L'attuazione degli accordi sul clima esistenti e dei rispettivi impegni finanziari è al centro dei negoziati di COP27. Tuttavia, in un anno caratterizzato dal ritorno della guerra anche in Europa e dalle conseguenti ripercussioni geopolitiche ed economiche, portare avanti gli obiettivi di riduzione delle emissioni climatiche sembra una missione estremamente difficile.
Bilanciare gli impegni climatici con l'eccessiva dipendenza della regione dai combustibili fossili presenta, infatti, diverse sfide economiche e politiche.
In che modo dunque i Paesi della regione affronteranno gli effetti del riscaldamento globale sul loro ambiente, biodiversità e risorse naturali? La sicurezza alimentare ne risentirà? Quali opportunità di diversificazione economica, di cooperazione regionale e internazionale potrebbero emergere da tale azione per il clima?
Una cosa è piuttosto chiara: con il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare nella regione MENA verrà compromessa. La produzione agricola è già ostacolata dalla grave scarsità d'acqua, dall'aumento delle temperature e da intense/estese infestazioni da parassiti. Le risorse naturali, in particolare la biodiversità, sono costantemente minacciate dagli impatti persistenti dei cambiamenti climatici. Gli incendi boschivi, sebbene per lo più di origine antropica, stanno proliferando; zone umide e suoli umidi si stanno prosciugando a causa di siccità ricorrenti che stanno diventando sempre più intense e frequenti. Questi impatti, tra molti altri, stanno influenzando negativamente i mezzi di sussistenza, in particolare quelli delle comunità rurali, costringendo molti ad abbandonare le loro terre e trasferirsi in città e insediamenti urbani. Questo spostamento, sia interno che transfrontaliero, sta portando a una maggiore richiesta di servizi sociali ed economici nelle comunità ospitanti. Con l'economia mondiale in fase di stallo, la fornitura di questi servizi aggiuntivi è diventata sempre più al di là dei mezzi di molti governi, il che sta causando crescenti tensioni e, a volte, ostilità, tra i padroni di casa e gli sfollati, entrambi in competizione per risorse sempre più ridotte (Fonte: Nadim Farajalla Direttore del Programma Clima e Ambiente dell'Issam Fares Institute for Public Policy and International Affairs).
Secondo gli esperti dell'ISPI, la COP27 è un'opportunità per l'Egitto di sfruttare la sua posizione internazionale, l'attrattiva economica e la posizione diplomatica (in particolare per quanto riguarda l'Africa), poiché i temi principali dei colloqui rifletteranno le priorità più urgenti per il continente. Essere sotto i riflettori della COP27, però, significa mettere in luce le tante contraddizioni del Paese: dalla difficile compresenza tra gli obiettivi climatici e gli obiettivi di diventare hub energetico regionale, aumentare le esportazioni di gas naturale, alla denuncia degli abusi dei diritti umani e del giro di vite sul clima attivista. Su questo evento pesa l'asimmetria tra le grandi potenze, non tanto sulla volontà generale di arrivare alla decarbonizzazione quanto sui soldi da mettere per combattere il climate change. Infatti, come abbiamo letto dai titoli di alcuni quotidiani nazionali, anche se il Presidente Usa - nel suo discorso a COP27 - ha comunicato che gli Stati Uniti hanno deciso di invertire la rotta tracciata da Trump, chiedendo scusa per l'abbandono degli accordi di Parigi e assicurando che raggiungereanno gli obiettivi di riduzione delle emissioni entro il 2030, su un punto non si sbilanciano: gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo.
In questo quadro ancora estremamente difficile - secondo Cinzia Bianco visiting fellow presso il Consiglio europeo per le relazioni estere, dove si occupa di sviluppi politici, di sicurezza ed economici nella penisola arabica e nella regione del Golfo e delle relazioni con l'Europa, sostiene che gli europei potrebbero rafforzare in modo significativo le iniziative regionali esistenti con diplomazia, cooperazione tecnica e scientifica e investimenti strategici. Un percorso davvero difficile da conseguire con l'insorgere di spinte sovraniste da parte dai Governi di molti Stati europei.
In Italia - in un quadro così delicato per la sopravvivenza dell'intero pianeta - invece di concentrare le proprie risorse su questi aspetti così delicati ed essenziali anche per il nostro Paese, la Conferenza delle Regioni ha promosso il primo Festival dalle Regioni e dalle Province Autonome. Due giornate (5 dicembre a Milano e il 6 a Monza) dedicate a “L’Italia delle Regioni” che, all'apparenza ha il compito di valorizzare la ricchezza dei territori italiani ma, nella sostanza, sarà - come sostengono gli stessi organizzatori - "l’occasione per avviare un confronto istituzionale sulle prospettive future del regionalismo nel nostro Paese, con l’obiettivo di elaborare e costruire proposte utili a potenziare il ruolo e le diverse identità delle venti Regioni e delle due Province autonome che compongono l’Italia". Un altro passo per giustificare la spinta autonomista che alune regioni stanno portando avanti da tempo.
Si legge nel comunicato della Regione Lombardia, guarda caso la regione ospitante, che l'iniziativa averrà in presenza del Presidente della Repubblica Mattarella. Un impegno istituzionale a cui la massima carica dello Stato non poteva certo sottrarsi ma noi, ci auguriamo, possa servire soprattutto a garantire un punto di osservazione, argine e denuncia sui rischi che il regionalismo differenziato può produrre per il Paese.
Per la Redazione - Serena Moriondo