di Serena Moriondo
È accertato che gli immigrati subiscono maggiormente gli effetti delle crisi economiche. Questo dipende da una serie di fattori, tra cui condizioni di lavoro meno stabili e anzianità di servizio generalmente inferiore. Diversi studi suggeriscono anche che cresce fortemente la discriminazione quando il mercato del lavoro è in affanno, mentre diventano più rilevanti – per trovare un’occupazione - le reti, di cui gli immigrati dispongono in misura inferiore (OECD, 2009).
Uno sguardo ai settori occupazionali - secondo il XII Rapporto annuale (2022) "Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia" del Ministero del Lavoro - spiega anche il motivo per cui gli immigrati hanno subito maggiormente gli effetti della pandemia. Gli stranieri sono fortemente sovra-rappresentati in alcuni dei settori più impattati. Ad esempio, nel settore alberghiero dei Paesi OCSE-UE, più di un quarto dei lavoratori ha origini straniere, un’incidenza doppia rispetto all’occupazione complessiva. Le donne immigrate si trovano senza dubbio in una situazione di particolare vulnerabilità. Il loro ancoraggio al mercato del lavoro è più debole e sono fortemente concentrate nel settore dei servizi (in particolare alberghieri), fortemente colpito durante la pandemia.
Uno dei fattori chiave che ha permesso di attutire l’impatto della pandemia sul mercato del lavoro è stato il ricorso massiccio a misure di mantenimento dell’occupazione (Job Retention Schemes - JRS) (OECD, 2021). Queste misure sono state generalmente introdotte senza differenziazione alcuna per nazionalità o Paese di nascita, anche se la concentrazione dei migranti in alcuni settori o l’uso selettivo delle stesse misure da parte dei datori di lavoro possono aver prodotto risultati differenziati. Oltre alle misure di mantenimento dell’occupazione – e in generale all’inclusione dei migranti nella protezione sociale – un ulteriore fattore che ha attutito l’impatto della pandemia è rinvenibile nella maggiore attitudine a cambiare lavoro degli immigrati rispetto ai nativi.
Nel 2021, complessivamente l’incidenza degli occupati stranieri sul totale degli occupati era pari al 10%, quella dei disoccupati 16% e quella degli inattivi ammontava al 9,3%.
All'interno del mercato del lavoro, secondo i dati dell’Osservatorio della Commissione Nazionale Paritetica per le Casse Edili (CNCE) sul lavoro regolare in edilizia, nei cantieri italiani, è straniero il 32% degli operai. Il dato sale al 40% nella fascia 18-25 anni e lo supera in quella tra i 36 e i 45 anni, mentre è molto inferiore tra gli impiegati. Tra gli operai, le nazionalità più rappresentate sono quella romena, albanese e marocchina.
Dopo anni di stagnazione, il settore edile vive oggi un periodo di ripresa dovuto in particolare agli incentivi fiscali (come il superbonus 110%) e agli investimenti del PNRR. Dai dati dell’osservatorio CNCE emerge che, dopo il lockdown del 2020, il settore è in crescita anche dal punto di vista occupazionale. Quest’anno l’area del lavoro regolare registrata attraverso le casse edili riporta un aumento di 100.000 lavoratori operai iscritti alle casse e del 40% delle ore lavorate denunciate dalle imprese. Per affrontare il tema del lavoro degli stranieri in Italia, i cantieri sono luoghi imprescindibili.
Ciò può avvenire anche grazie alla verifica di congruità della manodopera sui cantieri introdotta, grazie alle lotte del Sindacato, dal Ministero del Lavoro a partire dal 1° novembre 2021, un dispositivo che ha indotto le imprese che operano nell’ambito di appalti pubblici e privati ad assumere regolarmente un numero di lavoratori adeguato rispetto al tipo di lavori da eseguire. Tuttavia, secondo l’Ispettorato Nazionale del Lavoro nel settore dell’edilizia resta molto diffusa l’irregolarità: si va dal mancato rispetto delle norme di sicurezza all’impiego di manodopera in nero. Come si legge nel Rapporto sugli stranieri e il mercato del lavoro, le costruzioni sono il terzo settore per incidenza di infortuni (il 9,7%) e mediamente tre infortuni su quattro riguardano stranieri non comunitari.
Importante iniziativa è rappresentata dal protocollo triennale per l’inserimento socio lavorativo di cittadini rifugiati e migranti, siglato nel maggio del 2022 dall’Associazione Nazionale Costruttori Edili (ANCE), i sindacati dell’edilizia Fillea CGIL, Filca CISL e Feneal UIL con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e con il Ministero dell’Interno. Il protocollo promuove diverse attività di cooperazione mirate a favorire la formazione e l’inserimento lavorativo di cittadini richiedenti e titolari di protezione internazionale ed immigrati in condizioni di vulnerabilità, inclusi i giovani in uscita dai progetti di accoglienza per minori non accompagnati.
Secondo il Report "LE COSTRUZIONI IN ITALIA: TRA LUCI ED OMBRE" pubblicato a fine gennaio dalla Fillea Cgil, il settore edile sta invecchiando e scarseggia la manodopera specializzata. Con una media pari a 47,2 anni (dati 2021), il comparto ha la più alta percentuale del settore privato. I principali ingressi (89%) riguardano la componente migranti. Anche se nel 2021 si è registrato un lieve aumento del numero di lavoratori under 30 (+1,65%), vi è però un calo del 2,26% rispetto ai dati del 2014Accanto ai lavoratori dell’Est Europa e dei Balcani che rappresentano ancora le principali comunità che operano in edilizia (alcuni anche alla seconda o terza generazione) e alla presenza di altre comunità più storiche (come marocchini, egiziani, tunisini) dal 2022 registriamo un aumento di lavoratori anche del Sud America e dell’Asia. Alcune comunità vanno poi specializzandosi (gli egiziani nel cartongesso, gli asiatici nella lavorazione del ferro, ecc.). Colpisce poi anche la diminuzione dell’età media tra i lavoratori migranti (da 35,8 anni a 30,1): di fatto l’unico ingresso di giovani nel settore è quello di provenienza migrante.
Spesso sono i migranti le principali vittime di caporali, con scarsa o nulla conoscenza dei loro diritti, del contratto nazionale, finanche della lingua italiana. Lo stesso fenomeno degli “alias”, cioè il furto di identità per cui più lavoratori migranti privi di permesso utilizzano i documenti/nomi/codici fiscali di lavoratori regolari della loro stessa etnica, il ricorso ai social per reclutare manodopera (vi sono veri e propri canali Telegram, whatsapp, gruppi chiusi su facebook, ecc., molti in lingua o addirittura in dialetto), le restituzioni economiche mensili (è pratica diffusa “restituire” tra il 30% e il 50% del proprio stipendio al caporale/caposquadra) sta crescendo. Per questo - scrive la Fillea Cgil - tutti, sindacato, imprese, istituzioni devono investire su un più incisivo impegno, anche repressivo.
Per migliorare le condizioni di lavoro nel settore edile, ma non solo, bisogna dunque agire prioritariamente su tre livelli: le politiche che promuovono comportamenti virtuosi delle imprese punendo quelle che sfruttano il lavoro irregolare e non rispettano le misure di salute e sicurezza, l’informazione dei lavoratori e il cambio di politiche migratorie.
Iniziative in tal senso già esistono anche se il Governo Meloni va in direzione opposta, cancellando anni di conquiste del movimento dei lavoratori. Occorre fare di più, con più impegno e determinazione.