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Foto saterialedi Gaetano Sateriale

Un’intervista molto lucida di Fabrizio Barca a Micromega sul tema delle prossime elezioni politiche. La distanza tra i testi dei programmi elaborati e gli slogan usati in campagna elettorale (“slogan fiscali senza conti” e di “geopolitica in formato nostrano”); la contrapposizione nelle piazze piuttosto che non il tentativo serio di trasformare le convergenze in un programma vero e condiviso a sinistra (centro-sinistra o sinistra-centro che sia). È colpa della legge elettorale? Barca dice di no, che è un limite culturale dei gruppi dirigenti dei partiti.

Dal programma alle candidature. Barca giudica alcune candidature “non di apparato” importanti e innovative e propone che si precisi meglio il rapporto tra eletti ed elettori nel futuro, per consolidare un nuovo legame tra politica e società fatto di relazioni trasparenti e continuative (non solo in tempo di elezioni, aggiungiamo noi) specie sui temi della giustizia sociale ed ambientale.

Barca ritiene che la mancata alleanza preelettorale tra PD e 5Stelle sia stato un’errore e che richiamarsi alla cosiddetta “agenda Draghi” non abbia nessun senso politico programmatico, anche perché quell’agenda sappiamo essere percorsa da molte prerogative liberiste. Il vero problema, dice Barca, è come si spendono i soldi pubblici (se sotto forma di spesa corrente decisa dall’alto o in forma legata alle esigenze sociali ed economiche dei territori. Altrimenti la riconversione ecologica ed energetica (meglio per noi il termine “riconversione” che non quello più neutrale di “transizione”) chi la fa?

Su un punto in particolare è, a nostro parere, necessario approfondire il ragionamento: la polemica sul “reddito di cittadinanza” sì o no. Quasi tutti i programmi elettorali indicano la necessità di rivedere (e potenziare) il “Reddito di cittadinanza”. Qui è d’obbligo essere chiari. Certo che va garantito e ampliato un intervento economico che sia in grado di ridurre le tante forme di povertà che vanno crescendo anche tra chi lavora. Ma il “Reddito di cittadinanza” non aiuta a creare nuovo lavoro e nemmeno a garantire la piena cittadinanza a chi vive in Italia. Sono 3 i pilastri per assicurare una reale piena cittadinanza (fatta di uguaglianza di diritti e di doveri) alle persone che vivono nel nostro Paese (nativi o migranti che siano): la casa, la scuola, il lavoro.

Anche in questo caso sarebbe utile uno sguardo macro invece che perdersi nei piccoli miglioramenti: una politica di inclusione per tutti e non la semplice accoglienza o la marginalizzazione sociale assistita. La rigenerazione del patrimonio edilizio esistente (a partire da quello pubblico) nelle città e nei paesi, la diffusione della scuola di infanzia dalla nascita in tutti i territori, l’aumento dell’obbligo scolastico fino a 18 anni, l’allargamento delle iscrizioni alle Università e poi le occasioni programmate di lavoro a giovani e donne: un lavoro socialmente, ambientalmente ed economicamente sostenibile. Sarebbe urgente e necessario, a nostro parere, un “Piano straordinario del lavoro” per giovani e donne (come accadde con la legge del 1977) piuttosto che non una dialettica molto astratta e di principio sul reddito di cittadinanza.