di Serena Moriondo
Finalmente, sulla spinta di realtà come l'associazionismo ambientalista o del combattivo movimento giovanile Fridays For Future e dal bisogno, sempre più insistente, di passare dall'analisi alla proposta che esige capacità di approfondimento inedite, è nato il "Forum per la transizione verde" promosso dalla CGIL.
"I temi ambientali - sostiene il più grande sindacato italiano - sono storicamente patrimonio della confederazione e, a parte alcune contraddizioni, l’azione climatica e per la tutela degli ecosistemi sono un pilastro della nostra attività. La costituzione del forum è un ulteriore passo in avanti nel nostro impegno. Presentato il 28 febbraio, è costituito da 30 esperti con competenze e conoscenze intersettoriali per riprodurre al meglio la complessità del cambiamento che dobbiamo affrontare."
Insieme a ricercatori e studiosi di Centri di ricerca e Università, ne fa parte anche l'Associazione Nuove Ri-Generazioni costituita due anni fa da Fillea e Spi Cgil e, di questo, non possiamo che esserne felici perchè potremo contribuire, anche con la Confederazione, a costruire pensiero e azioni coerenti con le sfide ambientali, sociali ed economiche di questo tempo.
A differenza, però, di quanto è stato ricordato nel dare la notizia dell' istituzione del Forum, i temi ambientali hanno prodotto ben più che "alcune contraddizioni" al sindacato, essi sono sempre stati una spina nel fianco del sistema produttivo e, anche, del mondo del lavoro.
Non vi è più alcun dubbio che le conseguenze dei cambiamenti climatici siano un problema attuale, ineluttabile e che tali cambiamenti interesseranno sempre più le lavoratrici e i lavoratori e le imprese, ma non è stato sempre così.
Per buona parte della storia del sindacato, i temi su cui si è incentrata la sua azione sono stati, in generale nella prima parte del Novecento, l’abolizione delle gabbie salariali, i rinnovi contrattuali, le pensioni, l’unità sindacale, l’autonomia dalla politica, la pace e il disarmo.
Ha scritto Aris Accornero nel libro “Era il secolo del Lavoro” (il Mulino, 1997): “Durante tutto il secolo c’è stato infatti un crescente dominio del lavoro sulla natura: una prova fin troppo schiacciante di quel che l’uomo sa fare, mentre le nostre civiltà erano state costruite attraverso un rapporto più equilibrato con la natura. Ma, come ognuno sa, la natura – poveretta – è di tutti, quindi non è di nessuno: res nullius. E’ così che il lavoro ha valorizzato l’oro e i diamanti senza riuscire a mettere in valore l’aria e l’acqua. E’ così che questo secolo è stato capace di risparmiare il tempo ma incapace di risparmiare la natura, salassata con la scusa di sopperire alla scarsità e di regalare l’abbondanza, che è quasi divenuta un valore in sé. Il valore del tavolo non stava nel legno, di cui pure era fatto: questo lo diceva già Karl Marx e in questo secolo si è rivelato maledettamente vero. Il lavoro cospirava a fin di bene con la tecnologia; le materie prime non erano che il presupposto dal quale la mano e la macchina traevano un prodotto, una merce, un bene. La natura era un materiale da lavorare e da consumare. Così, per la prima volta nella storia, nonostante gli sforzi delle organizzazioni “verdi” e le cifre stanziate dal WWF, la natura è diventata altra cosa dall’uomo, e l’uomo altra cosa dalla natura. Su di essa, in questo secolo, ha vinto il lavoro produttivo, che a volte era davvero produttivo (di valore) anche se non altrettanto utile, e a volte non era affatto utile pur essendo produttivo. E’ stato questo il lavoro (…) un lavoro “di mercato”, non di cura, non di servizio; un lavoro maschio, maschile, mascolino, ritenuto utile anche se si rivelava superfluo; un lavoro che, non essendo un semplice “fare” o una mera “attività”, poteva creare ma anche distruggere.“
E' soprattutto con i grandi fermenti sociali determinati anche dalle lotte studentesche (1968-69) che, da un lato, nasce l’esigenza di interpretare i mutamenti profondi che subiva la società mentre le grandi azioni di lotta sulla contrattazione aziendale mettono l’organizzazione del lavoro al centro delle rivendicazioni sindacali. Si mettono in discussione soprattutto i sistemi di cottimo, gli orari, i ritmi e i carichi di lavoro e l’ambiente. L' ambiente di lavoro, innanzitutto, ma è qui che nasce una nuova attenzione ai temi della salute dentro e fuori il posto di lavoro, e quindi agli impatti dei sistemi produttivi sul territorio.
L'esperienza maturata alla Farmitalia e alla FIAT di Mirafiori, per non parlare del primo accordo sull’ambiente di lavoro in Italia sottoscritto all’Acciaieria Mandelli di Collegno, e in termini più generali all'interno del sindacato confederale hanno posto, nella seconda metà degli anni Sessanta fino alla fine degli anni Ottanta, il problema della riconsiderazione dell'approccio sindacale al problema della nocività battendosi, con notevoli risultati, per il miglioramento dell’ambiente di lavoro. "L'Icmesa, l'Ipca, l'Acna o il Petrolchimico di Marghera - si legge negli atti del Convegno nazionale della FULC e del Centro Ricerche e Documentazioni, del 1977, pag.8 - sono solo le punte più conosciute di un fenomeno di nocività e di inquinamento, che trova in centinaia di piccole e medie aziende le fonti più diffuse."
“A partire dalle grandi fabbriche, espandendosi progressivamente alle realtà più periferiche, si era prodotta un’azione coordinata, basata su un linguaggio di analisi del rischio condiviso fra operai e tecnici della salute ed espresso nella Dispensa sindacale: l’Ambiente di Lavoro. Uno strumento di analisi del rischio che sarà tradotto negli anni successivi in spagnolo, tedesco, portoghese, francese e giapponese dai sindacati di altri paesi. Uno strumento concettuale che determinò in quegli anni la maggiore azione di bonifica e di riorganizzazione dell’ambiente di lavoro nella storia italiana, ripubblicato nel 2006 (trentasette anni dopo la sua prima edizione da parte sindacale) dall’istituto fondamentale che in Italia affronta i danni da lavoro: l’INAIL.” (Fonte: Ivar Oddone, Alessandra Re, Gianni Briante “Esperienza operaia, coscienza di classe e psicologia del lavoro”, OTTO editore, 2008)
Questa esperienza – come evidenziato nella pubblicazione “Dalla paga di posto al la salute non si vende! E la Responsabilità Sociale delle Imprese che fine ha fatto?” pubblicato il 23.10.2022 sul nostro sito, andava ben oltre la pur necessaria individuazione dei fattori di nocività nell’ambiente di lavoro. Dalle fabbriche il movimento si estese ben presto al territorio con la formazione di Centri di lotta contro la nocività, che dovevano contribuire, insieme con i Consigli sindacali di zona, al collegamento delle iniziative tra le fabbriche e all’azione per la riforma sanitaria, obiettivo di una lunga vertenza sindacale nazionale. La legge istituiva del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), che fu approvata nel dicembre 1978, si fondava sugli stessi principi e metodi frutto delle conquiste operaie: la prevenzione e la partecipazione. La stessa legge ora messa in discussione da anni di ridimensionamento del Fondo sanitario e da un aggressivo e costante processo di privatizzazione.
Ora è chiaro a tutti quanto il legame tra le tematiche ambientali e quelle della prevenzione sia molto stretto, così come tra ciò che è nocivo all’interno di un ciclo produttivo e l’impatto ambientale che produce. Ma “la questione ambientale è storia relativamente recente, siamo negli anni ’70, e non nasce all’interno delle fabbriche ma all’esterno con i movimenti di attivisti per l’ecologia e l’ambiente che in molti casi si propongono battaglie proprio contro la presenza di industrie inquinanti e pericolose sia per l’ambiente che per la salute della popolazione circostante. In primis tra tutte la questione del nucleare, ma in generale prevalente è l’impegno sulle fonti energetiche non rinnovabili sino ad arrivare a battaglie per la produzione di prodotti di qualità ecologica. Questo processo non è stato purtroppo interno al Sindacato, anzi in quanto sviluppato fuori dal contesto produttivo, il movimento ambientalista si è opposto anche al Sindacato vissuto come “alleato di chi produce”, interessato alla difesa del lavoro a prescindere, che si mobilita in nome della difesa dei lavoratori e del loro posto di lavoro ad ogni costo, anche di quello ambientale. Il conflitto tra produzione e ambiente ha visto in molti casi i lavoratori alleati con l’azienda contro i comitati cittadini e i movimenti ecologisti che chiedono la chiusura o la delocalizzazione della fabbrica inquinante. Insomma un grande autogol in cui i lavoratori perdono la possibilità di rivendicare la qualità del lavoro e pagano come collettività i danni ambientali prodotti dall’inquinamento di quel tipo di lavorazione. Nel 1987 però l’Associazione Ambiente e Lavoro, che nasce da CGIL, comincia a muovere i suoi passi proprio realizzando la pubblicazione denominata Dossier Ambiente che, oltre ai temi della salute e della sicurezza, affronta i temi ambientali con l’obiettivo esplicito di superare “gli storici steccati tra medicina del lavoro ed ecologia, tra sindacalismo ed ecologismo”. (Fonte: “Manuale RLS – CGIL Lombardia” estratto dal paragrafo … e l’ambiente? – pag. 37).
La prima piattaforma, ancorché unitaria, è solo del settembre 2019, dal titolo Per un modello di sviluppo sostenibile (mentre il primo Rapporto del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC) risale al 1990, ben 29 anni prima e la prima strategia europea è del 2012, quando l’Agenzia europea per l’ambiente ha attivato il Climate Adapt), a cui si aggiungerà una seconda piattaforma, Per la Giusta Transizione, nel dicembre 2020 alla luce dei lavori della Commissione Europea che ha indicato nel Green Deal l’asse portante del quinquennio 2021-2025. Fino all’adesione della CGIL alla rete CLIMATE OPEN PLATFORM negli eventi che si svolgeranno a Milano, Youth4Climate e PreCOP, e della COP 26 che si terrà successivamente a Glasgow nel 2021 (Fonte: www.cgil.lombardia.it/ambiente/).
Ed è per questo evidente ritardo che, nel 2020, in occasione della seconda giornata d’azione globale per il clima, il geologo Mario Tozzi ha lanciato in un’intervista su Collettiva.it una sfida alle organizzazioni delle lavoratrici e dei lavoratori: “Il sindacato – ha dichiarato - deve recuperare il tempo perduto, perché troppo spesso ha ceduto al ricatto occupazionale e a rimetterci sono stati gli uomini e non soltanto l’ambiente”.
Diventa allora indispensabile un nuovo protagonismo del Sindacato che si affianchi ad altre forme organizzate e di rappresentanza nei territori, affinché come scriveva il Prof.Ivar Oddone “la difesa della salute nell’ambiente di lavoro possa tornare ad essere un modello di riferimento per una strategia più generale che non interessa soltanto più la fabbrica - intesa oggi nella sua accezione più ampia riguardante ogni posto di lavoro - e non soltanto più i problemi sanitari (Fonte: I.Oddone, La difesa della salute dalle fabbriche al territorio, in «Inchiesta», 1972, II, n. 8).
Per questo è fondamentale che il sindacato sia coinvolto nella transizione al cambiamento climatico, sia sulle misure di mitigazione, tese a ridurre le emissioni di gas serra per impedire che si aggravi con esiti catastrofici, sia misure di adattamento, tese a ridurre l’esposizione ai rischi e a limitare i danni. Come sono necessarie ulteriori misure, congiunte con tutti gli stakeholder interessati, per tutelare la salute e la sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori, per anticipare i cambiamenti futuri e per tutelare l'occupazione nei settori più a rischio e per prevedere nuovi posti di lavoro di qualità .
Concludendo, ben venga, quindi, il Forum dei 30, ma è indispensabile che questi temi diventino parte integrante, non marginale, della vita delle Organizzazioni sindacali e della contrattazione svolta a livello territoriale e aziendale e, i 17 Obiettivi per lo sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 ONU, siano riferimento per la realizzazione di piattaforme concrete e all’altezza delle attuali sfide sociali, economiche e ambientali perchè come ha dichiarato l'ITUC, nel 2022, “There are no jobs on a dead planet” – “non ci sono posti di lavoro su un pianeta morto”.
Link: I_componenti_del_Forum_.pdf