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Foto denys nevozhai cPV4Eqs895w unsplashUn’ampia ricerca empirica nella Calabria interna è contenuta nel libro "LENTO PEDE. Vivere nell'Italia estrema" (2023, Donzelli ed.) di Domenico Cersosimo (docente di Economia regionale e Valutazione economica delle politiche all’Università della Calabria) e di Sabina Licursi (professoressa associata di Sociologia generale presso l’Università della Calabria).

La ricerca testimonia che in questi luoghi - "l’estremo dell’Italia estrema" -  si continua ad abitare, a fare progetti, a manifestare bisogni, a sognare. C’è ancora vita. Ci sono famiglie con figli piccoli che hanno deciso di restare. Tanti giovani che hanno scelto di continuare a risiedervi e tanti altri che resterebbero se si creassero le condizioni per fermarsi. E soprattutto ci sono anziani, il più delle volte soli, che restano perché da sempre radicati in quelle terre e che mantengono vive relazioni sociali di prossimità e minute economie. Serve uno sguardo partigiano per riconoscere i cittadini che hanno scelto di restare, la loro voglia di continuare a vivere in contesti appartati, diversamente appaganti.

Serve riconoscere, dare potere decisionale e rappresentanza ai residenti. Serve il coraggio delle sperimentazioni per porre domande alla società intera, perché sostenere la qualificazione della vita in aree rarefatte significa anche rendere meno fragile la ricchezza nelle aree dense. Servono politiche dal basso e dall’alto per far diventare strategie, progetti, azioni le visioni di futuro che maturano anche in questi luoghi.

Le aree marginalizzate non sono spente. Per accorgersene però bisogna adottare altri sguardi, accendere i fari sulla vita che c’è nei paesi “vuoti”, sui bisogni, le attese e le aspirazioni di quanti restano, tornano e, più raramente, arrivano. Pochi, ma sufficienti per autorizzare la speranza che i luoghi rarefatti siano abitabili.

Un'altra pubblicazione che descrive le difficoltà delle e degli abitanti delle aree interne e montane, illustrando al contempo le possibilità legate alle caratteristiche di questi luoghi - possibilità che, grazie ad adeguate politiche, possono rivelarsi delle opportunità per costruire un futuro più sostenibile - è il Position paperLe aree interne e la montagna per lo sviluppo sostenibile”, redatto dal sottogruppo “Aree interne e Montagna” del Goal 11 (Città e comunità sostenibili) di ASviS.

A distinguere le aree interne e montane rispetto al resto del Paese è prima di tutto la grande concentrazione di biodiversità: infatti il 50% dei cosiddetti hotspot di biodiversità si trova in montagna. Sono luoghi dove la flora e la fauna continuano a vivere in un contesto originario e per questo motivo la fragilità dell’equilibrio che garantisce la riproduzione della biodiversità è molto alta. Il documento realizzato dall’ASviS mira quindi a sottolineare la necessità di salvaguardare questa specificità, senza però dimenticare quanto sia importante la convivenza tra insediamenti urbani e natura. È infatti necessario garantire una continuità di produzione sostenibile dei servizi ecosistemici, perché è da essi che deriva la vivibilità sia dei territori montani e interni che di quelli a intenso sviluppo urbano e metropolitano.

In quanto ai rischi, quello maggiore è senz'altro rappresentato dalle profonde disuguaglianze di tipo economico, sociale, territoriale e geomorfologico che vivono gli abitanti delle aree interne e montane. Lo spopolamento, il difficile accesso alla sanità, all’istruzione (sia di primo che di secondo livello) e la mancanza di opportunità lavorative, soprattutto per le giovani generazioni, sono i principali fattori che determinano il dislivello di tenore di vita delle comunità interne e montane rispetto a quelle urbane e situate a valle.

A suo tempo, dal punto di vista metodologico la SNAI (Starategia Nazionale per le Aree Interne) che ha interessato 72 aree, si è mossa su alcune principali innovazioni:

  • ha agito contestualmente sui diritti di cittadinanza e sullo sviluppo, "superando la vecchia logica che vedeva i servizi alla popolazione come variabile dipendente dello sviluppo economico";
  • si è concentrata non su tutto l’universo dei Comuni delle aree interne del Paese, ma solo su alcuni, definiti "aree-progetto" e individuati attraverso un’istruttoria pubblica condotta dal Comitato tecnico e dalle Regioni sulla base delle proposte pervenute dal territorio;
  • ha agito solo sui Comuni organizzati per la gestione associata di funzioni e servizi;
  • ha lavorato secondo un modello di democrazia deliberativa e arene di confronto partecipato;
  • ha lavorato con metodo aperto, un approccio sperimentalista e tecniche di co-progettazione capaci di favorire un processo di apprendimento collettivo di tutte le amministrazioni centrali, regionali e locali coinvolte.

Il PNRR nell'ambito della Missione 5, Componente 3 (Interventi speciali di coesione territoriale) prevede il rafforzamento della Strategia Nazionale per le Aree Interne attraverso misure a supporto dei livelli e della qualità dei servizi scolastici, sanitari e sociali, con un finanziamento complessivo di 825 milioni (sovvenzioni). L'investimento per le aree interne si articola in due sub-investimenti: il Potenziamento servizi e infrastrutture sociali di comunità (725 milioni) e i Servizi sanitari di prossimità territoriale (100 milioni). Il Piano complementare stanzia ulteriori 300 milioni destinati al miglioramento dell'accessibilità e della sicurezza delle strade nelle aree interne.

Il percorso di costruzione della strategia è stato organizzato in fasi di complessità crescente tanto che, oggi, l'Alleanza si domanda se sia sufficiente la definizione attuale di aree interne, che le identifica come le aree significativamente distanti dai centri di offerta dei servizi essenziali indicati nell’istruzione, sanità e trasporti, allo scopo di invertire la tendenza allo spopolamento, di creare nuove opportunità di reddito e assicurare agli abitanti una più ampia possibilità di accesso ai servizi essenziali, migliorando la manutenzione di un territorio caratterizzato dalla presenza di risorse ambientali di pregio e di beni culturali a rischio a causa dei processi di spopolamento. Così definite, le aree interne rappresentano il 58,2% del territorio italiano e una popolazione residente di 14 milioni di abitanti in 4.200 comuni.

Se teniamo conto delle più recenti indicazioni europee che chiedono di prevedere investimenti volti a integrare le zone rurali, montane e periferiche in tutte le politiche, è nell’interesse del Paese una più stringente ed esaustiva definizione di area interna e di montagna, affinchè questa definizione possa davvero essere di riferimento per le decisioni da assumere per le politiche di sviluppo del territorio. A tal fine l'ASviS, a suo tempo, ha avanzato la proposta di stipulare un nuovo patto tra territori di montagna e territori di pianura, ovvero un’Agenda per lo sviluppo sostenibile delle aree interne e della montagna.

* Foto di Denys Nevozhai per Unsplash

Per la Redazione - Serena Moriondo