Un pensiero sostenuto e attualizzato durante tutta la sua lunga carriera sindacale, da Bruno Trentin di cui oggi, 23 agosto, ricorre la morte avvenuta nel 2007.
"La ricerca teorica di Bruno Trentin - ha scritto il filosofo Giovanni Mari - rappresenta, insieme ai Quaderni di Antonio Gramsci, il contributo più originale e importante della cultura della sinistra italiana del Novecento. Un valore e un significato che sono ancora lontano dall’essere riconosciuti pienamente. Ciò appare tanto più sfavorevole in un periodo, come il nostro, in cui il dibattito sociale e politico, anche per la complessità e le trasformazioni sociali in corso, ha estremamente bisogno di idee per uscire dai paradigmi della società industriale novecentesca. E la riflessione di Trentin offre, sul piano della scienza sociale, politica ed economica, nonché dell’analisi storica delle vicende culturali e teoriche della sinistra politica e sindacale, non solo italiana, riflessioni ricche di originalità. In particolare sulle trasformazioni del lavoro intervenute dopo la crisi del fordismo quando avviene, secondo Trentin, quella "riproposizione" della "persona che lavora, dalla quale discende tutto il resto" .
Le sue riflessioni sono finalizzate alla costruzione di un’idea de-ideologizzata di lavoro per un progetto di sviluppo della democrazia industriale e della democrazia della società centrati sulla crescita della persona che lavora. I suoi testi sono analisi strettamente connesse a esperienze, battaglie, congiunture, talvolta anche ispirati da intenti autocritici, che hanno il carattere di momenti di un’unica riflessione e di una continua ricerca attorno al tema del lavoro. Un problema che egli affronta ponendosi soprattutto dal punto di vista del lavoratore subordinato, chiarendo come questa condizione di eterodirezione impronti l’intera struttura della moderna società, deformandone la cittadinanza, e come da questa condizione si possa uscire solo mettendo in moto un processo di emancipazione individuale e collettiva. Quindi, questo il punto, una battaglia contro il lavoro subordinato come critica della fonte principale di ogni rapporto sociale di dominio e sottomissione, di cui lo sfruttamento economico è una conseguenza e non la causa. Ovvero la questione dell’ autonomia e della libertà nel lavoro da affermare prima dell’uguaglianza e della distribuzione della ricchezza, perché solo se questa condizione sarà realizzata, il lavoro potrà essere «un momento fondamentale per la costruzione dell’identità personale», uno "dei luoghi dove si mette in opera un progetto personale, dove ciascuno è messo alla prova, e allo stesso tempo un luogo dove la soggettività della persona si esprime attraverso le sue opere, la sua socialità e il posto che essa gli dà nella società".
Grazie Bruno!
Per la Redazione - Serena Moriondo