Lo Spi-Cgil ha recentemente reso pubblica la ricerca, curata dalla Fondazione Giuseppe Di Vittorio, “Anziani stranieri: cambiamento sociale e demografico dell’immigrazione in Italia”.
I processi migratori e il cambiamento demografico sono affrontati spesso distintamente dalle politiche pubbliche. L’invecchiamento della popolazione non ha solamente conseguenze sulla sicurezza sociale e sull’assistenza, ma si associa a un calo della popolazione in età da lavoro. L’immigrazione ha mitigato questo processo, ma la stabilizzazione degli immigrati (ricongiungimento delle famiglie, seconde generazioni, ecc.) si rifletterà sull’invecchiamento relativo degli stessi stranieri, con conseguenze rilevanti sulle politiche riguardanti la salute e sicurezza, l'assistenza, la previdenza e le politiche attive del lavoro.
In estrema sintesi:
- la presenza di minorenni cala in termini relativi; si abbassa la fecondità; cresce l’età media delle persone in età da lavoro, come di coloro che acquisiscono la cittadinanza italiana. La presenza degli stranieri e l’ingresso di nuovi immigrati interviene ancora nel mitigare, senza compensarlo, il calo drammatico della popolazione residente; ma allo stesso tempo cambiano le caratteristiche strutturali dell’immigrazione;
- il cambiamento del mercato del lavoro che vede coinvolti gli stranieri è ancora segnato da dualismi, segmentazione, precarietà, rischi e fragilità: verosimilmente si tratta di aspetti che si confronteranno non solo con le aspirazioni delle seconde generazioni di stranieri e di coloro (oltre un milione nell’ultimo decennio) che hanno acquisito la cittadinanza italiana, ma anche con la quota crescente di lavoratori e lavoratrici mature. Oltre alle condizioni materiali e alla cornice strutturale, la “penalizzazione sociale” del lavoro degli immigrati rischia di riprodursi anche nel corso delle carriere lavorative e attraverso le generazioni. A parità di fattori negativi che pesano sul lavoro di buona parte degli stranieri – e delle straniere specie nei settori del lavoro domestico, del turismo, dei servizi a bassa qualificazione, etc. – la crescita della forza lavoro matura dovrebbe sollecitare sempre più l’attenzione sulla sicurezza sul lavoro, sulle malattie professionali, sull’adeguatezza degli assegni pensionistici, ma anche sulla conciliazione vita-lavoro, sulla formazione e sulle politiche attive del lavoro. L’analisi mostra che le criticità dell’occupazione e delle condizioni di lavoro degli immigrati persistono nelle classi di età mature, con accenti più netti per quanto riguarda le donne: segregazione occupazionale, scarsa mobilità tra settori e professioni, stagnazione salariale e ricerca di integrazioni al reddito, canali di acceso al lavoro e alla formazione limitati. Inoltre il lavoro degli stranieri maturi è caratterizzato da significativi tassi di disagio e di disoccupazione sostanziale, che non sono mitigati dal consolidamento professionale che con l’avanzare dell’età caratterizza maggiormente – in media – i lavoratori italiani maturi. Si tratta di problematiche che per gli immigrati non paiono attenuarsi con l’età, e in qualche modo richiamano il tema più ampio degli interventi a favore dei lavoratori maturi, rispetto all’occupabilità e a un’auspicabile longevità lavorativa da rendere però sostenibile per i lavoratori stessi;
- il profilo sociale e i bisogni degli stranieri (e dei “nuovi italiani”) maturi e anziani descrive una presenza di nati all’estero crescente in termini assoluti, viene in luce una domanda sociale articolata che si riflette, ad esempio, nell’ampio accesso femminile all’indennità di disoccupazione fino a età avanzate; mentre sottotraccia s’intravedono le difficoltà delle procedure amministrative che coinvolgono gli stranieri anche in età matura (rinnovo dei permessi di soggiorno per i cittadini non comunitari, acquisizione della cittadinanza, etc.). Tutto questo senza dimenticare il numero di beneficiari delle prestazioni previdenziali che, sebbene ancora limitato, cresce in misura non trascurabile. Si evidenzia una disparità di reddito tra italiani e stranieri e in quelle di accesso a determinati ambiti delle spese di natura sociale e agli investimenti personali: dalle spese sanitarie a quelle per l’istruzione (dei figli), da quelle per ristrutturazioni edilizie alle spese per riqualificazione energetica. In particolare, per le spese legate a investimenti personali destinati al miglioramento del patrimonio edilizio (insieme alla detrazione per l’acquisto di mobili ed elettrodomestici e a quelle per interventi di risparmio energetico) mostrano una considerevole distanza tra italiani e nati all’estero, sotto diversi aspetti. Aggregate nella categoria Spese per l’abitare esse evidenziano la disparità delle risorse a disposizione: i giovani e gli adulti di età centrali nati all’estero hanno una spesa media che si attesta tra il 37,1% (15-34 anni) e il 39,1% (35-49 anni) di quella dichiarata dagli italiani. Viene raggiunta la metà della spesa degli italiani solo tra i 50 e i 64 anni, fino ad arrivare al 73,9% per gli over 64 anni. Oltre a una spesa media più bassa, i nati all’estero sono caratterizzati da un minor accesso alle detrazioni, e cioè da una capacità d’investimento che è limitata a un gruppo più esiguo, il quale peraltro si restringe con l’avanzare dell’età: fino ai 49 anni, i nati all’estero rappresentano circa 1 famiglia contribuente su 10 nel gruppo delle famiglie che beneficiano di detrazioni per ristrutturazione del patrimonio edilizio (mentre sono circa 1 famiglia su 5 nelle medesime classi di età dei contribuenti); analogamente, tra i 50-64 anni i nati all’estero rappresentano solo il 5,7% delle famiglie che hanno dichiarato spese per ristrutturazione edilizia, pur rappresentando l’11,2% delle famiglie della medesima classe d’età.
Per la Redazione - Serena Moriondo