Trent’anni fa, il 23 maggio 1992, Cosa nostra realizzava a Capaci "l’ attentatuni" (nel gergo dei criminali), massacrando Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, insieme ai poliziotti di scorta Vito Schifani, Rocco Di Cillo e Antonio Montinaro.
Vite ed esperienze da imitare piuttosto che da ammirare retoricamente, raccogliendo e condividendo il loro sogno di un Paese normale.
Un Paese dove, come ripeteva Borsellino, poter “sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà” e con la consapevolezza che la “mafia come tutte le cose umane avrà una fine” come ci ha insegnato Giovanni Falcone.
Ma, “faremmo un grave sbaglio – ha dichiarato il magistrato della Direzione nazionale antimafia e Consigliere del Csm, Nino Di Matteo – a considerare la strage di Capaci come un delitto a sé stante”. Infatti si tratta della “prima di sette stragi e il primo anello di una catena di delitti che hanno una matrice terroristica”, il cui scopo di fondo è stato quello di “rinegoziare da parte di Cosa Nostra i rapporti con lo Stato, i rapporti con le istituzioni, i rapporti con la politica. Questa è la finalità di fondo che caratterizza queste sette stragi” su cui non si è ancora fatta piena luce.
Giancarlo Caselli e Guido Lo Forte, due magistrati che hanno in parte ereditato il lavoro di Falcone e Borsellino, hanno creato questo dizionario per raccontare la mafia e i suoi protagonisti.
Per la Redazione - Serena Moriondo