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IMMAGINE 25 NOVEMBREA livello mondiale, una donna su tre è stata vittima di violenza almeno una volta nella vita, in Italia, quasi sette milioni sono le donne hanno riferito di avere subito violenza fisica e/o sessuale nell’arco della loro vita.

Femminicidio, stupro, percosse, stalking, violenza psicologica, molestie, plagio; mobbing, esclusione dal lavoro, soffitto di cristallo, mancato riconoscimento del lavoro di cura, pensioni da fame; diseguaglianze nella medicina, nella ricerca, nella sperimentazione dei farmaci, e nello studio dei fattori di rischio; immagini discriminatorie e lesive nella pubblicità, ruoli stereotipati di genere sui media, nei libri scolastici, nelle letture per l’infanzia, nei fumetti, nei film; “semplici” parole che danno forma a pensieri offensivi e umilianti, ....

Le violazioni dei diritti umani che riguardano le donne a qualsiasi età sono innumerevoli e ripetute. Altrettanto numerose le conquiste sociali ottenute dal loro impegno e dalla loro lotta, ma mai sufficienti.

Ogni giorno affrontiamo convinzioni profondamente radicate sul fatto che appartenere al sesso femminile o maschile determini le nostre abilità e preferenze e questo influisce sui nostri pensieri, scelte e decisioni, comportamenti e su come ci identifichiamo.

Nella seconda metà del XIX secolo l’antropologo e psicologo parigino Gustave Le Bon sosteneva, sulla base di misurazioni della scatola cranica, che il cervello degli uomini avesse dimensioni maggiori di quello delle donne e, in caso contrario, aggiungeva che queste donne “sono eccezioni quanto la nascita di ogni tipo di mostruosità come, per esempio, un gorilla a due teste; di conseguenza possiamo ignorarle completamente” e che, comunque, la differenza era tale da giustificare la disparità di ruolo all’interno della società.

Stessa cosa è avvenuta nel ‘900 con la misurazione dell’attività cerebrale durante specifici compiti cognitivi che sono arrivati a sostenere l’esistenza di competenze differenti tra donne e uomini correlate al cervello (es. capacità strategiche e di gestione del potere negli uomini, una maggiore empatia e attitudine alla cura da parte delle donne).

Nel corso degli anni questa concezione continua a riemergere, con studi e articoli che tentano di provare questa diversità.

Copertina libro Gina RippponSecondo Gina Rippon, professoressa di cognitive neuroimaging all’Aston Brain Centre dell’Aston University di Birmingham nel suo libro “The gendered brain. The new neuroscience that shatters the myth of the female brain” pubblicato nel 2020, continuare a parlare di cervello “maschile” e cervello “femminile” è non solo sbagliato, ma anche profondamente discriminatorio e controproducente per l’intera società.

Nel suo libro, la neuroscienziata prende in considerazione tutti i vari studi e dimostra come moltissimi di questi possiedano un “bias” iniziale, in altre parole una distorsione della realtà: se si vuole dimostrare che esistono delle differenze, allora si troveranno delle differenze. Se queste differenze, invece, non vengono trovate, allora è probabile che lo studio non venga pubblicato.

immagine pubblicità sessista 3Se, in una prima fase questo tipo di studi sembrava essere rivolto solo a dimostrare, in modo più o meno esplicito, l’inferiorità delle donne rispetto agli uomini, in un secondo momento il focus della ricerca si è spostato – come spiega la Rippon nel suo libro – su un’idea, più facilmente digeribile, di complementarietà dei due sessi. Stereotipi che denunciano l’esistenza del “neurosessismo” che avrebbero influenzato la ricerca scientifica, con interpretazioni spesso forzate e finalizzate a giustificare, e mantenere, l’organizzazione patriarcale della società.

Lo stereotipo più lampante – e quello che crea una grave problematica a livello sociale – è quello che vede il cervello femminile inadatto alle scienze. Questo stereotipo, sostiene Rippon, non ha alcun riscontro nel cervello. Il risultato è che la rappresentazione femminile in campo scientifico è bassissima: pensate che, per raggiungere una parità di uomini e donne in campo lavorativo scientifico in Italia, al ritmo attuale, ci vorrà fino al 2138. La diversità funzionale tra “cervello maschile e femminile” è una teoria che ha una lunga trattazione scientifica a suo favore, ma che considera il cervello dell’adulto dopo il momento della “lateralizzazione”, ovvero quando gli emisferi si sono già specializzati. Nel libro, invece, viene dimostrato come le bambine e i bambini non abbiano differenze né nelle modalità e né nelle capacità di usare il cervello, di comprendere il mondo. Queste idee guidano il modo in cui i bambini vengono cresciuti ed educati, dalle diverse attitudini alle aspettative, esponendoli a diverse esperienze e opportunità. I cervelli, essendo plastici e modulabili, si sviluppano in modo da riflettere queste differenze.

Immagine pubblicità sessista 4Se però viviamo tra gli stereotipi e troviamo, nella società, una serie di immagini e concetti che ci fissano da cartelloni pubblicitari, copertine di riviste, spot televisivi, confezione di prodotti, locandine di film e  social media, che veicolano la stessa idea, allora non potremo più riuscire a vederci al di fuori di questo modello. 

Più che “limitazioni imposte dalla biologia” quelle che vediamo sono, dunque, “restrizioni imposte dalla società”, vere e proprie ingiustizie e violazioni dei diritti umani. 

* La locandina del 25 NOVEMBRE è stata realizzata dall'Istituto Statale di istruzione superiore "Antonio ROSMINI" di Palma Campania (NA).

Per la Redazione - Serena Moriondo