Oggi e domani il nostro Paese ospita il primo Summit del G20 a guida italiana, il primo incontro che si concentrerà sulla ripresa post-pandemica: molti i temi su cui discutere, ancora di più le sfide che i Paesi sono chiamati ad affrontare.
Pur essenso più inclusivo rispetto ai vari summit (come il G7o il G7+), molti Paesi – a partire da quelli più poveri - ne rimangono esclusi. Per questo vi sono Paesi che chiedono una partecipazione molto più ampia, anche se alcuni temono il rischio di duplicare l'ONU. Pur con tutti i suoi limiti, il G20 rimane , al momento, uno strumento multilaterale che ha una significativa rappresentatività (60% della popolazione mondiale, 80% del PIL globale e 75% del commercio internazionale). In sua assenza, il rischio è quello di rimanere in balia delle due superpotenze attuali: USA e Cina.
Alcuni dati di contesto nel quale il G20 dovrà continuare a confrontarsi.
Per la prima volta in vent’anni la povertà è ulteriormente cresciuta a livello globale. I lavori del G20 si sono concentrati su due temi: la parità di genere e l’accesso al mercato del lavoro. Tra i suoi obiettivi realizzare l’ingresso nel mondo del lavoro a 100 milioni di donne in più entro il 2025. Il G20 ha fatto appello al Fondo Monetario Internazionale (FMI) e ai Paesi a più alto reddito perché rafforzino il proprio sostegno alla lotta alla povertà e abbattere le disuguaglianze.
Dopo la pandemia, l’indebitamento pubblico ha raggiunto il picco del 100% del Pil mondiale. Un pericoloso aumento che ha coinvolto sia nei Paesi ricchi che in quelli poveri. Il G20 ha posticipato il ripagamento dei debiti dei Paesi più poveri fino alla fine del 2021, cercando anche di prevenire possibili default nei Paesi in via di sviluppo e ha invitato il Fondo Monetario Internazionale a un intervento senza precedenti che mira anche a supportare la transizione verde dei Paesi in via di svilupo. Quello della finanza e dell’economia è l’ambito “tradizionale” del G20 e quindi si tratta di risultati significativi (tra questi, non va dimenticato anche l’accordo “storico” per l’adozione di una tassa minima globale). Tuttavia, gli esperti, ci ricordano che il rischio di una crisi finanziaria non può ritenersi superato.
I ministri della Salute del G20 si sono impegnati a vaccinare il 40% della popolazione mondiale entro la fine del 2021 (target portato proprio ieri al 70% entro metà 2022). Bisognerà impegnarsi molto per raggiungere questo obiettivo dato che, ad oggi, solo il 38% della popolazione mondiale ha ricevuto due dosi di vaccino, ma restano amplissime disparità tra le regioni tant'è che, ad esempio, in Africa solo il 5,6% degli abitanti ha ricevuto due iniezioni. Malgrado iniziative come COVAX e ACT-A, gli interventi multilaterali risultano ancora parziali e molto in ritardo.
Nel 2020, 281 milioni di persone hanno abbandonato il prorpio Paese d’origine confermando un trend in atto ormai da decenni. In particolare, il numero di migranti verso i Paesi del G20 è raddoppiato in trent’anni. Va comunque segnalato che molti migranti – e sempre più anche per motivi ambientali – si spostano verso altri Paesi in via di sviluppo aggravando una già difficile condizione socioeconomica. La necessità di un maggiore coordinamento a livello mondiale in tema di politica migratoria è oramai diventato un tema urgente anche per il G20.
I Paesi del G20 sono responsabili di quasi l’80% delle emissioni globali di CO2. Guidano la (negativa) classifica Cina e Stati Uniti, che insieme producono oltre il 42% delle emissioni. Dati che dimostrano quanto l’impegno del G20 per mantenere l’aumento della temperatura al di sotto di 1,5°C sia fondamentale. E' già emerso l’impegno di mobilitare $100 miliardi all’anno fino al 2025 per finanziare la transizione verde nei Paesi in via di sviluppo. Su un nodo cruciale in vista della COP26 non è stato però finora raggiunto un accordo: il phasing out cioè l'eliminazione graduale del carbone e l'eliminazione dei sussidi pubblici alle fonti energetiche fossili. Senza impegni concreti su questi punti, le temperature potrebbero aumentare di 2,7°C entro fine secolo.
Per raggiungere gli obiettivi internazionali legati al cambiamento climatico e favorire la transizione digitale, sono necessarie infrastrutture innovative e sostenibili ma gli investimenti attuali non sono ancora in grado di coprire i bisogni stimati da qui al 2040. Il G20 ha ribadito l’importanza di colmare il gap accelerando sul fronte degli investimenti, puntando anche sul maggiore coinvolgimento del settore privato.
In merito alla cooperazioneinternazionale, in ambito ONU, è dagli anni ‘70 che gli Stati più ricchi si sono posti l’obiettivo di trasferire lo 0,7% del proprio reddito nazionale lordo ai Paesi in via di sviluppo (PVS). Ad oggi questo obiettivo è stato raggiunto solo da pochissimi: a livello G20 sono solo due: la Germania e il Regno Unito.
Una delle principali sfide globali è la transizione digitale: le nuove tecnologie offrono grandi benefici, ma c’è il rischio che molti vengano lasciati indietro: se in Bahrain e in Islanda il 99% dei cittadini può ollegarsi online, in Ciad solo il 5,2%, in Bangladesh il 12,9% e ad Haiti il 32,5%. La pandemia ha contribuito ad allargare il cosiddetto “digital divide”, ovvero la differenza tra chi ha accesso a Internet e chi ne è escluso. Il tema è entrato da poco nell’agenda del G20 e i passi avanti appaiono modesti: non si vale molto oltre gli scambi di best practices e dichiarazioni di intenti (come sul tema della tutela dei minori).
Anche il commercio internazionale è stato reso vulnerabile dal COVID-19, sebbene gli scambi si siano ridotti meno di quanto accaduto nella scorsa crisi finanziaria. Nel 2021 i flussi di beni sono tornati a crescere e, secondo le ultime stime, dovrebbero riallinearsi con le tendenze pre-pandemiche già nel 2022. Tuttavia, manca un accordo tra i Paesi del G20 e sarà difficile che questa situazione si sblocchi al Summit di oggi: un segnale poco incoraggiante in vista della dodicesima Conferenza Ministeriale dell’OMC che si terrà a Ginevra fra poco più di un mese.
Per la Redazione - Serena Moriondo