Nella ricerca "Digitalizzazione industriale – un’inchiesta sulle condizioni di lavoro e salute" Dario Fontana, ricercatore di Sociologia del lavoro presso il Servizio di epidemiologia del Piemonte, ha studiato gli effetti dello sviluppo tecnologico su più di mille lavoratrici e lavoratori – svolta all’interno di otto aziende di medie e grandi dimensioni della provincia di Modena (uno dei poli produttivi più avanzati del Paese), operanti nei settori: agroalimentare, metalmeccanico, ceramica, biomedicale, logistico, bancario.
La ricerca e la successiva inchiesta sul campo sono iniziate a settembre del 2018 e si sono concluse nel mese di marzo 2020, l’elaborazione e la revisione completa dei dati, oltre alla scrittura del testo, si è conclusa nel mese di febbraio 2021. Particolare risalto si è dato ai principali effetti sulla salute riguardanti: rischio stress-lavoro correlato, salute mentale, disturbi muscolo-scheletrici.
Negli ultimi anni la digitalizzazione si è imposta come direzione strategica delle trasformazioni sociali, sia nell’ambito dei consumi che in quello della produzione. Non è un caso che la gestione di questo nuovo sviluppo tecnologico sia uno dei pilastri del PNRR. Il dibattito pubblico si è quasi del tutto focalizzato sulle possibili conseguenze occupazionali, tese alla possibile riduzione della forza lavoro, ma pochissimo si è detto sulla qualità del lavoro di chi opererà con queste tecnologie innovative. Si tende a pensare che qualsiasi strada prenderà lo sviluppo tecnologico sia di per sé positiva. Ma non è così.
I principali risultati.
L’autore si pone diverse domande, una tra queste si traduce così: gli interessi delle imprese coincidono sempre con quelli delle lavoratrici e dei lavoratori?
E, purtroppo. emerge un quadro alquanto preoccupante che conferma, dopo oltre 45 anni dalla pubblicazione di due pietre miliari della medicina e della psicologia del lavoro in Italia: “Medicina preventiva e partecipazione” (Oddone, 1975) ed “ Esperienza operaia, coscienza di classe e psicologia del lavoro” (Oddone, Re, Briante, 2008) - che lo sfruttamento e l’alienazione nel lavoro si sono pienamente adattati nell’accezione moderna del lavoro.
- Il primo elemento che si impone con forza è la presenza di un’alta intensificazionedel lavoro e standardizzazionedelle procedure. All’interno dell’intensificazione, la variabile che la fa da padrona è una richiesta di alta velocità della prestazione. Entrambe le dimensioni sembrano quindi risultare un elemento strutturante a cui la digitalizzazione non solo si è adeguata, ma assurge da catalizzatore, in particolare verso un aumento dei carichi di lavoro.
- Il secondo corrisponde a un basso spazio di decisionalità.Il controllo complessivo sull’organizzazione del lavoro (e su altri aspetti fondamentali come la tecnologia e gli obiettivi produttivi), sembra ancora vincolato – nella sua essenza – a una direzione aziendale che esclude le lavoratrici e i lavoratori dai processi decisionali. All’interno del processo produttivo si assiste invece ad un “effetto forbice”, cioè aumenta la complessità del lavoro senza che ad essa segua un congruo aumento dell’autonomia. Ben che vada l’autonomia appare confinata alle sole pratiche di “problem solving” e più in generale alla gestione della mansione entro i rigidi confini decisi dall’azienda. In generale, più aumenta il grado decisionale più diminuisce la quota di lavoratori coinvolti. E, nel “rapporto uomo-macchina” (intesa anche come software), la maggioranza dei lavoratori intervistati ritiene di essere determinata nel proprio agire dalla macchina e non viceversa, vivendo una bassa o addirittura nulla interazione con essa, ricevendo solo indicazioni o al massimo inserendo dei dati attraverso vincoli e prescrizioni molto rigidi.
- A questo modello di organizzazione del lavoro si affianca una percezione delle relazioni socio-organizzative caratterizzata da bassa cooperazione e un lavoro fortemente individualizzato, unadiseguale distribuzionedel lavoro e una forte insicurezza di esso, intesa come alta paura della disoccupazione e precarietà, pericolo di sostituzione sia da parte della tecnologia ma anche di una concorrenza a basso costo e grande difficoltà a riciclarsi nel mondo del lavoro.
Il quadro fin qui sinteticamente riportato non comporta, secondo il ricercatore, solo un giudizio negativo in campo organizzativo, ma effetti che investono la salute.
Dalle statistiche italiane e internazionali emerge come i disturbi muscolo-scheletrici e le patologie legate allo stress lavoro-correlato – di cui entrambi gli andamenti risultano in preoccupante ascesa – siano ormai malattie professionali strutturali all’attuale modo di produzione, cioè direttamente collegate all’aumento dell’intensificazione del lavoro e alla diminuzione dello spazio decisionale. In particolare, chi lavora con macchine digitali evidenzia più del doppio delle probabilità di incorrere nel rischio stress. A cascata, anche la salute mentale segna un dato preoccupante: nello specifico una cattiva salute mentale appare fortemente associata a un contesto ad alto rischio stress. Inoltre, in un contesto intensificato, i disturbi muscolo-scheletrici non possono che raggiungere livelli allarmanti. Fra le lavoratrici e i lavoratori intervistati solo il 18% non dichiara nessun disturbo e oltre il 70% dei disturbi dichiarati (decisamente fuori norma) risulta statisticamente associato all’attività lavorativa. Il rapporto fra lavoro e salute appare chiaro e così il degrado che ne deriva da una concezione di scambio inversamente proporzionale fra lavoro e salute.
Molto altro emerge da questa ricerca, ma ciò basta - sostiene il ricercatore - quantomeno a smentire che l’innovazione tecnologica sia di per sé "emancipante" delle condizioni di lavoro. Non vi è un unico modello organizzativo possibile e non vi è neppure un’unica tecnologia digitale per ottenere gli stessi prodotti o fornire i medesimi servizi. Il nodo centrale risiede sul come si sceglie e chi agisce il potere di tali scelte.
Non a caso il Prof. Oddone - docente universitario, psicologo e medico - grazie alla stretta collaborazione che intercorse negli anni ’70 del Novecento con le rappresentanze sindacali delle lavoratrici e dei lavoratori (in particolare della Cgil), affermava e soprattutto documentava che”.. in fabbrica come altrove, un uomo rimane tale anche nelle condizioni più ostili, mantiene la sua capacità di pensare, è in grado di riappropriarsi del significato e dell’importanza sociale del suo lavoro, può sviluppare la sua identità professionale in una intelligenza collettiva centrata sul progetto di trasformazione del presente.“
Il richiamo ad un nuovo corso sindacale diviene di conseguenza sempre più urgente, nella direzione di un’acquisizione di nuove competenze in merito alla contrattazione della moderna organizzazione del lavoro.
* Segnaliamo il documento dell’Agenzia europea EU-OSHA, di particolare interesse dal titolo: “THE IMPACT OF USING EXOSKELETONS ON OCCUPATIONAL SAFETY AND HEALTH”. Lo studio si occupa del ruolo che gli esoscheletri possono ricoprire all'interno dell'ambiente lavorativo in futuro e dell’impatto del loro utilizzo sulla sicurezza e salute delle lavoratrici e dei lavoratori valutandone, contestualmente, i rischi potenziali nutrendo dubbi a riguardo per gli effetti a lungo termine. Il documento riporta, infine, il dibattito in tema di gerarchia delle misure di prevenzione da considerare nella progettazione dei luoghi di lavoro futuri.) Link: Exoskeletons26OSH.pdf
Per la Redazione - Serena Moriondo