di Gaetano Sateriale
I posti di lavoro che ci sono vanno difesi, i posti di lavoro che mancano vanno creati. Sostenere solo una delle due facce del problema è sbagliato e controproducente. Gestirle insieme significa avviare una fase di transizione, certamente lunga, in cui servono strumenti e politiche per generare e combinare nuova domanda di lavoro e nuova offerta. Con la formazione, la mobilità, gli ammortizzatori sociali, la contrattazione. Se il motore dello sviluppo riprende a tirare ci saranno più occasioni di lavoro con cui affrontare le crisi. Altrimenti, una politica del lavoro fatta solo di salvagenti provvisori è destinata a far crescere la disoccupazione e precarizzare ulteriormente il lavoro (o dividere ancor di più il lavoro garantito da quello precario: per tempi, retribuzioni, diritti).
È molto probabile, dato l’ammontare straordinario delle risorse previste dal PNRR, che il motore dello sviluppo si rimetta in moto. Il problema torna ad essere quello di sempre. Che tipo di sviluppo? Governato, orientato o lasciato ai liberi comportamenti del mercato? Che aumenta le diseguaglianze o le riduce? Che peggiora le condizioni ambientali o le migliora? Insomma: uno sviluppo sostenibile che produce un lavoro sostenibile oppure no?
È difficile credere che la gestione del PNRR (malgrado gli indirizzi apprezzabili dell’UE) vada ovunque nella direzione giusta della riduzione delle diseguaglianze e del miglioramento ambientale. Perché il PNRR si tradurrà in centinaia di progetti territoriali senza un’efficace capacità di governo né nazionale, né regionale, tantomeno delle città metropolitane e dei comuni minori fino alle aree interne del Paese.
Se la frantumazione della governance istituzionale rischia di vanificare la coerente applicazione degli indirizzi europei del NGEU e del PNRR sul green deal e la coesione sociale, non basta certo far parte della cabina di regia nazionale per evitarlo. Non basta avere ogni settimana un incontro con Draghi o i ministri competenti. C’è bisogno di una nuova presenza territoriale, di più ampia capacità di contrattazione, di una più forte volontà di confrontarsi con i governi locali sulla coerenza dei progetti finanziati e sulla loro efficace realizzazione.
L’esperienza della contrattazione sindacale territoriale degli ultimi 10 anni si va esaurendo. Calano i numeri degli accordi, quella pratica si riduce alle aree del Nord del Paese, riguarda in particolare gli anziani e le fragilità. Continuiamo pure a svolgere quel ruolo di protezione minima. Ora però c’è in gioco l’orientamento del processo di sviluppo: c’è bisogno di una nuova contrattazione territoriale in applicazione del PNRR. Si tratta di impostare un’attività che durerà alcuni anni ma che va avviata a partire dal prossimo autunno, se si vuole essere tra i protagonisti di ciò che si sta avviando.
Come impostarla? Solo tre raccomandazioni per l’Associazione Nuove Ri-Generazioni e quanti ne seguono gli indirizzi nei territori. 1. Partire da bisogni e misurare su questi l’efficacia dei progetti da realizzare, non il contrario. I bisogni delle persone, dei cittadini, a partire dalle loro fragilità, moltiplicate dalla pandemia ma esistenti e dalle necessità non corrisposte nemmeno prima. I bisogni dei territori (città, periferie, campagne, montagne) rimasti troppo a lungo senza manutenzione, riqualificazione, innovazione. 2. Pensare a una contrattazione/confronto multilivello. Non tutto passa per le Regioni, non tutto per i Comuni. Bisogna individuare di volta in volta gli interlocutori più adatti a fornire le risposte necessarie. 3. Coinvolgere la società civile in questo percorso, promuovere più partecipazione e non ritenersi portatori monopolisti delle esigenze dei cittadini. La contrattazione territoriale multivello (o concertazione che sia) ha più forza se coinvolge le associazioni del volontariato, le università, i cittadini. Le piattaforme e gli accordi devono essere strumento di nuova democrazia. Anche in supplenza di un vuoto sempre più preoccupante della rappresentanza politica diffusa.
Dalla realizzazione dei progetti nei territori emergeranno nuove imprese e nuovo lavoro da garantire in termini di condizioni, di diritti, di dignità.