia di imprese che non riusciranno a riconvertirsi e innovare con il rischio del dilagare delle irregolarità.  Insomma, proprio con la ripresa sospinta dall’Europa e dal Governo Draghi, il temibile stravolgimento della nostra carta costituzionale a partire dal suo fondamento: “il lavoro, appunto, come condizione di libertà, dignità e quindi autonomia di ogni singolo cittadino”. La possibilità, insomma, che la priorità della ripresa e del mercato sia di nuovo causa di diseguaglianze tra garantiti e non. Per evitare ciò Verdelli sosteneva la necessità di dare una coerenza costituzionale alla ripresa economica e “Rifondare il Paese a partire dal lavoro”.

Condividendo questo approccio, spiace constatare che i temi che riguardano ripresa e lavoro sono sempre affrontati separatamente. E che separatamente agiscono anche gli approcci delle parti politiche, di quelle istituzionali e di quelle sociali che giocano sempre più spesso in difesa del lavoro esistente. Il rischio che corriamo è molto elevato e purtroppo molto prevedibile: che la ripresa resiliente magari sarà più green ma non avrà al suo centro un consolidamento del lavoro né in termini quantitativi né qualitativi di maggiore dignità. Eppure non sarebbe impossibile chiedere ed ottenere dal Governo (e dalle imprese) un Patto per il Lavoro che per i prossimi anni coniughi difesa, transizione e innovazione anche nelle imprese e nel lavoro. Perché Cgil Cisl Uil e Confindustria tentennano su questo? È difficile da comprendere anche perché hanno di recente firmato insieme in Emilia Romagna un documento programmatico orientato esattamente in questa direzione (il Patto per il Lavoro e il Clima). Perché le decisioni forti assunte in una Regione dalle stesse organizzazioni (sindacati e imprese) non diventano patrimonio dell’intero Paese? L’unità di intenti è possibile solo territorialmente? Ma questo aumenta i rischi di disconnessione sociale e istituzionale e le probabilità che ciascuno, di fronte alle aspettative del mercato, agisca come ritiene più utile per sé.

FOTO GAETANO SATERIALEIn questa NewsLetter di Nuove Ri-Generazioni ci permettiamo di fare una proposta che speriamo le imprese e i sindacati edili condividano.

Da sempre l’industria edile è uno dei fattori determinanti della crescita economica e occupazionale. Da sempre è composta per la maggior parte di imprese piccole e piccolissime (con i fenomeni di appalto e subappalto che conosciamo) che fanno della precarietà e irregolarità del lavoro uno dei fattori di competitività. Tutti sanno ormai che la ripresa del settore edile sarà diversa dal modello ‘900: che si ridurrà il consumo di suolo, che si modificheranno le cubature degli immobili, le tecnologie, le materie prime impiegate e, conseguentemente, le professionalità necessarie. Che la rigenerazione urbana e dei territori prenderà il posto dell’espansione incontrollata e spesso non utilizzata degli edifici e delle infrastrutture. Perché allora non provare a disegnare proprio qui, a partire dall’edilizia, un settore che già registra indici di ripresa, quel Patto tra parti sociali e istituzioni che riteniamo necessario? Quella “rifondazione del paese a partire dal Lavoro”? Sarebbe un contributo importante e un battistrada fondamentale per coniugare fra loro sostenibilità ambientale sociale ed economica.