Impossibile realizzare un uso efficiente delle risorse europee senza affrontare la frattura Nord-Sud. Il riequilibrio territoriale è da considerarsi una delle chiavi di volta del Piano nazionale di ripresa e resilienza. E facendolo si rivelano i pieni e i vuoti, nel Piano e nella generale visione progettuale dei decisori politici. A disegnare i pieni e i vuoi è Sandro Staiano, Professore ordinario di Diritto costituzionale Università degli Studi di Napoli Federico II (Fonte: Federalismi.it n.14/2021).
I pieni: v’è orientamento ad «accompagnare» (questo il lemma adoperato nel PNRR) la realizzazione in Italia del programma Next Generation EU (NGEU), la messa in opera delle linee di investimento, con una «strategia di riforme». Ciò equivale a dire che v’è consapevolezza di inefficienze sistemiche – nella organizzazione della pubblica amministrazione, della giustizia, del fisco – giunte ormai a costituire una vera e propria questione istituzionale. Ed è chiaro che tale questione abbia una specificità nel Mezzogiorno, una specificità che richiede un supplemento di decisioni politiche e di risorse organizzative e materiali.
I vuoti: i vuoti sono inevitabili, al momento attuale, perché colmarli richiederebbe una capacità dell’intera classe politica di assumere un punto di vista a sé interno, che la conducesse a valutarsi e a determinarsi a correzioni non lievi del suo modo d’essere, per conformarlo a “spirito repubblicano”.
I vuoti sono sul versante della forma di governo, nel rapporto con il sistema dei partiti.
La pandemia ha fatto irruzione in un quadro di tumultuosa ristrutturazione dell’assetto partitico e, di conseguenza, di forte dinamismo della forma di governo italiana, della quale il tratto di maggiore evidenza era già l’elevata instabilità (...). La posizione di ciascuna forza nello schieramento ideologico e politico – definito dalla tradizione, dall’insediamento sociale, dall’elettorato di riferimento – è diventato, forse provvisoriamente, irrilevante nella costituzione della compagine governativa e nella determinazione degli equilibri parlamentari. Intanto il contesto partitico si trasformava e ora continua a trasformarsi.
Si è costituito un Governo a cerchi concentrici, intorno al primo motore Presidente del Consiglio, in quello più stretto dei quali pulsa il cuore dell’attuazione del PNRR, e in quello più largo risiedono i terminali della mediazione con e tra i partiti, sospinti dalla loro ansia di “rispecchiamento” dei desideri e delle pulsioni del proprio elettorato, attuale o potenziale.
Ora - sollecita Sandro Staiano - si tratta di valutare quale impatto abbia in tale contesto quell’indirizzo fondamentale di cui si diceva in avvio, forse l’indirizzo di maggior rilievo proveniente dalle istituzioni europee: la perequazione territoriale, cioè il superamento della disfunzione strutturale del sistema italiano provocata dalla frattura Nord-Sud.
Si può stimare che il Recovery Fund varato dall’UE destini una percentuale intorno al 25% del totale all’Italia (quindi in una percentuale di molto superiore al suo peso demografico relativo, che si attesta al 13,5%), ma con l’esplicito mandato di combattere le diseguaglianze sociali, di rafforzare la coesione, di promuovere lo sviluppo sostenibile, tecnologicamente adeguato; laddove i concetti di coesione, lotta alla diseguaglianza, sviluppo sostenibile, si possono raccogliere sotto un unico lemma: Mezzogiorno. Con i parametri scelti per attribuire le risorse (disoccupazione, reddito pro capite, popolazione), si può stimare che oltre il 40% della spesa territorializzabile, 82 miliardi, sia destinata a essere drenata verso il Sud: occorre cioè impegnare le maggiori risorse per porre fine allo spreco di enormi potenzialità e per arrestare la disgregazione derivante dal crescente divario Nord-Sud e da quello, ancora più allarmante, tra Italia ed Europa (che coinvolge anche le Regioni settentrionali).
Allora, la domanda fondamentale da porsi è quanto la descritta configurazione della forma di governo, in connessione con l’assetto partitico, sia potenzialmente terreno favorevole alla messa in opera di tale orientamento indotto dagli attori nel contesto europeo, o, al contrario, possa contrastarla o eluderla.
Nel PNRR, la “questione Sud” è messa in campo facendo anzitutto riferimento a quanto già previsto nel febbraio 2020 dal Piano Sud 2030: il PNRR deve perseguire «il riequilibrio territoriale, e il rilancio dello sviluppo del Sud come priorità trasversale a tutte le missioni. Nella definizione delle linee progettuali e di intervento del PNRR, pertanto, sarà esplicitata la quota di risorse complessive destinata al Mezzogiorno, che può valere anche come criterio prioritario di allocazione territoriale degli investimenti previsti». Il percorso di stabile riduzione dei divari territoriali dovrebbe quindi costituire una delle tre priorità trasversali del Piano; ed è anche su di esso che dovrebbero riverberarsi gli interventi lungo gli assi strategici della transizione ecologica e digitale e della coesione sociale.
Bene. Ma, se si va sul concreto, rimangono aperte molte importanti questioni. E una domanda di fondo: come saranno resi coerenti l’impiego delle risorse e le modalità della spesa con l’obiettivo di riequilibrio territoriale?
La risposta è nell’identificazione dei criteri che dovranno orientare le sedici componenti e le quarantotto linee di intervento previste dal PNRR che hanno impatto a Sud, identificazione oggi non disponibile. Né alcunché di utile si ricava dalle migliaia di pagine spedite alla Commissione europea, che chiede tanta luce sui dettagli, ma che talvolta smarrisce il nocciolo della questione.
Così nulla si dice in ordine alla proporzione – quanto alla priorità, nella concessione dei finanziamenti – tra progetti già “cantierabili”, e quindi tali da poter essere messi velocemente in opera (con maggiore garanzia del rispetto della scadenza, fissata per il completamento al 2026) e progetti che non hanno tale connotazione, e che dovrebbero essere sostenuti con un supporto tecnico efficiente ai soggetti storicamente in ritardo nella programmazione e nell’utilizzo delle risorse; né vi sono vincoli, in vista della redazione dei bandi, circa la statuizione di quote garantite di riparto. Senza di che, le risorse andranno liberamente, di preferenza, verso le aree più forti del Paese, e quegli 82 miliardi diventeranno un crudele miraggio.
Un’altra notevole carenza previsionale riguarda l’assenza di indicazioni circa il finanziamento della spesa corrente in servizi, in connessione con le prospettive di spesa in conto capitale: si consideri il caso delle infrastrutture ferroviarie, strategiche nel Mezzogiorno, non stabilendosi per esse quali servizi saranno disponibili e come saranno finanziati; o il caso dei servizi resi dagli enti locali – quelli scolastici, per esempio – nell’impatto che avranno nel tempo sulle politiche di bilancio. Insomma, non è detto – e forse non si vuole dire – come si pensa di coprire la spesa corrente dopo il potenziamento delle infrastrutture, e con quali aggiustamenti della finanza locale, nel quadro dell’art. 119 Cost., fronteggiare i fabbisogni per l’esercizio ordinario delle funzioni una volta potenziati i servizi con l’intervento straordinario previsto dal PNRR.
Si tratta, in sintesi, di raccordare l’impiego delle risorse derivanti dal PNRR con le linee del finanziamento ordinario, in modo da mantenere nel tempo i risultati attesi e conseguiti, operando secondo linee che tengano conto del diverso grado di efficienza della spesa nei diversi territori.
Per le connotazioni assunte dal sistema partitico italiano, sopra sinteticamente richiamate, la fase di contrasto alla pandemia, con la gestione dei confinamenti e delle necessarie misure restrittive di libertà fondamentali, è stata segnata da rimarchevoli disfunzioni, specie sul versante dei rapporti centro-periferia, (...) poiché le Regioni non si sono mai acconciate a tenersi entro i confini tracciati per i loro poteri dalle norme costituzionali e legislative ordinarie, definendo ciascuna (soprattutto una parte di esse, le più ragguardevoli per dimensione territoriale e demografica, e per consistenza economica) proprie “politiche dell’emergenza”, spesso non congruenti con quella nazionale, per assecondare le pressioni provenienti dai rispettivi territori (...). Questo moto centrifugo non è stato contrastato efficacemente dai poteri centrali, dal Governo in ispecie, né in sede di contenzioso giurisdizionale, né mettendo in opera le misure previste dall’art. 120 Cost., preferendo una contrattazione permanente, nella quale il quadro delle competenze è stato esposto a continue lacerazioni, per gli eccessi di ruolo in sede regionale.
Ora, stando a quanto previsto dal cosiddetto “decreto semplificazioni” (decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, Governance del Piano nazionale di rilancio e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative di accelerazione e snellimento delle procedure), il modello della negoziazione Stato-Regioni viene, in parte significativa, riproposto per l’attuazione del PNRR. Nel complesso, la strada prescelta non è quella della rapida introduzione di riforme strutturali dell’ordinamento amministrativo, ma di procedure straordinarie destinate a valere solo per l’attuazione del PNRR.