di Gaetano Sateriale, coordinatore CERS2030 e Ferrara 2030 (componente del Comitato Scientifico dell'Ass. Nuove Ri-Generazioni)
Se le diseguaglianze nei trattamenti di lavoro (orari, permessi, inquadramento, retribuzioni) tra maschi e femmine nei luoghi di lavoro (privati e pubblici) sono una realtà diffusa: quasi la regola, penso che non sia sufficiente rivendicare parità di trattamenti a partire dalle leggi esistenti o dalla Costituzione, se la realtà va da un’altra parte. E nemmeno immaginare che nuovi provvedimenti legislativi, una volta richiesti, possano essere emessi e risolvere tutto. Allora, che fare? Bisogna, io credo, rimboccarsi le maniche e ripartire dal basso (come si è sempre fatto).
Negli ultimi 50 anni, il rapporto tra contrattazione e legge è sempre stato unidirezionale a salire: la contrattazione ottiene miglioramenti (per una fabbrica, per un settore), alcuni di questi miglioramenti diventano validi per tutti grazie a una legislazione che li assume e li trasforma in diritti universali. È stato così per il diritto alle ferie retribuite, per le 150 ore, l’orario massimo, i riposi settimanali, i diritti sindacali, la salute e la sicurezza e molto altro. Tant’è che si può dire, a ragion veduta, che molte delle grandi riforme degli anni 70 (sanità, pensioni, scuola) derivino direttamente dalle lotte sindacali di quegli anni.
Mi sono riletto l’ultimo e molto importante contratto nazionale dei metalmeccanici e ne ho ricavato una considerazione e una proposta.
La considerazione dipende dal fatto che il tema delle diseguaglianze di genere viene affrontato (implicitamente, se non ho inteso male) nel capitolo che tratta di “pari opportunità”, anch’esso molto ricco di indirizzi e strumenti. Ma le pari opportunità sono, anche quando pienamente realizzate, uno strumento ex ante, non una misura di quanta eguaglianza queste opportunità paritetiche producano nei fatti: nella realtà quotidiana del lavoro concreto. Di qui allora la proposta. Perché non sperimentare l’elezione di una “Rappresentante della Parità di Genere” che sia eletta da tutti, che verifichi l’esito delle “pari opportunità”, che denunci le diseguaglianze esistenti e trasformi in rivendicazioni quella lesione dei diritti delle lavoratrici? Una “Rappresentante della Parità di Genere” facente parte della RSU, come esiste il rappresentante alla sicurezza (RLS), per intenderci. Certo, per far passare l’idea che lo stesso lavoro deve essere inquadrato e pagato allo stesso modo e garantire la stessa carriera per maschi e femmine, è indispensabile avere il consenso sia delle lavoratrici che dei lavoratori che sappiamo non essere scontato su questi temi: fare una battaglia interna, prima ancora che una battaglia con le imprese che non applicano il principio di parità. Ma è una battaglia anche culturale che può innovare davvero la qualità e la dignità del lavoro per tutti e che pertanto è urgente avviare.