di Serena Moriondo
In occasione dell'8 marzo 2023, l’associazione Antigone ha presentato “Dalla parte di Antigone”, primo rapporto sulle donne detenute in Italia ed il quadro che ne deriva conferma che le discriminazioni raggiungono le donne ovunque siano.
Ma, per ll'Associazione Nuove Ri-Generazioni, è anche l'occasione per affrontare, seppur in maniera estremamente parziale, il tema delle contraddizioni nelle scelte e le occasioni mancate dell'organizzazione penitenziaria nel nostro Paese.
Il 4,2% della popolazione detenuta sono donne che si ritrovano a vivere in spazi creati per sottrazione, ossia spesso ricavati all’interno delle sezioni delle carceri maschili che vengono riadattate, ma che per conformazione strutturale non rispondono alle esigenze delle detenute.
Peraltro a dimostrare le contraddizioni tutt’ora esistenti tra le ragioni di una ricerca architettonica democratica e innovativa, in linea con un Ordinamento penitenziario tra i più avanzati, e le "urgenze sicuritarie" di volta in volta sempre emergenti, basta tornare un po' indietro nel tempo. Era il 1981 quando, con la Legge finanziaria n.119, fu avviata la realizzazione di un consistente programma di edilizia penitenziaria destinato a modificare i criteri di progettazione in maniera sostanziale tanto che l’amministrazione penitenziaria ancora oggi non appare in grado di fuoriuscire dai confini anche culturali imposti dalla filosofia dell’emergenza sicuritaria, nonostante il lungo periodo di gestione ispirata al “carcere della speranza” a cui si rifaceva il rinnovamento amministrativo che, con l’emanazione della Legge 395/1990, ha consentito al Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria (DAP) di avvalersi, dal 1993, di un proprio staff di progettisti, poi successivamente smantellato. In tempi molto più recenti, durante la pandemia, si sono verificate diverse rivolte in almeno in 22 strutture, che hanno drammaticamente riportato all’attenzione la questione delle condizioni di vita all’interno delle carceri. (Fonte: L.Scarella, architetto, dal 1993 al 2019 in servizio al Ministero della Giustizia, dove ha condotto studi e progetti per il Dipartimento di amministrazione penitenziaria. È autore del Repertorio del patrimonio edilizio penitenziario in Italia al 1997.)
Ed è innegabile - come si legge nel Documento finale “Gli Spazi della pena: architettura e carcere” degli Stati generali dell’esecuzione penale (2015) - "la correlazione che esiste tra una certa filosofia della pena detentiva e la sua materializzazione negli edifici carcerari.(..) È altrettanto vero, però, che le funzioni di volta in volta attribuite alla pena detentiva si evolvono secondo ritmi più rapidi di quelli che solitamente contraddistinguono la “vita media” delle strutture contenitive: per evidenti ragioni di carattere economico, queste ultime sopravvivono infatti, il più delle volte, al modello punitivo che era stato alla base della loro costruzione. Questa chiave di lettura è valida anche per il patrimonio edilizio carcerario del nostro Paese, dal momento che negli anni Ottanta del secolo scorso, come conseguenza della stagione del terrorismo, si è dato vita alla realizzazione di un alto numero di complessi per una custodia “chiusa” basata sul contenimento dei detenuti all’interno di spazi e locali fortemente concentrati."
Se si aggiunge che "negli ultimi decenni la tendenza all’allontanamento del carcere dal territorio urbano è diventata una costante e che il principio di territorialità nell’esecuzione della pena detentiva non è, in un’alta percentuale di ipotesi, rispettato , si viene a disporre di una “istantanea” che fa risaltare due gravi incongruenze: per un verso, lo iato sussistente tra la maggior parte delle nostre strutture carcerarie e la pratica attuazione del sistema detentivo della vigilanza dinamica che costituisce il modello di organizzazione interna più attuale e più in linea con la logica della responsabilizzazione del detenuto; per un altro verso, i deficitari collegamenti delle carceri col tessuto urbano (..) accentuano il fisiologico connotato della separatezza dell’istituzione totale, che è il principale ostacolo per un proficuo esito del trattamento rieducativo.
Alla luce di queste considerazioni critiche è fortemente auspicabile l’adozione di criteri innovativi per la localizzazione delle strutture detentive, che dovranno potersi facilmente relazionare con il contesto territoriale ad esse pertinente. Non meno coraggiosa dovrà essere la decostruzione di molti edifici carcerari, i cui spazi interni, molto spesso sotto-utilizzati (si faccia l’esempio degli interminabili corridoi), dovranno essere riconvertiti (..)" e si dovranno realizzare soluzioni spaziali che assumano "come modello di riferimento quello delle «unità residenziali autonome, adottato negli ultimi anni in Spagna e in alcuni Paesi del Nord Europa" coinvolgendo i detenuti e le detenute e, gli attori che, a vario titolo, si muovono sul versante attivo dell’esecuzione penitenziaria (educatori, Polizia penitenziaria, volontari).
Le donne nelle carceri italiane sono una minoranza della popolazione detenuta, ma scontano il peso di un sistema detentivo plasmato sulle esigenze, i bisogni e le peculiarità maschili. Da qui, il Rapporto di Antigone si interroga su quali siano le condizioni in cui vivono le detenute, i problemi e le mancanze che devono affrontare ogni giorno tra le mura delle carceri, in quella che invece dovrebbe essere una condizione che rispetti e si avvicini alla realtà esterna.
Erano 2.392 le donne presenti negli istituti penitenziari italiani al 31 gennaio 2023, di cui 15 madri con 17 figli al seguito. Le quattro carceri femminili presenti sul territorio italiano (a Trani, Pozzuoli, Roma e Venezia) ospitano 599 donne, pari a un quarto del totale. L’Istituto a custodia attenuata di Lauro ospita 9 madri detenute e altri tre piccoli Icam ospitano 5 donne in totale. Le altre 1.779 donne sono sostanzialmente distribuite nelle 44 sezioni femminili ospitate all’interno di carceri maschili.
Sempre secondo il Report: “Il numero più alto di donne detenute si trova nel Lazio (390), vista la presenza a Roma del carcere femminile più grande d’Europa. Seguono la Lombardia (386) e la Campania (326)”.
Altro nodo cruciale è costituito dalle relazioni familiari e con l’esterno. A facilitare il reinserimento sociale dovrebbero essere i percorsi lavorativi. In questo caso il dato registrato mostra che le donne in carcere sono inserite in questo tipo di percorsi in percentuali maggiori rispetto agli uomini. “Al 30 giugno 2022 (ultimo dato disponibile) le donne lavoratrici erano 1.118, pari al 5,8% del totale delle persone impiegate. Di queste, 925 (l’82,7%) lavoravano alle dipendenze dell’amministrazione e 193 (il 17,3%) per esterni”.
A costituire degli ostacoli contribuiscono le disparità tra un luogo e un altro. Da questo fattore dipende il tipo di offerta: più è ampia e ricca, più ciascuno può trovare ciò di cui ha bisogno. È importante orientare l’offerta formativa proposta in percorsi non stereotipati al femminile né che facciano leva sull’infantilizzazione.
Il tema della salute, della prevenzione e della cura è al centro dell'intervento di Tamar Pitch, direttrice della rivista “Studi sulla Questione Criminale” e docente di Filosofia e Sociologia del diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Perugia, che cita tre date importanti che hanno visto la condizione delle donne detenute al centro del dibattito italiano: il 1992 anno in cui esce la prima ricerca sulla detenzione femminile in Italia, il 2016 durante gli Stati Generali dell’esecuzione penale (2015-2016) su “Donne e carcere” e infine il 2023 con questo nuovo report di Antigone.
Pitch si sofferma sulla medicina di genere: “Paradossalmente, è nelle carceri femminili che le detenute accedono per la prima volta alla possibilità di esami per la prevenzione di patologie al seno e agli organi riproduttivi” precisando che “Finora, la (scarsa) attenzione delle istituzioni nei confronti della detenzione femminile si è diretta quasi unicamente sulla maternità in carcere, trascurando o ignorando le esigenze delle detenute in tema di salute fisica e psichica, diverse da quelle maschili”.
Per approfondimenti sul Rapporto Antigone QUI
* Foto di Stefano Cocco e Giampiero Corelli