Il 26° vertice delle Nazioni Unite sul clima, COP26, rappresenta un'opportunità unica per attuare una risposta efficace ai cambiamenti climatici. Per garantirne il successo, quasi 100 Paesi in via di sviluppo si sono riuniti e prodotto il documento “COP26 Delivering the Pais Agreement – A five-point plan for solidarity, fairnass and prosperity”, dove invitano le nazioni ricche a fornire almeno i 100 miliardi di dollari l’anno che avevano promesso per aiutarli ad affrontare il cambiamento climatico e a farlo prima dell’incontro previsto a novembre a Glasgow. Si tratta di un piano in 5 punti che invita anche i Paesi più ricchi ad accelerare i tagli alle emissioni e ad aumentare i finanziamenti per le nazioni vulnerabili.
La COP26 dovrà, quindi, essere prima di tutto un vertice in cui i governi che hanno firmato l'accordo di Parigi nel 2009, dovranno mantenere le promesse fatte.
Il documento infatti delinea come dovrebbe essere un pacchetto di solidarietà efficace. Il gruppo dei Least developed countries (LDC), l’Alliance of small Island States e l’African group of negotiators hanno sostenuto il piano che definisce la loro posizione su questioni chiave di negoziazione, compreso come dovrebbe essere l’obiettivo finanziario dal 2025. I sostenitori del piano rappresentano più della metà dei Paesi del mondo e avvertono che senza progressi su questi punti, sarà tutto inutile e il summit finirà con un fallimento.
Le cinque questioni chiave che i Paesi poveri ritengono fondamentali per un successo dei negoziati sono:
Riduzione delle emissioni: nonostante alcuni progressi, la somma totale delle politiche climatiche in atto non manterrà il riscaldamento globale entro i limiti concordati dai governi a Parigi nel 2015. È urgentemente necessaria un’accelerazione degli obiettivi net zero, guidati da coloro che hanno le maggiori responsabilità e capacità.
Finanza: alla COP di Copenaghen nel 2009, i Paesi più ricchi hanno promesso 100 miliardi di dollari l’anno in finanziamenti per il clima entro il 2020, con un aumento delle somme annuali dal 2025. Questo obiettivo non è stato raggiunto e deve essere fissato in modo da potersi fidare sul fatto che i Paesi più ricchi si attengano a quel che negoziano. Questo fondo ha lo scopo di aiutare quei Paesi a basso reddito ad adattarsi e combattere il cambiamento climatico.
Adattamento: i paesi in via di sviluppo chiedono che almeno il 50% dei finanziamenti per il clima sia utilizzato per aiutare i più vulnerabili ad adattarsi agli effetti del riscaldamento globale.
Perdite e danni: l’incapacità storica dei Paesi più ricchi di ridurre adeguatamente le proprie emissioni significa che i più vulnerabili stanno già subendo perdite e danni permanenti. Le responsabilità devono essere riconosciute e le misure promesse devono essere realizzate.
Attuazione: da Parigi in poi, ricchi e poveri hanno mercanteggiato su questioni come il commercio del carbonio e la trasparenza. I Paesi in via di sviluppo vogliono vedere finalmente risolte queste questioni e vogliono che tutti i Paesi concordino scadenze comuni quinquennali per i loro piani climatici nazionali.
Alla COP26 i Paesi del mondo dovrebbero discutere del nuovo obiettivo per sostituire e andare oltre l’impegno assunto dai Paesi ricchi nel 2009 di stanziare, entro il 2020, 100 miliardi all’anno da fonti pubbliche e private per aiutare i Paesi in via di sviluppo a ridurre le emissioni di gas serra e far fronte agli impatti climatici. Ma secondo gli ultimi dati disponibili dell’Ocse, mancherebbero almeno 20 miliardi di dollari perché i Paesi ricchi rispettino l’obiettivo.
I Paesi in via di sviluppo dicono che, rispetto ai circa 62 miliardi di dollari del 2018, i Paesi ricchi dovrebbero impegnarsi a fornire almeno 100 miliardi di dollari all’anno dalle sole finanze pubbliche a partire dal 2025. Questo dovrebbe essere integrato da un obiettivo aggiuntivo di finanziamenti mobilitati dal settore privato.
Sonam Wangdi, del Bhutan e presidente del gruppo LDC ha sottolineato che "Noi Paesi vulnerabili non chiediamo molto: solo che i paesi più ricchi, che hanno causato questo problema, si assumono la loro responsabilità tagliando le loro emissioni e mantenendo la loro promessa di aiutare coloro che le loro emissioni hanno danneggiato. Nonostante il Covid abbia comprensibilmente occupato i titoli dei giornali, il cambiamento climatico è peggiorato nell’ultimo anno perchè le emissioni continuano ad aumentare e le vite e i mezzi di sussistenza di chi è in prima linea ne soffrono. La COP26 deve essere un vertice nel quale si vedano azioni e non parole. Abbiamo abbastanza piani: quello di cui abbiamo bisogno è che le principali economie inizino a mantenere le loro promesse. Le nostre economie stanno soffrendo di fronte all’aumento degli impatti climatici e alle difficoltà di bilancio: o noi investiamo per uscire da questo pasticcio o affronteremo un decennio brutale di perdite e danni".
Il position paper evidenzia che "Nel complesso, il nuovo obiettivo dovrebbe basarsi su valutazioni scientifiche dei costi degli impatti climatici e della decarbonizzazione nei Paesi in via di sviluppo".
Secondo l’United Nations environment programme (Unep), attualmente i Paesi in via di sviluppo necessitano di 70 miliardi di dollari all’anno per adattarsi ai cambiamenti climatici, una cifra che entro il 2030 dovrebbe salire a 140 – 300 miliardi di dollari all’anno. La sola Africa ha bisogno di circa 3 trilioni di dollari per attuare i suoi piani di adattamento entro il 2030.
In un’analisi pubblicata di recente dall’International institute for environment and development (Iied), stima che, per finanziare i loro piani di adattamento i Paesi LDC avrebbero bisogno di 200 miliardi di dollari tra il 2020 e il 2025 e poi ancora dal 2025 al 2030, ma tra il 2014 e il 2018 hanno ricevuto meno del 3% dei fondi di cui avevano bisogno.
Power Shift Africa ha dichiarato che "L’obiettivo finanziario a lungo termine dovrebbe essere basato sui bisogni valutati delle nazioni vulnerabili piuttosto che su un impegno politico arbitrario da parte dei Paesi ricchi. L’obiettivo dovrebbe essere il minimo indispensabile fornito dai Paesi donatori ed essere costituito principalmente da sovvenzioni, con almeno il 50% destinato all’adattamento".
La quota dei prestiti della finanza pubblica è aumentata notevolmente negli ultimi anni, raggiungendo il 74% nel 2018. Al contrario, la quota di sovvenzioni è diminuita dal 27% al 20% tra il 2013 e il 2018 e solo un quinto circa dei finanziamenti per il clima è destinato all’adattamento .
Per aiutare le nazioni ad aumentare i fondi per far fronte agli impatti climatici, i Paesi in via di sviluppo chiedono che il 5% dei proventi del commercio globale di crediti di carbonio tra le nazioni sia convogliato al Fondo di adattamento. Le regole per il nuovo mercato del carbonio dovrebbero essere definite nel corso della COP26.
Nel rapporto, i Paesi in via di sviluppo delineano, inoltre, quella che viene definita una “contabilità equa”, che assegna i tagli alle emissioni in base alla responsabilità storica e alla capacità di agire. In questo scenario, gli Stati Uniti dovrebbero ridurre le emissioni del 195% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030. Questo potrebbe essere realizzato con un taglio del 70% delle emissioni nazionali più 80 miliardi di dollari l’anno a sostegno dei Paesi in via di sviluppo. Per il Regno Unito, un approccio simile vedrebbe una riduzione delle emissioni del 70% entro il 2030 più 46 miliardi di dollari l’anno in finanziamenti per il clima.
Ma le discussioni future non saranno facili, visto che il governo del Regno Unito, che ospiterò la COP26 co-organizzata con l’Italia, ha tagliato il suo budget per gli aiuti e che i Paesi donatori non riescono già a soddisfare i loro obblighi di finanziamento climatico.
Conflitti ed eventi metereologici estremi ci hanno condotto, nel 2020, all’ondata di migrazione più alta registrata in dieci anni. Oltre a un’azione umanitaria globale, serve un cambiamento nei tradizionali approcci di gestione del rischio. In sostanza: non c’è più tempo e l’Italia come si comporterà?
Per la Redazione - Serena Moriondo