di Serena Moriondo
In futuro saranno solo gli investimenti a determinare come sarà il SSN o sarà la scelta del modello a garantire la tutela della nostra salute come fondamentale diritto? La domanda è legittima perchè nei prossimi anni avremo 20 miliardi di euro da investire nel Servizio sanitario nazionale. E’ una cifra di rilievo ma dobbiamo ben comprendere cosa ciò comporti per il sistema di salute pubblica.
Dal PNRR avremo solo risorse in conto capitale, quindi finanziamenti per investire in infrastrutture, in tecnologie, nel ridisegno dei processi, e non soldi aggiuntivi di parte corrente da investire per assumere personale sanitario di cui abbiamo bisogno e per garantire la gestione dei servizi, sia nel territorio che nelle strutture ospedaliere.
Ogni Amministrazione regionale ha iniziato a snocciolare, nei documenti relativi all’applicazione del Piano nazionale in riferimento alla propria realtà, la programmazione di un numero elevato di strutture sanitarie. Due esempi: per la Lombardia la previsione consiste in 203 Case della Comunità, 60 Ospedali di Comunità e 101 Centrali Operative Territoriali Complessivamente, incluse le risorse regionali, vengono destinati 1 miliardo e 350 milioni di fondi per l’edilizia sanitaria; per il Lazio 170 Case di comunità, 44 Ospedali di comunità, 64 Centrali operative e così via.
Per comprendere cosa ciò può significare prendiamo due esempi.
1. Il nuovo modello di Sistema regionale sanitario approvato alla fine dello scorso anno dalla Lombardia ha ottenuto il consenso dal ministro Speranza e dal Governo. Il SSR lombardo si presenta con un disegno complesso, affatto confuso, che va ben oltre l’impostazione sperimentale adottata nel 2015. Cambia, infatti, il sistema organizzativo di offerta e gestione della sanità, controllato per larga parte da strutture private, tant’è che all’interno del sistema sanitario lombardo le strutture pubbliche e private sono oramai “equiparate”. Vi sono alcuni indirizzi positivi e, da anni, largamente condivisi a livello internazionale, come l’approccio one health, finalizzato alla promozione della salute non solo degli esseri umani, ma anche degli animali e dell’ambiente attraverso la prevenzione, l’attività sportiva; l’innovazione tecnologica e la medicina territoriale; un assessorato unico salute-famiglia e una programmazione su base epidemiologica. Al di là degli aspetti positivi però, viene enfatizzata la “libera scelta del cittadino” con equivalenza e integrazione dell’offerta sanitaria tra strutture pubbliche e private iscritte nel registro regionale delle strutture accreditate.
La Cgil ha più volte sostenuto che, in realtà, oggi “una vera libertà di scelta non esiste”: le strutture pubbliche hanno liste d’attesa lunghissime e questo obbliga le persone a rivolgersi al privato e o alla libera professione, con costi a carico dei cittadini e solo se possono permetterselo. Anche sostenere che strutture pubbliche e private possano essere equiparate non è corretto. Le regole sono completamente differenti: si pensi solo alle modalità di assunzione del personale e ai contratti di lavoro. Inoltre le strutture pubbliche non possono scegliere quali servizi e prestazioni erogare a cittadini, imprese, territorio. Lo abbiamo visto immediatamente dopo l’avvio dell’emergenza sanitaria, quando le strutture private hanno differenziato i loro servizi aumentando i loro profitti mentre le strutture pubbliche erano impegnate a contrastare, con poco personale e un numero limitato di aree attrezzate, l'epidemia su vari fronti.
Il PNRR, attraverso le cospicue risorse che mette in gioco, rischia dunque - come prospettano alcuni esperti - di diventare il “cavallo di Troia” di una riforma sanitaria strisciante, largamente incompleta, dove il privato assume un ruolo sostitutivo anzichè integrativo, ed introdotta di fatto senza passare attraverso il necessario e diffuso dibattito che deve caratterizzare ogni serio tentativo di ammodernamento del Servizio sanitario nazionale, soprattutto alla luce della gravità e della profondità delle diseguaglianze manifeste oggigiorno.
2. Vi sono molti aspetti che richiedono di essere affrontati con urgenza. Da oggi non siamo più in stato di emergenza nazionale a causa della pandemia e pur dovendo ancora osservare alcune accortezze necessarie per tutelare la nostra salute, sono state rimosse diverse limitazioni che si erano rese indispensabili a ridurre la diffusione del contagio. Poche strutture hanno subìto più duramente gli effetti della pandemia come le Residenze sanitarie assistenziali (RSA). L’isolamento fu una scelta che diventò presto necessaria a causa dei numerosi decessi che caratterizzarono la prima ondata. Decisione che ha reso impossibile per molti mesi le visite da parte di familiari e amici agli ospiti. Poi sono stati inoculati i vaccini e ci pareva che le cose potessero migliorare anche per questo tipo di strutture sanitarie. Nell’ordinanza del maggio 2021, ad esempio, si parlava dei bisogni psicologici, affettivi, educativi e formativi delle persone che vivono nelle RSA affinché “il protrarsi del confinamento non debba mai configurare una privazione de facto della libertà delle persone”.
Ma le cose non sono andate esattamente così tant’è che, nonostante le norme più recenti consentano maggiori libertà per gli incontri tra residenti e familiari, lasciano ancora alla discrezionalità delle singole RSA stabilire regole più restrittive. Per tale ragione la situazione è molto disomogenea tra le regioni e da struttura a struttura. Conseguenza di ciò, per molte famiglie, è praticamente impossibile fare visita ai parenti nelle RSA se non una volta alla settimana, con regole molto rigide sia per le modalità (una persona alla volta, attarverso dispositivi di protezione individuale, l’utilizzo di stanze vetrate, con plexiglas e nylon), sia per la durata delle visite (non più di 20, max 45 minuti); le attività ricreative interne sono bloccate da due anni; le uscite degli ospiti estremamente contingentate così come l'utilizzo di tablet per poter parlare con i propri cari, anche se i costi per le famiglie e le regioni sono rimasti gli stessi. Ma, soprattutto, regole così restrittive che ora non trovano più una ragione di sicurezza e tutela della salute, hanno finora avuto conseguenze sia sulle persone anziane sia per le persone con disabilità che non hanno più potuto essere accolte nei centri di aggregazione dedicati. L’isolamento e la privazione di una socialità sono stati deleteri per il loro benessere psicofisico e per quello dei loro familiari.
Ecco perchè, in conclusione, è assolutamente necessario evitare che siano le risorse (del PNRR o da altre fonti) a vincolare il modello che adotteremo per il SSN del prossimo futuro. Ecco perchè non basta costruire nuove strutture sanitarie se non si ha il personale qualificato. Ecco perché è necessaria un’alleanza innovativa tra politica, società civile, associazionismo, università e mondo del lavoro per maturare un pensiero diverso, diremmo evolutivo del SSN, partendo dal principio costituzionale di tutela pubblica universale della salute (del benessere delle persone, della biodiversità e dell’ambiente) ma, soprattutto, dall’idea di fare del lavoro il primo fattore di trasformazione dell’attuale sistema che, dopo anni di trascuratezza e riduzione di risorse, purtroppo, sta dimostrando tutti i propri limiti.