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Foto Eternit CasaleCasale Monferrato era nota come “la città dai tetti bianchi”, non per la neve ma per la polvere di amianto che si posava sopra ogni cosa. A tal proposito l'Istituto Luce ha realizzato un filmato sulla lavorazione dell'Amianto nella Eternit di Casale Monferrato (1940-70) Il documentario illustra la lavorazione dell'eternit, prodotto formato da cemento e amianto, soffermandosi sulla produzione dei tubi e di altri pezzi per le più svariate utilizzazioni nel campo dell'edilizia pubblica e privata (Link video Youtube Stabilimento Eternit Casale Monferrato 1940-1970). 

A Casale come a Taranto, a Piombino come a Marghera solo per citare alcuni tra i casi più conosciuti di inquinamento ambientale con grave danno alla salute della popolazione, i cittadini hanno il terrore di ricevere una diagnosi che è, per molti, una condanna.

Nel caso dell'amianto l’aspettativa media di vita è di un anno e mezzo dalla scoperta del tumore e solo il 15% sopravvive oltre. Il periodo di latenza può raggiungere più di 40 anni e, ancora oggi, a Casale vengono diagnosticati 50 casi di mesotelioma all’anno. In pratica, uno ogni settimana. 

L’incidenza di questo tipo di tumore si concentra in quelle aree italiane dove l’industria impiegava l’amianto in modo massiccio, prevalentemente nei settori edile e navale.

Secondo il settimo Rapporto ReNaM dell’Inail, tra il 1993 e il 2018 sono stati diagnosticati 31.572 casi di mesotelioma maligno. Il 56% dei malati risiede in Lombardia, Piemonte, Liguria ed Emilia-Romagna. Casale Monferrato, che si estende tra le province di Asti e Alessandria, conta circa 32mila abitanti. La sua storia si lega a doppio filo con quella della multinazionale Eternit, scrive l’Osservatorio Nazionale Amianto (ONA), associazione rappresentativa delle vittime dell’amianto: per 79 anni ha ospitato lo stabilimento per la lavorazione del cemento-amianto più grande in Italia. Nel 1986 l’azienda fallisce, e proprio grazie alla mobilitazione degli operai e della Cgil, in particolare, che viene infine approvata la Legge 257 del 1992. Ma trent'anni non sono bastati per mettere al riparo la comunità dall’insorgenza del tumore. 

Foto operai smltimento amiantoNell’ambito delle attività del ReNaM, la pubblicazione dei rapporti nazionali è accompagnata dalla produzione di specifici approfondimenti di ricerca. Recentemente è stata pubblicata un’analisi dei casi di mesotelioma con esposizione nel settore dell’edilizia.

Nonostante il divieto del 1992, l'esposizione all'amianto per i lavoratori del settore edile in Italia, infatti, resta preoccupante. La descrizione delle caratteristiche dei casi di mesotelioma maligno (MM) registrati dal registro italiano (ReNaM) tra i lavoratori edili ha evidenziato:

  • 31.572 casi di MM incidenti nel periodo dal 1993 al 2018 e l'esposizione all'amianto è stata valutata per 24.864 (78,2%) casi;
  •  è stata segnalata un'esposizione professionale per 17.191 casi di MM (69,1% dei soggetti con un'esposizione definita all'amianto). Tra questi, 3574 avevano lavorato nel settore delle costruzioni, con un trend in aumento dal 15,8% nel periodo 1993-98 al 23,9% nel 2014-2018 e una distribuzione territoriale onnipresente;
  • l'ampio utilizzo dell'amianto nel settore edile prima del divieto rende ancora oggi la probabilità di esposizione dei lavoratori una vera preoccupazione, in particolare per coloro che si occupano di manutenzione e rimozione di vecchi edifici. Vi è una chiara necessità di valutare, informare e prevenire l'esposizione all'amianto in questo settore;
  • la rete di rilevazione pur essendo presente sull’intero territorio nazionale non presenta caratteri di completezza in tutte le Regioni e in qualche caso l’operatività del Centro operativo regionale (COR) è limitata dalla inadeguatezza delle condizioni operative. In particolare è necessario segnalare come siano attualmente sospese le attività di sorveglianza in regione Abruzzo e in regione Campania, dove il COR è inattivo da tempo con grave danno per la rete nazionale.

Per quanto riguarda il caso di Casale Monferrato, sono sempre più giovani, persone tra i 40 e i 70 anni, che si ammalano e i casi risultano ancora troppi in considerazione del tempo che è trascorso dalla chiusura dello stabilimento. Gli esperti sono concordi nel sostenere che i mesoteliomi, diagnosticati oggi, sono causati dal fatto che lo stabilimento, dopo il fallimento dell’azienda, è stato lasciato in totale abbandono. Vetri, tonnellate di sacchi, coperture: materiali tutti fatti d’amianto sono stati lasciati lì e i vertici dell’azienda non si sono interessati allo smaltimento. E, infatti,  quando il Comune ha acquistato l'area nel 1995 per avviare le procedure di bonifica ha constatato che l'ex insediamento produttivo era "ormai in stato di abbandono e possibile fonte di inquinamento atmosferico".

E furono le scelte del management dell'impresa a peggiorare la situazione ambientale. Tra il 1976 fino al 1986 era tata inaugurata una pratica che ha contribuito al notevole inquinamento dell’aria: la frantumazione a cielo aperto degli scarti di lavorazione. Ogni giorno - raccontano gli operai sopravvissuti - c’era un viavai di camion scoperti che trasportavano lastre e tubi non commerciabili perché difettosi.  Li portavano su una piattaforma di fronte allo stabilimento e li frantumavano con un cingolato. Poi quello stesso materiale veniva polverizzato in una sorta di mulino dentro la fabbrica e riciclato. Non solo: quello scarto - il cosiddetto “polverino” - veniva rivenduto a comuni cittadini  per i sottotetti come coibentante e negli oratori veniva utilizzato come battuto per i cortili, dove giocavano i bambinio come compattante per i campi da pallone. E poi i cortili, le vie che collegano le case alla strada principale, le aiuole: l’amianto, mescolato con il cemento o anche con la ghiaia, era ovunque.

La via giudiziaria, per casi di stragi, anche ambientali, in questo Paese, è piena di ostacoli e lungaggini. Inoltre la proprietà ha sempre negato che lo stabilimento fosse una fonte di pericolo e di contaminazione e ha sempre rassicurato i lavoratori e i cittadini con un atteggiamento di assoluta spregiudicatezza morale.

Il primo processo di Torino, iniziato nel 2009, naufraga con una sentenza della corte di Cassazione del 2014 che dichiara prescritto il reato di disastro ambientale, determinando il proscioglimento degli amministratori delegati. Sono in corso i processi Eternit bis per omicidio, con competenza territoriale delle corti d’Assise dove c’erano le sedi di Eternit: Napoli per la fabbrica di Bagnoli, Novara per quella di Casale, Torino per Cavagnolo e Reggio Emilia per Rubiera. 

I morti tra i lavoratori e le lavoratrici, tra i comuni cittadini, sono tantissimi e gli anni trascorsi in attesa di avere giustizia decisamente troppi per un Paese che si considera una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. 

Link: Primo rapporto su Lo stato delle bonifiche dei siti contaminati in Italia: i dati regionali“, marzo 2021.

Per la Redazione - Serena Moriondo