di Gaetano Sateriale, già sindaco di Ferrara e presidente dell’Associazione Beni Italiani Unesco, componente del Comitato Scientifico dell'Associazione Nuove Ri-Generazioni
Quando nel 1997 fondammo l’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale Unesco eravamo alcune città di piccola-media dimensione. Lo facemmo con un duplice obiettivo: tenere rapporti con Unesco Italia allo scopo di orientare le numerose richieste da parte di tanti piccoli territori storici di essere riconosciuti “Patrimonio mondiale” e facilitare una promozione turistica di qualità in un programma integrato. Non più ciascuna città che fa per conto suo ma un itinerario concordato per scoprire e visitare l’intero Patrimonio Unesco nazionale.
Sul primo degli obiettivi, seppure in maniera non formale, ottenemmo da Unesco una certa “rassicurazione”: “Siete già il primo Paese al mondo per numero di siti dichiarati patrimonio dell’umanità. Capiamo che ce ne sono molti altri che potrebbero ambire a tale riconoscimento ma dobbiamo farlo per gradi, tenendo conto anche dei patrimoni delle altre nazioni”.
Sul secondo obiettivo, che dipendeva prevalentemente dalla volontà e dalla capacità dei soci, non si fecero passi in avanti. L’offerta turistica ha continuato a essere non coordinata e dipendente dalle politiche delle singole città. Le città grandi (per dimensione, patrimonio culturale e presenza turistica, come Venezia, Firenze, Roma) non avevano nessuna necessità di ampliare la presenza turistica coordinandosi con altri. Anzi, avevano semmai il bisogno di cambiare le caratteristiche del turismo: da un arrivo di massa “mordi e fuggi” a una presenza più lunga e qualificata culturalmente. Non risulta che fino a oggi ci siano stati molti progressi su questo punto: la quantità (e quindi la qualità) del turismo delle grandi città d’arte la decidono ancora le grandi compagnie di viaggi nazionali e internazionali (con le conseguenze che conosciamo sul degrado di certi luoghi e il peggioramento delle condizioni di vita degli abitanti di quelle città). I siti Unesco di più piccola dimensione non sono riusciti a definire e coordinare fra loro dei “programmi” fatti di iniziative e percorsi culturali multicentrici, con reti di trasporto e accoglienza in grado di far sistema e aumentare il valore dell’offerta complessiva.
Stando alle cronache più recenti, si è aperto un certo contenzioso tra siti e Unesco, perché (giustamente, a nostro parere) Unesco pensa che l’assenza di politiche di qualificazione dell’offerta rischiano di far perdere valore al patrimonio riconosciuto man mano che si massimizza la presenza turistica (si veda ad esempio la presenza delle grandi navi di crociera nel bacino di San Marco).
Dal 2021, giustamente, l’Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale Unesco sta affrontando i temi della sostenibilità (da Agenda Onu 2030) in collaborazione con ASviS: i goal e i target dell’Agenda Onu non sono obiettivi astratti ma indicazioni per attuare delle politiche che consentano di governare le crisi e le transizioni in atto (climatica, energetica, ambientale, ecc.) in una logica di aumento del benessere delle persone e dei territori. Queste politiche non si realizzano dall’alto se manca una loro concreta declinazione urbana (nelle grandi città, in quelle piccole, nei borghi e nei territori extraurbani). Ma al momento non si registra nessun indirizzo e nessun coordinamento tra le politiche necessarie e i soggetti che dovrebbero realizzarle.
Lo sviluppo di un turismo di qualità ha bisogno di infrastrutture di trasporto, di accoglienza e di ricezione coerenti con il valore del patrimonio da salvaguardare. Anche questa è una via per creare un’occupazione di qualità che coinvolga i giovani attraverso una adeguata formazione. Al concetto di “sostenibilità” si sono sempre affiancate le specificità “ambientale, sociale, economica e istituzionale”. Forse è giunto il momento di parlare anche di “sostenibilità culturale”.