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di Vittorio Cogliati Dezza

comitato scientifico Nuove Ri-Generazioni e coordinamento Forum Disuguaglianze e Diversità 

Mentre inizia la COP29 a Baku, nel contesto di una crisi climatica che marcia più veloce di ogni previsione, l’elezione di Trump ci mette di fronte ad una conferma ed una doppia sfida. La conferma è che la crescita delle disuguaglianze ed il peggioramento delle condizioni di vita di parte del ceto medio e dei più vulnerabili accrescono paure, rabbia verso i “nuovi ultimi”, desiderio di affidarsi a qualche leader salvifico, e favoriscono le destre. È una conferma che pone l’Italia e l’Europa di fronte ad una doppia sfida, climatica e sociale. Lo scetticismo climatico di Trump ed il suo sfegatato sostegno al mondo del fossile insieme al suo protezionismo, infatti, chiedono all’Europa di trovare rapidamente un proprio profilo identitario: autonomo dagli USA, che non sono il modello capitalistico da imitare, come vorrebbe la proposta Draghi, fondato sul pilastro sociale che è alla base del patto europeo, capace di rilanciare il welfare per rispondere ai nuovi bisogni di sicurezza delle persone, lungimirante nell’affrontare le grandi sfide di oggi, tra cui la crisi climatica che morde sempre di più. Oggi più che mai serve un ruolo forte e originale dell’Europa in politica estera, per la pace, nelle politiche industriali, nel rispetto della democrazia e dei diritti delle persone (non solo dei cittadini europei), nella lotta per la giustizia sociale e ambientale e per un Green Deal veloce ed efficace. Una visione insomma non economicista e capace di ridare speranza. Speranza che oggi si misura, oltre che con le “storiche” emergenze del Novecento (lavoro, casa, istruzione, …), con un nuovo grande problema di sicurezza delle persone, delle imprese, del territorio, delle città. Stanno lì a testimoniarlo Valencia (per la quale vale la pena ricordare che il governo regionale di destra aveva nei mesi scorsi sciolto la protezione civile su richiesta di Vox), Bologna e l’Emilia Romagna, la Toscana, Genova, le Marche, Ischia, e, sul versante opposto della crisi climatica, la perdurante siccità in Sicilia.
E se questo non bastasse ce lo dicono i dati del Copernicus Climate Change Service dell'UE, che, nell’ultimo bollettino di ottobre, documenta che il 2024 sarà l'anno più caldo mai registrato con +1.62°C al di sopra della media preindustriale (1850-1900), superando per la prima volta la soglia di +1.5ºC, considerata il limite di sicurezza dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), che aveva previsto si sarebbe raggiunto intorno al 2040. Un limite oltre il quale ogni possibilità di tornare indietro si fa molto più difficoltosa. Siamo di fronte ad una accelerazione imprevista e carica di incognite! Vedremo nei prossimi giorni se la COP29 di Baku saprà tener conto di questa accelerazione.
Intanto sappiamo che la risposta non può venire solo dalla tecnologia. Di fronte ai nuovi bisogni di sicurezza servono politiche pubbliche stabili ed un welfare rinnovato, non elemosine provvisorie contro le povertà, come sta facendo il Governo, dopo che ha smontato il Reddito di cittadinanza. Servono misure strutturali che garantiscano nuova sicurezza alle persone e accompagnino le trasformazioni industriali e occupazionali. Un nuovo welfare-energetico climatico in grado di connettere politiche ambientali e politiche sociali.
Di tutto ciò finora non c’è nulla. Mentre in Europa si rallenta sul Green Deal, in Italia la consapevolezza di questa urgenza è del tutto assente. Il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) non gode di risorse finanziarie certe, solo il Piano strutturale di bilancio di medio termine 2025-2029 dichiara che l’Italia si impegna a stanziare 30 milioni annui, fino al 2029. Una cifra irrisoria, se consideriamo che solo per riparare i danni delle alluvioni che nel 2023 hanno colpito Romagna e Toscana, l’Italia ha speso 11 miliardi di euro, l’equivalente di un terzo della legge di bilancio 2024. Non solo, nel PNRR sono scomparsi i finanziamenti per le città e manca un piano nazionale di prevenzione per la messa in sicurezza da alluvioni e siccità, la vera grande opera pubblica che serve al paese (insieme alle bonifiche dei siti industriali inquinati), mentre si sprecano miliardi per il Ponte sullo Stretto e per inseguire il riarmo mondiale.
Il nodo del welfare energetico-climatico, che non si può ridurre al solo bonus contro la povertà energetica, sarà il fulcro della discussione e delle proposte che il Forum Disuguaglianze e Diversità presenterà a Roma il prossimo 15 e 16 novembre, in una intensa conferenza, che interrogherà le politiche nazionali ed europee e la visione dei diversi soggetti sociali coinvolti: associazioni e movimenti, imprese, sindacati, istituzioni locali. Nella consapevolezza che il governo italiano avrà due scadenze fondamentali nel 2025, il Piano Nazionale per il Fondo sociale per il clima, a giugno, e quello per le Case Green a fine anno, in cui davvero dovrà dire da che parte sta, se da quella delle persone, che vivono in crescente stato di insicurezza, fisica e sociale, perché temono l’impatto della crisi climatica e quello di eventuali politiche socialmente impattanti, o da quello dei poteri più sclerotici del mondo economico nazionale e del rinascente egoismo delle piccole patrie e del perdurante scetticismo climatico in Europa.