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Foto Belgaimage 48775250 scaledDopo lunghe discussioni, domenica si è conclusa la ventisettesima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP27) con l'approvazione di un accordo per istituire un fondo di compensazione per i Paesi in via di sviluppo che sempre più spesso devono confrontarsi con eventi meteorologi estremi legati al cambiamento climatico, pur non essendo i principali responsabili delle emissioni di gas serra, preservando l’obiettivo di non superare gli 1,5 °C di aumento della temperatura media globale rispetto al periodo preindustriale.

Il fondo è ritenuto da molti commentatori il punto più rilevante: il denaro accumulato potrà essere utilizzato per finanziare attività di gestione delle emergenze e messa in sicurezza dei territori nei Paesi più poveri interessati da alluvioni, oppure da periodi di prolungata siccità.

Loss and Damage è una questione chiave per tutti coloro che soffrono le conseguenze peggiori di una crisi climatica di cui non sono responsabili. Chatham House definisce Loss and Damage come l’impatto distruttivo della crisi climatica che non può essere evitato tramite misure di mitigazioni (ad esempio, la riduzione delle emissioni di CO2) e di adattamento al cambiamento climatico. I “danni” si riferiscono alle cose, spesso infrastrutture vitali, danneggiate dai disastri climatici che possono essere riparate. Le “perdite” invece si riferiscono a ciò che è andato completamente perso, come vite umane e biodiversità. Quando viene utilizzata nel contesto delle negoziazioni sul clima, l’espressione Loss and Damage indica i costi, economici e non, che i Paesi più vulnerabili al cambiamento climatico devono affrontare per compensare le perdite e i danni causati sia da eventi metereologici estremi (uragani, ondate di calore, siccità, incendi, ecc.) sia da disastri climatici più graduali come l’innalzamento del livello del mare e lo scioglimento dei ghiacciai. Si stima che, entro il 2050, i costi dei danni e delle perdite causate dalla crisi climatica raggiungeranno per i Paesi in via di sviluppo quote altissime, comprese tra 1 e 1,8 miliardi di dollari.

L’espressione appare per la prima volta nel 1991, quando Vanuatu, piccolo Stato insulare situato nell’Oceano Pacifico, propose di creare un meccanismo assicurativo internazionale per fare in modo che i piccoli Stati insulari in via di sviluppo fossero risarciti per l’impatto dell’innalzamento del livello del mare.  Per molti anni i progressi in materia sono stati minimi, soprattutto perché l’attenzione internazionale si è gradualmente spostata sui finanziamenti per la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico. Nel 2009, al termine della COP tenutasi in Danimarca, i Paesi più ricchi promisero di mobilitare collettivamente 100 miliardi di dollari entro il 2020 per finanziare misure di mitigazione e adattamento nei Paesi più poveri, con l’obiettivo di aiutarli ad abbandonare i combustibili fossili e sviluppare sistemi energetici più ecologici. La promessa non fu mantenuta.

Il concetto di Loss and Damage ritorna alla ribalta nel 2013 con l’istituzione del Meccanismo internazionale di Varsavia (WIM), organismo che si occupa specificatamente di danni e perdite, creato al termine della COP19 a Varsavia. L’obiettivo del WIM era quello di creare uno spazio pubblico per promuovere conoscenza e scambio di informazioni sulla gestione delle perdite e dei danni causati dal cambiamento climatico, aumentare il dialogo e la coordinazione tra le parti interessate e incoraggiare sostegno reciproco.

A buon ragione, dunque, i rappresentanti dei Paesi più poveri hanno parlato di un’importante vittoria, quelli dei Paesi più sviluppati hanno usato toni meno enfatici sugli impegni contenuti nel documento finale, ma il Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, a conclusione del vertice, ha sottolineato con rammarico “Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora e questo è un problema che questa COP non ha affrontato”.

L’accordo è infatti vago su numerosi dettagli, a cominciare da quali dovranno essere i criteri che porteranno all’erogazione dei fondi, come sarà raccolto il denaro e se ce ne sarà a sufficienza, considerato che, come abbiamo scritto,  in questi anni praticamente nessun Paese sviluppato ha mantenuto i propri impegni.

Ciò nonostante alcuni passi in avanti sono stati fatti, in particolare oltre all'istituzione del fondo di compensazione , nel "Piano di attuazione di Sharm el Sheikh" si afferma che la giusta transizione si basa sul dialogo sociale e su questo punto l'ITUC ha espresso un giudizio positivo.

Sharan Burrow, Segretaria generale uscente dell'ITUC, ha dichiarato che le lavoratrici e i lavoratori devono avere un posto al tavolo dei negoziati per discutere di una transizione che stabilizzi il pianeta, le economie e le nostre società. I piani di transizione, inoltre, dovrebbero includere piani incentrati sia sul clima che sull'occupazione. Ciò richiede che i Sindacati partecipino e si facciano carico di tale processo. Anche l'inclusione della protezione sociale costituisce un progresso importante, per garantire sussidi di disoccupazione e servizi sanitari adeguati.

Ora però è necessario che l'accordo, nella sua complessità, trovi attuazione prima del prossimo summit di COP28.

Per la Redazione - Serena Moriondo