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Foto LiguriaDi Federico Vesigna

La pandemia ci ha consegnato una condizione di incertezza che ci trasciniamo da più di un anno.

Incertezza per la nostra salute e per quella dei nostri cari.

Incertezza per il lavoro e per le condizioni economiche.

Incertezza per le relazioni sociali e la loro qualità.

Nella vita di tutti i giorni è diventato di senso comune il fatto che nulla potrà essere più come prima. Non fosse altro perché è cambiata la percezione delle priorità e sono di conseguenza cambiati i bisogni. Il primo effetto del lockdown è la necessità di ripensare gli spazi domestici. Se la casa diventa il luogo dove gli adulti lavorano mentre i figli fanno lezione in DAD, in pratica il luogo dove la famiglia trascorre insieme l’intera giornata, è normale che si trasformi la nostra idea della casa. Per altro il ricorso generalizzato allo smartworking, oltre a cambiare il modo di lavorare, con inevitabili riflessi sul piano delle relazioni, ha svuotato gli uffici, mettendo in ginocchio la rete degli esercizi commerciali che facevano conto sulla pausa pranzo.

Ma molto banalmente la tragedia del covid ha evidenziato la fallimentare gestione del sistema sanitario a trazione ospedaliera e ha fatto capire, a costo di migliaia di vite umane, l’importanza dei presidi sanitari territoriali e il valore di parole come prevenzione ed assistenza domiciliare.

Mentre aspettiamo che la campagna vaccinale ci faccia finalmente uscire dall’emergenza sanitaria, quando cominciamo ad occuparci di tutto il resto?

Solo per fare un esempio, per uscire dall’emergenza economica ed occupazionale, non possono più bastare le misure tampone e, per quanto ce ne sarà ancora bisogno, non ci si può limitare a ragionare di ristori e di blocco dei licenziamenti. Occorre ripensare il modello di sviluppo e di welfare e occorre ripensare il nostro modo di vivere, a partire dal fatto che non c’è futuro se non si pensa al futuro dei giovani.

Il PNRR può diventare un’importante leva di cambiamento, ma se è vero che è indispensabile una forte regia nazionale, la possibilità di spendere bene e in tempo utile le risorse che arriveranno dall’Europa dipende in larga parte dal ruolo da protagonista che sapranno ritagliarsi le amministrazioni locali e le sue comunità. Senza il coinvolgimento della società civile e la partecipazione dal basso si rischia di sprecare un’occasione più unica che rara, anche perché le risorse sono tante, ma sono ancora di più le cose di cui ci sarebbe bisogno. Ecco perché nel vuoto della Politica il criterio della vicinanza con i bisogni delle persone in carne ed ossa può essere l’antidoto.

Una ventina di anni fa il teorico Richard Florida aveva immaginato che il motore dello sviluppo passasse dalle città creative. Quelle città che sanno far convivere Tecnologia, Talento e Tolleranza. Quelle città che sanno attrarre investimenti e cervelli, costruendo le condizioni per coniugare opportunità di lavoro e qualità della vita. È la sfida che ha di fronte ogni comunità e che ogni amministrazione a livello locale dovrebbe affrontare al capitolo rigenerazione urbana.

Cosa vuol dire?

Vuol dire occuparsi del benessere delle persone e del benessere del territorio. Vuol dire partire dai bisogni per creare nuove occasioni di lavoro. Occuparsi di rigenerazione urbana in una regione anziana come la Liguria, vuol dire affrontare il tema del declino demografico.

Come si può immaginare il futuro in una società che invecchia rapidamente, con il 30% di ultrasessantacinquenni e una quota crescente di grandi vecchi, molto spesso non-autosufficienti?

Come si può immaginare il futuro se i giovani che studiano sono costretti ad andare via per trovare lavoro?

Occuparsi di rigenerazione urbana vuol dire riprogettare gli spazi e i tempi delle città. C’è un tema che riguarda la qualità dell’abitare: il superbonus al 110% può migliorare la sostenibilità ambientale di uno dei patrimoni edilizi privati più inefficienti di tutto il centro nord, ma non risolve le difficoltà di tanti anziani prigionieri in casa propria per mancanza di servizi, con case di proprietà che consumano reddito.Ma è tutta la politica della casa a dover essere ripensata, a fronte di una crescente domanda di alloggi in affitto, legata soprattutto alle condizioni di lavoro precario e a basso reddito.

C’è un tema che riguarda la scuola: bisogna superare la logica dei bonus per costruire nuovi posti in asilo nido e rilanciare il tempo pieno alle elementari e alle medie, per migliorare la qualità dell’offerta formativa e offrire qualche opportunità in più all’occupazione femminile (altro pesante tallone d’Achille del mercato del lavoro ligure).

E poi c’è un tema che riguarda la cura del territorio: in una regione martoriata da ricorrenti disastri, quella della lotta al dissesto idrogeologico è una sorta di pre-requisito per continuare a vivere e lavorare.

Non fosse altro perché non si investe dove ti frana il terreno sotto i piedi.

Non so se la soluzione è la città dei 15 minuti. Di certo la prossimità dei servizi ha a che fare con la qualità della vita ed è un potente fattore di promozione dello sviluppo. La competitività di un territorio si misura sulla capacità di garantire servizi di qualità a basso prezzo.

Le imprese vanno dove si arriva agevolmente e dove ci si muove altrettanto facilmente. Le imprese vanno dove si trovano lavoratori preparati e la vivacità del contesto culturale contribuisce ad arricchire il patrimonio di conoscenze individuali e collettive.

Quando si parla di rigenerazione urbana si parla di questo e di molto altro.

È un lavoro complicato che può funzionare solo se si riesce a coinvolgere tutte le anime della società civile. Da questo punto di vista la Liguria può essere un incredibile laboratorio che mette a confronto la complessità delle città metropolitane con l’esperienza di comuni capoluoghi di media dimensione, senza dimenticare il rischio abbandono di cui soffrono le aree interne. Per valorizzare le tante competenze presenti sul territorio sarebbe opportuno ragionare di un Coordinamento Ligure dell’Associazione Nuove Ri-Generazioni con l’obiettivo di aprire un confronto con tutti i soggetti che a vario titolo considerano le politiche di rigenerazione urbana uno strumento di promozione dello sviluppo e del benessere sociale. Siamo assolutamente convinti che la frammentazione del ciclo produttivo e la precarietà del mercato del lavoro impongano al sindacato uno sforzo di ricomposizione dentro e fuori dei luoghi di lavoro.

Ci auguriamo che la sfida della rigenerazione urbana possa rappresentare un’occasione di rilancio delle politiche di contrattazione sociale territoriale e possa favorire un nuovo protagonismo del sindacato confederale.