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FOTO edoardo zanchiniDi Edoardo Zanchini, direttore ufficio clima Comune di Roma

Ci sono diverse ragioni per guardare con attenzione a quanto le città europee saranno in grado di fare sul clima nei prossimi anni. Oramai è evidente che la possibilità di evitare gli scenari più catastrofici di innalzamento delle temperature globali e di impatti nelle diverse parti del Mondo dipenderà da quanto nei prossimi dieci anni saremo in grado di fare in termini di accelerazione delle politiche di decarbonizzazione. Ed è dentro gli spazi delle città che questa sfida è particolarmente complessa, decisiva ma dobbiamo essere consapevoli che oggi si aprono possibilità senza precedenti di innovazione e rigenerazione che, se daranno i risultati sperati, potranno essere replicate in ogni parte del mondo. In questo percorso l’Europa si è candidata a svolgere un ruolo da capofila a livello internazionale con la nuova Missione 100 Smart and climate-neutral cities 2030, che coordinerà e supporterà il lavoro delle cento città europee – di cui nove italiane[1] - che vogliono diventare il laboratorio di questa rivoluzione ambientale.

Le città come laboratorio della rivoluzione tecnologica e digitale a emissioni zero

Siamo ad un passaggio di portata storica nei processi di innovazione delle tecnologie per muoversi, produrre e distribuire energia, misurare le prestazioni, diventate sempre più accessibili e diffuse, con costi in continua riduzione. Inoltre, la digitalizzazione di miliardi di dati provenienti dai diversi servizi rende possibile un salto di scala senza precedenti nella direzione di politiche urbane sempre più integrate ed efficaci. Si tratta di innovazioni che sono già entrate nelle nostre vite e che ora possono essere accelerate e guidate in modo virtuoso. Quello di cui dobbiamo convincerci è che la prospettiva di città a zero emissioni di gas serra è segnata, ma che piuttosto in discussione il quando e come arrivarci. La sfida che si apre sarà innanzi tutto politica, occorrerà infatti costruire consenso intorno a questa prospettiva, spiegarla ai cittadini, convincere dei vantaggi che potrà portare. E assumere le decisioni indispensabili per fare in modo che produca vantaggi diffusi e non acuisca le distanze tra coloro – ricchi e consapevoli - che vedranno migliorare la loro qualità della vita, e il resto dei cittadini che rischia di avere pochi vantaggi e persino un aumento della spesa per i servizi. Ma quali sono gli ambiti di questo grande cambiamento ecologico e digitale?

Fino a pochi anni fa venivano derisi coloro che raccontavano di un modello energetico distribuito con impianti da rinnovabili sopra ogni tetto, famiglie e imprese che avrebbero scambiato l’energia prodotta. Oggi quello scenario non solo è diventato possibile – le direttive europee hanno infatti eliminato divieti e barriere alla condivisione di energia da rinnovabili - ma questo modello è reso sempre più competitivo dalla continua riduzione dei prezzi delle tecnologie e dalla possibilità di autoprodursi l’energia elettrica, aprendo così la strada a progetti di riqualificazione degli edifici dove si punta a elettrificare i consumi per il riscaldamento degli edifici e per la mobilità (eliminando l’utilizzo di gas e benzina, con vantaggi ambientali locali e globali). Questa prospettiva è diventata possibile per le innovazioni sul versante tecnologico ma anche per quelle avvenute nella digitalizzazione dei dati che consente di monitorare e gestire a distanza gli impianti, di utilizzarli al meglio sia da un punto di vista dell’efficienza che degli scambi con la rete. Dove sta la sfida per le città? Fare in modo che queste innovazioni si diffondano in ogni quartiere e accelerino progetti di riqualificazione con obiettivi ambientali e sociali. Proprio perché i vantaggi sono chiari dobbiamo evitare ritardi o che a beneficiarne siano solo ville e condomini dei quartieri benestanti, come avvenuto purtroppo in larga parte in Italia con il superbonus del 110%.

Le strade delle città italiane stanno da tempo vedendo innovazioni diffuse nella mobilità elettrica e in sharing, nella crescita esponenziale degli spostamenti in bici. Quello che ora diventa possibile è puntare ad avere entro il 2030 una mobilità pubblica e condivisa completamente elettrica, fortemente integrata con un sistema di percorsi ciclabili che attraversa nelle diverse direzioni la città e che rende finalmente sicuri e competitivi tutti gli spostamenti a emissioni zero. A Mosca come a Santiago del Cile, a Parigi e in tutte le città cinesi la mobilità pubblica su gomma sarà solo elettrica. Per la semplice ragione che è già oggi più conveniente in ambito urbano come costi totali di ritorno degli investimenti, considerando la drastica riduzione di spesa per manutenzione e gestione. Anche qui la digitalizzazione dei dati permette di valorizzare al meglio le innovazioni che stanno andando avanti nell’articolata offerta di auto, moto, biciclette e monopattini che possiamo trovare anche nelle città italiane e in quella negli stili di vita delle persone dove è cresciuta la propensione a muoversi a piedi e in bici. Rilevanti sono le potenzialità di crescita proprio negli spostamenti in bici ovunque si realizzano reti ciclabili diffuse e protette. Già oggi si riesce a catturare oltre un terzo degli spostamenti in città medie italiane come Ferrara, Bolzano e Pesaro e in capitali europee come Amsterdam e Copenaghen. Si torna anche qui alla politica, perché malgrado il crescente consenso di cui oggi gode questa prospettiva per i vantaggi che porta in termini di riduzione dell’inquinamento, accessibilità e miglioramento della qualità della vita - nella direzione di una città dove ogni cittadino possa a 15 minuti a piedi o in bici raggiungere i servizi necessari per vivere e lavorare -, ogni trasformazione dello spazio pubblico incontra opposizioni locali, da parte di commercianti e di chi difende il diritto al parcheggio e a poter accedere in auto ovunque e comunque.

Net zero energy building. Dovremo imparare tutti ad usare queste parole inglesi e l’acronimo NZEB, perché è la traiettoria con cui l’Europa ha fissato il cambiamento per rendere i nuovi edifici a consumi energetici quasi zero, attraverso una progettazione capace di garantire una perfetta coibentazione e integrare le migliori e più efficienti tecnologie, di valorizzare l’apporto solare a seconda delle stagioni e garantire attraverso le fonti rinnovabili i pochi fabbisogni che rimangono per riscaldamento e raffrescamento. Questo standard è dal primo gennaio 2021 obbligatorio per tutti i nuovi edifici pubblici e privati. In una casa NZEB le famiglie possono tagliare drasticamente le spese energetiche, ora la sfida sta nel portare questo approccio prestazionale anche nei progetti di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente, perché saranno qui i più importanti cantieri nei prossimi anni. Le condizioni ci sono tutte: obiettivi e fondi europei, una crescente attenzione del mercato, tecnologie e materiali a costi accessibili. Oggi disponiamo delle competenze necessarie oltre che di materiali e supporti tecnologici per controllare le prestazioni realmente raggiunte e gestire gli impianti a distanza. Il laboratorio più importante di questo cambiamento sarà il patrimonio edilizio pubblico, dalle scuole agli ospedali, dagli uffici all’edilizia residenziale pubblica. Inoltre, in questa prospettiva l’edilizia sarà un cantiere di innovazione non solo per la decarbonizzazione ma anche per l’economia circolare. Ogni anno milioni di tonnellate di rifiuti da demolizioni e ricostruzioni, ristrutturazioni edilizie finiscono in discariche legali e abusive, ed invece potrebbero diventare materiali da recuperare e utilizzare al posto di quelli prelevati dalle cave. A Prato e Ferrara in cantieri di demolizione di grandi complessi pubblici si è arrivati a recuperare il 99% dei materiali attivando imprese locali. Non esistono ragioni tecnologiche o di costi per rinviare questa prospettiva, piuttosto l’obiettivo è ora di aiutare la costruzione di filiere di imprese e premiare i materiali provenienti da recupero e riciclo nei capitolati delle opere pubbliche per la costruzione di strade, edifici e sistemazione di spazi pubblici e parchi in modo da garantire uno sbocco per l'utilizzo di questi materiali.

Il clima e il bivio della politica italiana

Le scelte che verranno prese su queste sfide definiranno profondamente l’economia e la società italiana nei prossimi anni, i caratteri e la qualità della vita nelle città. Attenzione, non è in discussione se il processo andrà avanti ma la velocità e la portata della trasformazione, quanto sarà capace da Nord a Sud e in tutti i centri urbani di ridefinire un nuovo modello di sviluppo per il nostro Paese dove la rigenerazione edilizia e urbana torni ad essere un motore di innovazione e lavoro. Se il nostro Paese con il suo sistema di imprese vorrà svolgere un ruolo in Europa in questo processo il tempo delle scelte è adesso. Alcune di queste riguardano questioni antiche, come le periferie e l’accesso alla casa, la riduzione delle disuguaglianze, che possono e devono trovare risposta dentro nuove politiche di innovazione ambientale e climatica. Il nostro Paese su questi temi fino ad oggi ha fatto poco, senza una regia e priorità chiare. Ma se vogliamo davvero accelerare nella decarbonizzazione è attraverso questa chiave che andranno riviste tutte le politiche di supporto agli investimenti in edilizia, quelli nella rigenerazione urbana e utilizzata questa chiave anche per riqualificare e creare alloggi di edilizia popolare a emissioni e bolletta zero come oggi è possibile. Eppure, tutto questo non basterà a salvare le nostre città, chi vi abita e il Pianeta se in parallelo non ci occuperemo da subito dell’altro grande corno della questione climatica, ossia quello di garantire la sicurezza dei cittadini in spazi urbani diventati pericolosi per i violenti impatti di alluvioni, cicloni e grandinate improvvise, terribili ondate di calore. Questo scenario va affrontato con la consapevolezza che sarà una inevitabile condizione con cui fare i conti ma rispetto alla quale occorre già prepararsi. E’ una grande sfida di rigenerazione urbana, perché presuppone di realizzare interventi strutturali di ridisegno degli spazi della città, che aiuti in particolare le famiglie più povere, per non rincorrere i danni ma intervenendo sulle cause. Creando parchi e prati, bacini intorno o vicino ai corsi d'acqua in modo da poter far confluire lì' l'acqua nei momenti di forti piogge e al contempo recuperando spazio pubblici per i cittadini. Togliendo asfalto dalle strade e dai parcheggi, piantando alberi capaci di creare ombra nei mesi estivi, creando serbatoi sotto le piazze per gestire le alluvioni e per poi avere l’acqua a disposizione nei giorni di siccità. Perché si possono ridurre i rischi per i cittadini degli impatti dei cambiamenti climatici attraverso un'idea progettuale di adattamento degli spazi pubblici. Per rendere possibile un cambiamento di questa portata nelle aree urbane abbiamo bisogno di re-immaginare completamente l'approccio nei confronti dei problemi e delle sfide. Come per la mitigazione, dove non si tratta solo di investire in pannelli solari e auto elettriche, ma di ridisegnare il funzionamento dei sistemi di produzione energetica, i modelli di mobilita e quelli abitativi, gli spazi pubblici, senza ridurre la qualità e sicurezza dei servizi. 

[1] Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma, Torino.