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COPERTINA CITTà CLIMA ALLUVIONIIn 14 anni di monitoraggio registrati dall’Osservatorio Città Clima si osservano 684 allagamenti e 86 frane da piogge intense, 166 le esondazioni fluviali.  Le regioni più colpite: Sicilia, Lazio, Lombardia, Emilia-Romagna, tra le grandi città Roma, Agrigento, Palermo, Genova e Napoli. In compenso il Governo Meloni dimezza le risorse destinate a contrastare il dissesto idrogeologico, da 2,49 miliardi a 1,203 miliardi, in un Paese dove si sono spesi in media oltre 1,25 miliardi/anno  per la gestione delle emergenze.

L’Italia è sempre più soggetta ad alluvioni e piogge intense, e sempre più fragile e impreparata di fronte alla crisi climatica. È quanto emerge dal “Rapporto Città Clima 2023 Speciale Alluvioni” realizzato da Legambiente, con il contributo del Gruppo Unipol, che quest’anno dedica uno speciale proprio al tema alluvioni denunciando anche i tagli che ci sono stati alle risorse destinate alla prevenzione del dissesto idrogeologico.

I numeri - spiegano dall'Associazione ambientalista - parlano da soli: negli ultimi 14 anni-dal 2010 al 31 ottobre 2023 - sono stati registrati dall’Osservatorio Città Clima di Legambiente ben 684 allagamenti da piogge intense, 166 esondazioni fluviali e 86 frane sempre dovute a piogge intense, che rappresentano il 49,1% degli eventi totali registrati. In questi 14 anni, le regioni più colpite per allagamenti da piogge intense sono state: la Sicilia, con 86 casi, seguita da Lazio (72), Lombardia (66), Emilia-Romagna (59), Campania e Puglia (entrambe con 49 eventi), Toscana (48). Per le esondazioni fluviali al primo posto la Lombardia con 30 casi, seguita dall’Emilia-Romagna con 25 e dalla Sicilia con 18 eventi. Va segnalato anche il numero di frane da piogge intense che hanno provocato danni in particolare in Lombardia (12), Liguria (11), Calabria e Sicilia (entrambe con 9 eventi). Ad andare in sofferenza sono soprattutto le grandi città: in primis Roma, dove si sono verificati 49 allagamenti da piogge intense, Bari con 21, Agrigento, con 15, Palermo con 12, Ancona, Genova e Napoli con 10 casi. Per le esondazioni fluviali spicca Milano, con almeno 20 esondazioni dei fiumi Seveso e Lambro in questi anni, di cui l’ultima a fine ottobre; seguono Sciacca (AG) con 4, Genova e Senigallia (AN) con 3.

1,3 milioni di persone vivono in aree definite a elevato rischio di frane e smottamenti e oltre 6,8 milioni di persone sono a rischio medio o alto di alluvione (dati Ispra). Dal punto di vista economico, ricorda Legambiente, il Paese ha speso dal 2013 al 2023, oltre 13,8 miliardi di euro in fondi per la gestione delle emergenze meteo-climatiche (dati Protezione civile). Eppure, nonostante tutto ciò, il Governo Meloni nel rimodulare il PNRR ha scelto di dimezzare le somme destinate a contrastare il dissesto idrogeologico, passate a livello nazionale da 2,49 miliardi a 1,203 miliardi, in un Paese dove si sono spesi in media oltre 1,25 miliardi/anno per la gestione delle emergenze, mentre dal 1999 al 2022, per la prevenzione del rischio, sono stati ultimati 7.993 lavori per un importo medio di 0,186 miliardi/anno (fonte Rendis- Ispra).

Secondo Legambiente a pesare in questi anni in Italia l’assenza di una governance con una visione più ampia capace di tener insieme conoscenza, pianificazione e controllo del territorio. Per questo oggi l’associazione ambientalista, in occasione del lancio del suo report e a pochi giorni dell’apertura della COP28 sul clima a Dubai e del suo XII congresso nazionale dal titolo “L’Italia in cantiere” in programma a Roma l’1, 2 e 3 dicembre e incentrato su crisi climatica e transizione ecologica, ricorda quelli che devono essere i due pilastri cardine della buona gestione del territorio: ossia la convivenza con il rischio, che si attua con la giusta attenzione ai piani di emergenza comunali, all’informazione e formazione dei cittadini e la consapevolezza che un territorio come quello italiano non ha bisogno di essere ulteriormente ingessato, cementificato, impermeabilizzato, ma dell’esatto opposto, ovvero dell’adattamento.

L'appello:

1) Occorre approvare in via definitiva il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici e individuare le linee di finanziamento stanziando adeguate risorse economiche (a oggi assenti) per attuare il Piano.

2) Approvare la legge sullo stop al consumo di suolo che il Paese aspetta da 11 anni. Occorre, poi, far rispettare il divieto di edificazione nelle aree a rischio idrogeologico e i vincoli già presenti, riaprire i fossi e i fiumi tombati nel passato, recuperare la permeabilità del suolo attraverso la diffusione di Sistemi di drenaggio sostenibile (SUDS) che sostituiscano l’asfalto e il cemento.

3) Superare la logica dell’emergenza e degli interventi invasivi e non risolutivi.

4) Costituire una regia unica, da parte delle Autorità di bacino distrettuale, attualmente marginalizzate, per costruire protocolli di raccolta dati e modelli logico/previsionali che permettano di conoscere la tendenza delle precipitazioni e i loro impatti sul territorio, e rafforzare la collaborazione tra gli Enti in modo da avere priorità di intervento e vincoli di tutela coerenti tra i diversi livelli, con l’obiettivo anche di fornire un quadro costantemente aggiornato dei progetti e dei cantieri in corso.

Non mancano le buone pratiche a cui guardare come modello. Tra queste, ad esempio, il programma di depavimentazione avviato a Milano, partendo da un’analisi delle aree impermeabili esistenti e delle progettualità in corso; a Treviso un importante intervento di riqualificazione idraulica e riapertura ha riguardato il “Canale delle Convertite”. 

Per approfondire QUI

Per la Redazione - Serena Moriondo