Il Documento appena pubblicato dal Sistema Nazionale per la Protezione dell'Ambiente (SNPA) illustra il quadro di riferimento del contesto normativo a livello comunitario e nazionale del riutilizzo delle acque reflue urbane.
Le acque reflue, anche dette di scarico, sono utilizzate nelle attività umane, domestiche, industriali o agricole. Sottoposte a specifici trattamenti esse possono essere riutilizzate in tre campi diversi:
- Agricolo: irrigazione.
- Civile: lavaggio delle strade, alimentazione dei sistemi di riscaldamento e raffreddamento, alimentazione delle reti duali di adduzione.
- Industriale: acqua antincendio e lavaggio dei cicli termici.
Il testo della nuova Direttiva Reflui sottolinea infatti l’importanza del ricorso alla pratica del riutilizzo, stabilendo in particolare che “tutti gli Stati Membri saranno tenuti a promuovere sistematicamente il riutilizzo delle acque trattate da tutti gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane”, specialmente in aree ad elevato stress idrico.
Sono, altresì, illustrati i provvedimenti legislativi adottati a livello regionale e provinciale, con particolare riferimento ai protocolli operativi per il controllo degli impianti di depurazione delle acque reflue urbane destinate al riutilizzo presenti sul territorio nazionale, ponendo a confronto le differenti modalità di recepimento delle norme nelle regioni italiane e sottolineandone le peculiarità. Particolare attenzione è stata riservata al processo di sviluppo delle norme di settore, con particolare riferimento al riutilizzo in agricoltura. Una parte del documento è stata dedicata alla definizione del quadro conoscitivo sul recepimento a livello regionale delle norme e ad alcuni casi significativi di riutilizzo dei reflui urbani depurati e affinati. Il documento dedica infine uno spazio specifico ad una rassegna di casi studio di esperienze applicative realizzate in alcune regioni d’Italia (Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Puglia e della provincia di Trento).
Il documento riveste una particolare rilevanza a fronte dell’assenza di piogge che possano reintegrare sufficientemente gli invasi o attenuare il prosciugamento nel tempo di importanti corsi d’acqua, e della siccità estrema che di recente ha indotto un’importante emergenza idrica, in Europa e in Italia. Condizioni che hanno richiamato l’attenzione sull’acqua, come bene naturale non perennemente reperibile.
Fino ad oggi, in Italia, il riutilizzo delle acque reflue urbane ha trovato un’applicazione irregolare e solo in alcune Regioni la materia del
riutilizzo è stata disciplinata, in particolare là dove già scarseggia la risorsa idrica per gli usi destinati al consumo umano oppure
insistono attività produttive idro-esigenti.
Il ricorso a risorse idriche alternative soprattutto per uso non potabile, come nell’industria e in particolare nell’agricoltura (con il riuso irriguo), consente di arginare i problemi di approvvigionamento idrico e, in termini di “sostenibilità ambientale”, consente di attuare il passaggio del ciclo delle acque usate da “ciclo aperto” a “ciclo chiuso”, perseguendo gli orientamenti degli indirizzi europei (Regolamento UE 2020/741, in vigore dal 26 giugno 2023, che disciplina il riutilizzo irriguo dei reflui urbani).
Il Report di SNPA sottolinea come negli ultimi 30 anni si sia assistito ad un susseguirsi di normative comunitarie e nazionali volte ad una crescente attenzione al riutilizzo di acque reflue a tutela della risorsa idrica. Un interesse che è giunto in risposta all’incremento dello sfruttamento dell'acqua per vari scopi, primo fra tutti quello irriguo sia per colture destinate al consumo umano che per quelle destinate al consumo animale.
Il ricorso al riutilizzo deil'acqua reflua urbana depurata - concepito come un approvvigionamento di risorsa idrica alternativo all'estrazione di acqua da falde sotterranee (da pozzi) o al prelievo da quelle superficiali - consente di ridurre le pressioni esercitate sui corpi idrici e/o di compensarne le ridotte disponibilità, apportando anche diversi nutrienti (se utilizzata per irrigare le colture) essendo ricca di azoto e fosforo, ma ha delle controindicazioni di cui tenere conto. L’apporto di questi nutrienti, infatti, deve essere proporzionato ai fabbisogni delle colture irrigate; sovradosaggi possono comportare tossicità per le piante coltivate, nonché inquinamento dell’ambiente circostante, in particolare per la falda e i corpi idrici superficiali. Un accumulo di nutrienti in corpi idrici superficiali comporta poi il problema dell’eutrofizzazione.
L’apporto al suolo di sostanza organica tramite il riutilizzo di acque reflue urbane sembra presentare anch’esso vantaggi e svantaggi: se da un lato è in grado di aumentare la capacità di trattenimento d’acqua da parte del terreno, dall’altro la stessa potenziata capacità di trattenimento può comportare l’accumulo di metalli pesanti e un incremento di salinità nel terreno dannosa per le colture. Un’importante problematica, inoltre, legata al riutilizzo di acque reflue urbane è la potenziale carica patogena; batteri e virus possono essere ancora presenti nelle acque depurate riutilizzate, se non adeguatamente “affinate” (nonché disinfettate), e trasferirsi direttamente o indirettamente sul prodotto coltivato, diventando una minaccia per la salute.
Di qui la necessità di controlli idonei a definire la qualità delle acque reflue urbane opportunamente depurate e affinate prima del riutilizzo, al “punto di consegna”, ma anche in situ, una volta trasportate e reimpiegate nell’irrigazione, da cui scaturisce l’importanza del monitoraggio delle colture prodotte e del suolo irrigato.
Nonostante i benefici connessi ai molteplici possibili impieghi delle acque reflue depurate, non risulta però che ci sia stata una adeguata diffusione della pratica a livello nazionale per una serie di ragioni, tra cui:
- i costi legati all’affinamento delle acque trattate,
- i costi per la realizzazione delle reti per l’adduzione e distribuzione in ambito agricolo delle acque,
- e per quelle che SNPA definisce "barriere socioculturali".
In Italia solo il 4% del volume totale dei reflui depurati, infatti, risulta effettivamente destinato al riutilizzo (principalmente per uso irriguo), quasi esclusivamente nelle regioni del Nord (ARERA, Relazione Annuale sullo "Stato dei Servizi 2020").
Ma l’obiettivo del riutilizzo delle acque reflue urbane depurate è strettamente condizionato dal corretto funzionamento degli impianti di
depurazione pubblici e può rappresentare anche uno stimolo per la progressiva ottimizzazione del funzionamento degli impianti stessi.
Con particolare riferimento al DM 185/2003 che, all’art. 5 riguardante la pianificazione delle attività di recupero delle acque reflue ai fini del riutilizzo, ha assegnato alle regioni il compito di definire un primo elenco degli impianti di depurazione di acque reflue da destinare al riutilizzo, SNPA ha predisposto un elenco della situazione in ciascuna regione.
Si tratta di Leggi Provinciali nel caso della Provincia Autonoma di Bolzano, Leggi o Regolamenti Regionali nel caso delle Regioni Liguria e Puglia, o Piani di Tutela delle Acque, nel caso delle Regioni Veneto ed Emilia-Romagna. Vi sono poi anche Deliberazioni della Giunta Regionale (Toscana) e Decreti Presidente della Giunta Regionale (Sardegna).
RISULTATI
- In 21 anni solo 6 regioni e 1 provincia autonoma risultano aver legiferato in tema di riutilizzo acque reflue.
- Le modalità di riutilizzo previste risultano diversificate da una regione all’altra con una prevalenza di riutilizzo irriguo, ma non trascurabili sono le altre forme di riutilizzo previste di tipo civile, industriale ed ambientale; è emersa anche una forma di riutilizzo ai fini della produzione di energia idroelettrica.
- Per quanto riguarda i controlli di qualità sulle acque depurate, emerge che i “valori limite” da rispettare per la qualità dei reflui nei regolamenti regionali sono corrispondenti a quelli del D.M. 185/2003, anche se nuovi limiti del Decreto Siccità, anche meno restrittivi per taluni parametri, risultano essere ormai vigenti. D’altre parte, poche sono ad oggi le regioni che prevedono controlli sulle colture dove avviene il riutilizzo irriguo, oltre agli accertamenti già assegnati all’autorità sanitaria ex DM 185/2003, mentre soltanto una regione prevede controlli ai suoli.
- Infine, dall’analisi sull’attuale situazione tecnologica degli impianti di depurazione ai fini del recupero di acque reflue si riscontra la
necessità di implementazione di unità di filtrazione ai fini del rispetto dei limiti particolarmente restrittivi sulle concentrazioni di sostanza organica, nonché del raggiungimento di sostenute rese di disinfezione.
* Foto di Ivan Bandura su Unsplash
Per la Redazione - Serena Moriondo