di Serena Moriondo
Remoria non esiste e non è mai esistita, è la città che sarebbe sorta se al posto di Romolo, nella leggenda di fondazione fratricida, a vincere fosse stato Remo. È il rimosso che aleggia perenne e che preme per tornare in superficie. Remoria non dovrebbe esistere eppure è in continua espansione. Il Grande Raccordo Anulare, l’autostrada tangenziale che circonda Roma, conosciuta come GRA, è ciò che la riporta in vita. Sovvertendo il comune concetto di centro, questo anello tratteggia uno spazio aperto su cui nel secondo dopoguerra orbitano le borgate come Centocelle, Ostia, San Basilio, Laurentino. Un'arcipelago della periferia romana (che occupa il 99% della superficie della città).
Raccontare Roma oggi pare un’impresa disperata, non c’è narrazione che possa contenerla ed è un chiaro esempio di come definire oggi la periferia sia difficile, non solo della Capitale.
La risposta è complicata, non lo era qualche decennio fa. Periferia era allora tutto ciò che era fuori dalle mura della città e dal suo centro storico dove si erano sedimentate nel corso dei secoli culture, mentalità, relazioni sociali. Chi abitava la periferia? Anche qui era facile rispondere: nelle città industriali c’era la classe operaia, nelle altre il sottoproletariato, come ad esempio a Roma. La divisione territoriale fra centro e periferia ricalcava quella di classe. Poi a un certo punto questa separazione è saltata e tutto è diventato più opaco e confuso.
Iniziamo allora a stabilire che cosa non è periferia. È ormai divenuto anacronistico indicarla come un luogo lontano dal centro storico. Non è più una distanza fisica che la può definire, dato che la maggior parte degli insediamenti urbani avviene ormai in periferia, con tutto ciò che ne consegue rispetto alle grandi dimensioni commerciali e abitative. Né si può designarla, come fanno i nostalgici dell’antica città, come l’anticittà per il degrado dei servizi e delle infrastrutture, per l’assenza di luoghi di aggregazione e per la mancanza di un senso di appartenenza a uno spazio pubblico come bene comune. Ma dove ci sarebbe invece tutto questo? In quale città? Forse in una di quelle invisibili descritte dalla fantasia maniacale di Italo Calvino? Ne dubito, perché anche le ossessioni di Calvino di mappare e catalogare hanno avuto un limite. Né si può considerare la periferia come un luogo irrilevante e residuale di forme di vita se ha funzionato, negli ultimi decenni, come grande laboratorio di mutamenti culturali, dalla musica alla moda, dal linguaggio all’arte.
Alcuni settori della ricerca sociale asseriscono però che esistono isole di periferia anche nei centri storici: degrado, emarginazione, esclusione sono presenti a macchia di leopardo in molte zone della città. È vero, ma non possono essere chiamate "periferia" perché manca loro un tratto essenziale e cioè la centralità di quel territorio che la identifica come spazio contrapposto a quello della città. La periferia non è dappertutto, affermarlo vuol dire immetterla in un multiverso parallelo di interpretazioni che non approda mai a una riflessione politica. Già negli anni Ottanta, Alberto Clementi e Francesco Perego scrivevano che la periferia riconosce se stessa non per l’architettura o per le sue piazze o spazi urbani (che non ha), ma per l’intensità e la consonanza dell’interesse dei suoi abitanti per il territorio che si sono appropriati "contro" le logiche offerte dai sistemi ufficiali di sviluppo della città.
Massimo Ilardi - in qualità di docente di Sociologia urbana presso la Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno, Università di Camerino - pone al centro delle sue ricerche lo studio delle periferie urbane. Nel suo lbro "Le due periferie. Il territorio e l'immaginario" (2022, ed. DeriveApprodi) sostiene che non è un senso della comunità a guidarle, sono le emozioni a tenerle insieme. Tutta la cintura periferica romana è costellata da megacentri commerciali e, da quando la politica ha lasciato nelle mani del mercato il governo della città e dei suoi abitanti (Porta di Roma, ad esempio, collocato nella zona nord della città, registra quasi 17 milioni di visitatori l’anno), dove possono proiettarsi queste emozioni se non in questi "templi del desiderio e del consumo"?
Periferia - egli scrive - è lo spazio incontrastato del mercato e del consumo, è assenza di politica e dominio delle emozioni, e soprattutto è margine di un territorio desolato, duro, disordinato, minaccioso che rompe le forme armoniche della città e segna i margini della metropoli e la vita dei suoi abitanti. Un territorio con forte informalità e in continua espansione e mutazione rispetto a un centro storico immobile e che si vuole che permanga così perché tramandato dallo spirito della storia che, secondo alcuni, non tramonterebbe mai. Un margine territoriale, nel caso della Capitale, talmente esteso e stratificato che fa dire oggi che la metropoli coincide con la sua periferia tant'è che, "il Grande Raccordo Anulare è il centro di Roma" (Valerio Mattioli "Remoria. La città invertita", minimum fax, 2019).
Il PNRR ha evidenizato molti limiti nel'affrontare il tema delle periferie, in tutte le sue sfaccettature, pensiamo - ad esempio - alla denuncia fatta dalla FLC CGIL sulla ripartizione dei fondi per le azioni di prevenzione e contrasto alla dispersione scolastica. La denuncia ha evidenziato come la lista di scuole selezionate dal ministero dell'Istruzione è risultata "totalmente scissa dalla realtà", sottolineando che tanti istituti del primo ciclo - per lo più collocati nelle periferie dove i dirigenti e i docenti si impegnano per la lotta alla dispersione - sono stati esclusi dal riparto mentre hanno ricevuto i fondi quegli Istituti notoriamente privi di problematiche di abbandono scolastico e di emarginazione sociale.
Anche in questa occasione di campagna elettorale, le periferie restano solo un passaggio. La vita dignitosa che meritano le persone che vivono nella periferia avrebbe dovuto influenzare positivamente la campagna elettorale, a renderla più presente e centrale, ma non è stato così. Al massimo vengono sfiorati, con scarsa concretezza e competenza salvo qualche lodevole eccezione, temi quali la rigenerazione urbana, il contrasto al consumo del suolo, la sostenibilità energetica.
Dall'audizione del 2017 alla "Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di sicurezza e sullo stato di degrado delle città e delle loro periferie", l’Istat si è impegnato a estendere l’analisi relativa alle aree sub-comunali dei comuni di Roma e Milano agli altri 12 comuni capoluogo delle città metropolitane e ad ampliare la batteria di indicatori proposta in quella sede. Le tre direzioni che hanno prodotto i cartogrammi delle 14 CM, che potrete trovare QUI, sono:
- la proposta di un indicatore sintetico di “vulnerabilità sociale e materiale”, costruito attraverso la sintesi di sette indicatori che tengono conto dell’esposizione di alcune fasce della popolazione a particolari situazioni di incertezza della condizione sociale ed economica;
- la stima di i valori medi degli immobili residenziali delle aree sub-comunali individuate, utilizzando i dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate;
- l'introduzione di alcuni indicatori sperimentali sulla disponibilità di servizi sul territorio.
Questa attività di indagine è sintetizzata in un rapporto che avrebbe dovuto servire come base per impostare le politiche pubbliche su un tema sempre più decisivo. Purtroppo, nel 2019, nonostante fosse stato unanimemente riconosciuto il valore del lavoro svolto nella precedente legislatura da parte della commissione, l'emendamento che prevedeva di continuare a monitorare la situazione delle periferie nelle aree metropolitane, con una commissione congiunta Camera e Senato, è stato bocciato da Lega e M5S.
Privarsi dell'opportunità di conoscere meglio il fenomeno è stato un errore, ma speriamo che nei prossimi anni questo lavoro possa andare avanti e fornire una base attendibile per gli interventi che sono sempre più necessari. I partiti politici, finora, hanno voltato loro le spalle, incapaci, o forse ritenendo inutile e poco vantaggioso, confrontarsi con le periferie. Nulla di più sbagliato tenendo conto che nelle amministrative del 2021 si è registrato un netto riflusso verso l'astensionismo, soprattutto da parte degli abitanti delle periferie. A Roma ha votato meno di 1 milione di elettori, pari al 48,8 degli iscritti nelle liste elettorali; -7% d’affluenza rispetto al 2016 a Napoli e Milano, -8% a Bologna, -9% a Torino.