Con l’obiettivo di offrire
un quadro costantemente aggiornato sulla competitività del sistema produttivo italiano, l'ISTAT ha recentemente reso disponibili indicatori chiave, semplici e compositi, sulla struttura e la performance delle imprese, ricavati da diverse fonti ufficiali.
Le informazioni, del 4 aprile scorso, sono raccolte in 39 schede in formato pdf relative ai settori della manifattura (divisioni della classificazione delle attività economiche Ateco 2007) e dei servizi (sezioni della classificazione Ateco 2007). Per approfondire il tema, l'Istat ha inoltre pubblicato Il "Rapporto sulla produttività dei settori produttivi 2023" dove rende disponibili anche i database settoriali in formato xlsx, contenenti una serie storica di oltre 70 indicatori economici strutturali, organizzati per argomento, con fonti, note e un specifica sezione dedicata al territorio.
L’analisi microeconomica approfondisce gli effetti della doppia crisi sul sistema delle imprese, analizzando inoltre le strategie di reazione di queste ultime tra il 2019 e 2021, e quanto la crisi pandemica abbia impattato sulla struttura produttiva.
Per il settore energetico si rileva che “a livello regionale, l’impatto dei beni energetici sull’aumento dei prezzi alla produzione risulta nella maggior parte dei casi più elevato rispetto alle altre categorie di beni, con un range che varia tra il 22,7% della Basilicata e il 73,8% della Valle d’Aosta; più contenuto quello dei beni agricoli (tra lo 0,6% del Lazio e il 7,5% dell’Emilia-Romagna)”.
Tra i servizi, si osserva un ridimensionamento per le attività di alloggio e di ristorazione e quelle artistiche, sportive e di intrattenimento; nella manifattura, invece, alla contrazione di comparti della filiera dell’abbigliamento, quali pelli e abbigliamento si contrappone l’espansione della fabbricazione di autoveicoli, dei prodotti in metallo e della farmaceutica. “Un ruolo non trascurabile è svolto anche dalla capacità di contenere gli aumenti di costi di produzione attraverso la rinegoziazione dei contratti di fornitura di energia o la realizzazione di investimenti finalizzati a una maggiore efficienza energetica. Nei servizi, oltre a questi ultimi aspetti, appare rilevante anche l’appartenenza a un gruppo multinazionale, mentre la rinegoziazione dei contratti di fornitura svolge una funzione più limitata”.
Mentre nel comparto manifatturiero sembrano svolgere un ruolo rilevante sia l’aumento del valore delle esportazioni nel biennio 2021-2022, sia l’avere raggiunto livelli di produttività del lavoro superiori a quelli pre-pandemici.
Nel corso del 2022 l’andamento in valore del fatturato dell’industria in senso stretto ha decelerato rispetto all’anno precedente (+16,9%, contro il +22,6% del 2021), registrando variazioni del tutto simili sul mercato interno ed estero (rispettivamente +17,0 e +16,8%).
Nella manifattura i rincari dei listini energetici hanno inciso sull’andamento del fatturato (+16,8% in valore); la crescita in volume è stata molto più contenuta (+3,0%), con una contrazione nel quarto trimestre 2022 (-0,4% rispetto al terzo trimestre).
Nel terziario, nel 2022 l’indice del fatturato (+13,4%) è aumentato in tutti i settori, accelerando nelle attività legate al turismo e più toccate dall’emergenza pandemica: agenzie di viaggio (+112,4%), alloggio e ristorazione (+45,7%), trasporto aereo (+89,1%). In forte crescita anche il trasporto marittimo (+56,4%).
Le due crisi che hanno caratterizzato il periodo 2020-2022 non hanno modificato in misura sostanziale la rilevanza relativa dei principali partner commerciali dell’Italia (Stati Uniti, Germania, Francia, Spagna, Regno Unito, Russia e Cina che spiegano complessivamente circa la metà dell’export in volume della manifattura): solo in 2 settori su 23 si segnala un cambiamento del principale mercato di sbocco. Tuttavia emergono tracce di ricomposizione: gli Stati Uniti hanno guadagnato rilevanza come principale destinazione in tutti i settori della manifattura, con l’eccezione delle bevande, gli altri mezzi di trasporto e la farmaceutica. Germania e Francia, al contrario, perdono peso nelle esportazioni in volume rispettivamente in 12 e 13 settori su 23, con un ridimensionamento più rilevante nella farmaceutica e nell’elet- tronica; nel caso della Francia si evidenzia anche una consistente riduzione nell’automotive. Anche per le importazioni, tra il 2019 e 2022 non si registra in nessun comparto manifatturiero un cambiamento nella graduatoria dei principali fornitori. Cresce, tuttavia, l’importanza relativa della Cina nell’import in volume di ben 19 comparti manifatturieri, con particolare rilievo negli altri mezzi di trasporto (la quota passa dal 5,6 all’11,6 per cento), nei macchinari (dal 12,6 al 15,8 per cento), nell’elettronica (dal 17 al 18,9 per cento, confermando il suo ruolo di leader), nella chimica (dal 4,7 al 10,6 per cento).
Dall’analisi emerge che i comparti esteri più rilevanti per l’approvvigionamento di in- put produttivi da parte dell’Italia sono l’estrazione, la chimica, la metallurgia e prodotti in metallo; i settori italiani che più dipendono da queste forniture estere sono le raffinerie, gli alimentari e bevande, la metallurgia e prodotti in metallo la chimica, la gomma, plastica e minerali non metalliferi, i macchinari e gli autoveicoli. Per questi settori, in particolare, vengono valutate l’estensione e la velocità di trasmissione degli impulsi al resto del siste- ma economico. A eccezione degli autoveicoli, tutti risultano poter trasmettere rapidamente l’aumento dei costi sui prezzi finali.
Il Rapporto adotta una prospettiva microeconomica per valutare come la crisi pandemica e quella energetica abbiano impattato sulla struttura, le strategie e la performance delle imprese italiane. In particolare, con riferimento alla prima crisi
emerge come la recessione causata dalla pandemia abbia avuto un impatto nel complesso limitato sul sistema produttivo in termini di numero di unità (-0,5 per cento),
e di addetti (addirittura aumentati dello 0,4 per cento).
Tale stabilità sottende tuttavia effetti di ricomposizione non trascurabili, con cambiamenti in qualche caso anche rilevanti. Il comparto delle
costruzioni è stato il principale beneficiario di tali dinamiche, con aumenti di imprese e addetti (rispettivamente +6,6 e +12,2 per cento) che hanno compensato le contrazioni osservate nella manifattura (-2,4 e -0,5 per cento) e nei servizi di mercato (-1,5 e -0,5 per cento). La riallocazione strutturale a favore del comparto delle costruzioni è avvenuta soprattutto a fronte di una contrazione dei servizi, in particolare nelle attività di alloggio e di ristorazione (-4,5 per cento di imprese e -10,7 per cento di addetti) e in quelle artistiche, sportive e di intrattenimento (-4,7 per cento di imprese e -10,1 per cento di addetti). (
Scheda settore F - Costruzioni)
Infine, sul piano occupazionale, l’eterogeneità settoriale che caratterizza le HGEs, cioè le unità che hanno mostrato un aumento medio annuo in termini di dipendenti superiore al 10 per cento tra il 2013 e il 2016, secondo il Rapporto suggerisce sentieri di sviluppo differenziati tra le imprese (Ocse, 2021).
Un’analisi esplorativa delle caratteristiche e delle strategie delle unità ad elevata crescita in termini di dipendenti, osservate sulla base delle informazioni tratte dal Censimento delle imprese 2018,
evidenzia come la probabilità di essere un’impresa a elevata crescita si associ a una maggiore propensione alla trasformazione tecnologica – in particolare un elevato grado di utilizzo delle tecnologie digitali; un’associazione positiva emerge anche rispetto al livello di connessione dell’impresa col sistema produttivo, ovvero alla capacità di operare all’interno di un contesto di relazioni produttive dense e strutturate.
Per la Redazione - Serena Moriondo