Durante l'audizione del 7 aprile del Direttore dell'Agenzia delle entrate e Agenzia delle entrate-Riscossione, Ernesto Maria Ruffini, in merito all’assetto della finanza territoriale e linee di sviluppo del federalismo fiscale, presso la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, sono emersi tre aspetti particolarmente gravi:
- superano i 1.100 miliardi le tasse che non sono state riscosse negli ultimi 22 anni dall’Agenzia delle Entrate e continuano ad aumentare a seguito della sospensione dell'attività di riscossione legata alla pandemia e dell'aggiunta del magazzino della regione Sicilia. In nessun magazzino - ha dichiarato il Direttore -si sceglie di tenere 22 anni di crediti non riscossi rendendolo ingestibile. Attualmente il magazzino ha circa 130/140 mln di cartelle da riscuotere con 16 mln di cittadini iscritti a ruolo. Su base annua entrano "70 miliardi di crediti da riscuotere e ne escono meno di 10 miliardi di crediti riscossi” sin dal 2015 anno nel quale il Parlamento è stato messo al corrente di questa situazione. La rottamazione, il saldo e stralcio e altri istituti equivalenti, non hanno portato alla riduzione dei crediti;
- con riferimento ai risultati della partecipazione dei Comuni all’attività di accertamento, l’Agenzia evidenzia che - dal febbraio 2009 e fino al 31 dicembre 2021 . risultano inviate da 1.153 Comuni circa 120.000 segnalazioni per una maggiore imposta accertata di 386.340.000 euro, per un importo riscosso totale pari a 139.199.000 euro (si tratta in media di circa 19.000 euro di valore accertato e un importo medio di circa 7.000 euro di imposte riscosse). Per quanto riguarda le somme riversate ai Comuni ai fini della distribuzione della quota incentivante per la partecipazione all’attività di accertamento, il Contributo dell’anno 2021 per la partecipazione di 280 Comuni all’attività di accertamento fiscale e contributivo effettuata nell’anno 2020 è pari a 6.490.977 euro. Come si può ben comprendere vi sono ampi margini di ulteriore diffusione di questa procedura, dal momento che a utilizzare questa opportunità, è stato appena il 3,5% dei 7.904 Comuni italiani;
- l’attuale quadro della riscossione delle entrate degli enti locali è il frutto di un’articolata evoluzione normativa che dal 1° luglio 2017, consente agli enti locali di svolgere il servizio di riscossione delle proprie entrate secondo le seguenti modalità: a) svolgimento del servizio tramite risorse interne; b) affidamento in house del servizio (tramite società strumentali); c) affidamento del servizio all’Agenzia delle entrate-Riscossione (AdeR) titolare dello svolgimento delle funzioni della riscossione nazionale, previa delibera di Consiglio comunale; d) affidamento del servizio tramite le ordinarie procedure ad evidenza pubblica. Il legislatore ha voluto in tal modo agevolare gli enti locali, sopperendo alle gravi difficoltà riscontrate dagli enti stessi nel dotarsi di un’autonoma organizzazione per svolgere il servizio della riscossione, e facendo assumere all’AdeR un ruolo di “supplenza qualificata”.A causa dei vari cambiamenti, anche normativi, intervenuti nella gestione delle entrate degli enti locali, nell’ultimo decennio si è assistito a una progressiva riduzione degli affidamenti di carichi per la riscossione coattiva e/o volontaria da parte dei Comuni, passando da 6.161 Comuni nel 2011 a 2.758 nel 2021. La contrazione maggiore si è avuta sugli affidamenti degli inviti di pagamento per la riscossione “pre-ruolo” (c.d. riscossione volontaria), che, ovviamente, rispetto alla riscossione coattiva, presenta minori criticità gestionali (dai 3.179 Comuni del 2011 agli attuali 312). Ferma restando la necessità di proseguire sulla strada del complessivo efficientamento, tramite una sempre più spinta automazione e digitalizzazione dei processi di riscossione, per le entrate affidate dagli enti locali a mezzo ruolo (ad esempio, contravvenzioni al Codice della strada) risulta necessario comprimere sempre di più l’intervallo temporale tra l’anno di maturazione/esigibilità dell’entrata e quello di consegna del relativo carico all’agente della riscossione. Ciò in quanto tale intervallo, se eccessivo, oltre ad incidere negativamente sulla performance di riscossione, comporta addirittura il rischio di inibire lo svolgimento delle successive attività di recupero, a causa del decorso dei termini di prescrizione del diritto di credito. Nel periodo 2015-2019 sono stati affidati all’agente della riscossione crediti relativi mediamente a circa 8,5 milioni di contribuenti per ciascun anno di cui oltre il 20 per cento dei contribuenti per crediti iscritti a ruolo dai Comuni. Alla data del 31 dicembre 2021, il magazzino dei crediti residui affidati dalle amministrazioni comunali è relativo a oltre 22 milioni di cartelle di pagamento e a circa 8 milioni di contribuenti.
Rammentiamo che il "Rapporto sui risultati conseguiti in materia di misure di contrasto all’evasione fiscale e contributiva-anno 2021" che ha fornito le stime del cosiddetto tax gap (la differenza tra gettito teorico e gettito effettivo) relativo alle entrate tributarie e contributive, riporta che nel triennio 2016-2018 (per il quale si dispone di un quadro completo delle valutazioni) si registra un gap complessivo in media di circa 105,9 miliardi di euro, di cui 94,3 miliardi di mancate entrate tributarie e 11,6 miliardi di mancate entrate contributive (i dati sono tratti dalla Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione contributiva allegata alla Nadef 2021).
Infine, vale la pena sottolineare che il raggiungimento dell’obiettivo M1C1-121 (Riduzione dell’evasione fiscale come definita dall'indicatore propensione all'evasione) del PNRR prevede che la propensione all'evasione in tutte le imposte (escluse l'IMU e accise), sia inferiore nel 2024 rispetto al 2019 del 15% del valore di riferimento del 2019 e che la stima di riferimento per il 2019 sia inclusa nella Relazione aggiornata del Governo sull'economia sommersa (con uno step intermedio inferiore nel 2023 rispetto al 2019 del 5%) Fonte: Dossier Camera/Senato Nadef 2021.
Da segnalare, inoltre, che il Parlamento si appresta a discutere e votare la legge delega sul fisco approvata dal Governo lo scorso autunno e ora in corso che contiene anche la riforma del catasto, con l'obiettivo di ridurre gli immobili non censiti e di aggiungere il valore di mercato degli stessi.
Gli attuali valori catastali risalgono al biennio 1988-1989. I successivi tentativi di revisione di tali valori, nel 1998, 2005, 2011, 2013 e 2014 non hanno avuto successo.
L' Atto Camera (3343), approvatodal CdM il 5 ottobre 2021 richiede al Governo, per quanto concerne il catasto, di adottare norme volte a:
- ridurre l’abusivismo edilizio, facilitando l’individuazione degli oltre 1,2 milioni di unità immobiliari urbane non censite in catasto (Fonte: Statistiche Catastali 2020”, Agenzia delle Entrate)
- “attribuire a ciascuna unità immobiliare il relativo valore patrimoniale e una rendita attualizzata in base, ove possibile, ai valori normali espressi dal mercato”, prevedendo anche meccanismi di adeguamento periodico di tali voci ai prezzi di mercato (si stima che i proprietari di circa un quarto delle case italiane avrebbero una base imponibile ai fini fiscali pari al 26% del valore di mercato)
Nonostante il testo non preveda che tali valori siano usati per determinare la base imponibile per il pagamento di imposte, sono emerse forti opposizioni dai partiti del centro-destra, anche se l'evidente l’iniquità delle rendite catastali continuerà a comportare un trasferimento della pressione fiscale sulle fasce sociali più deboli.
Per la Redazione - Serena Moriondo