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Foto saterialedi Gaetano Sateriale

Il PNRR, come è evidente, è un ambizioso e condivisibile programma di rilancio e innovazione del Paese, che prevede alcune riforme che mancano da decenni. È auspicabile che le risorse del PNRR vengano impiegate coerentemente con questo quadro di obiettivi e che non si perdano nei soliti mille rivoli di agevolazioni fiscali (alle imprese o ai cittadini). È compito di ciascuno di noi, in particolare delle organizzazioni sociali (data la latitanza territoriale dei partiti), di verificare che i progetti nazionali e territoriali di realizzazione corrispondano effettivamente agli intenti del PNRR.

Per facilitare questo compito di controllo non passivo, anzi di partecipazione sociale all’innovazione, qualche considerazione critica può essere avanzata, specie in questa fase. Nella speranza che il percorso realizzativo del PNRR possa tenerne conto. 

Proviamo a richiamare alcune obiezioni di merito e una, finale, di metodo.

  1. Per quanto riguarda il Mezzogiorno, certamente il gap di Pil e di lavoro tra centro Nord e Sud è cresciuto in questi anni. Tuttavia la situazione è più complessa e, se possibile, più grave. Vi sono molte aree del Centro Nord in condizioni di crisi e sottosviluppo, con crescita della povertà oltre la media. Vi è spopolamento dei paesi dell’Appennino e abbandono dei territori interni, assieme al degrado delle periferie urbane di recente insediamento. Così come vi sono territori del Sud che sono riusciti a superare il sottosviluppo (soprattutto nei settori alimentare e turistici). Insomma, può risultare molto rischioso separare a priori (per quote legate alla latitudine) le quantità di risorse da investire senza una verifica della necessità e della efficacia dei singoli progetti in qualsiasi area vengano proposti. Nello stesso tempo un’occasione persa non intervenire a riqualificare e rivalorizzare la strategia delle Aree Interne. 
  2. In merito alla Pubblica Amministrazione e la sua riforma, innanzitutto, non ha molto senso mettere insieme settori e servizi radicalmente diversi come la sanità e la scuola (e la polizia o la protezione civile e l’esercito) non c’entrano nulla con le lungaggini, il barocchismo procedurale, il non dover “rendere conto” dell’operare fisiologico della amministrazione dei Ministeri, delle Regioni, degli Enti locali. Se di queste inefficienze si intende parlare, per superarle, la visione riformista proposta dal PNRR è certamente importante ma non determinante di un percorso di innovazione. Assumere nuovo personale competente (o destinare 1000 professionisti pro-tempore alle Regioni) e digitalizzare tutto il digitalizzabile è necessario ma non sufficiente, se non si affrontano due questioni centrali: la finalità dei servizi e l’organizzazione del lavoro che adottano. Non c’è un problema di inefficienza legata alla incompetenza, quel che manca è il “senso” del proprio lavoro e di come lo si deve svolgere. 
  3. La sanità e (parzialmente) la scuola funzionano sull’idea della “presa in carico”. Il cittadino che si rivolge a un medico, a una struttura di medicina di base, a un pronto soccorso può non sapere cos’ha e di cosa ha bisogno. È il servizio che si fa carico di capire le sue esigenze e di mobilitare le competenze necessarie a soddisfarle. Anche la scuola, almeno quella dell’obbligo, assume l’educazione come proprio compito, non come compito del bambino e del ragazzo. La Pubblica Amministrazione funziona a rovescio: è il cittadino che deve presentarsi avendo già chiare non solo le sue necessità quanto le procedure “corrette” per manifestarle, altrimenti viene semplicemente respinto perché non “pertinente” o non “a norma”. In secondo luogo, quando il cittadino segue correttamente le procedure per sottoporre la propria istanza all’amministrazione di riferimento, non incontra quasi mai le competenze necessarie a soddisfarla (o respingerla). Quando fortunatamente le incontra, sono sempre competenze specifiche e separate fra loro. Così il cittadino passa di ufficio in ufficio secondo una sequenza stabilita a priori, incontrando non sempre (anzi quasi mai) la competenza più adatta ma la figura preposta alle “relazioni col pubblico”. Per dirla in breve, non esiste un problema di incompetenza (che può essere sempre migliorata) quanto di divisione verticale delle competenze che non si prendono mai carico collettivamente di un problema e neppure la responsabilità del proprio agire. Quando nel PNRR si parla di “Behaviours” cosa si intende esattamente? 
  4. Se la sanità adottasse un’organizzazione del lavoro simile, fatta di competenze che non comunicano fra loro e di un principio di “irresponsabilità professionale” sarebbe un disastro insensato. Nella Pubblica Amministrazione siamo abituati a tollerare questa distorsione organizzativa perché non ne abbiamo mai conosciuto un’altra. Farsi carico dei problemi dei cittadini e delle comunità e lavorare per funzioni e competenze integrate orizzontalmente per risolverli, questo l’obiettivo e il volano di una riforma attesa da decenni (forse da secoli). Sarebbe auspicabile e utile che fossero le organizzazioni sindacali del pubblico impiego a porre in discussione questi temi. Ma anche questo, purtroppo, non è mai accaduto.       
  5. Per ciò che attiene gli impianti di gestione dei rifiuti, giusta la necessità proposta dal PNRR di realizzare nuovi impianti (ove non esistenti o troppo vecchi). Ma anche qui, il problema principale è l’enorme dispersione delle aziende preposte alla gestione del ciclo rifiuti. La gran parte di affiliazione comunale e al di sotto delle dimensioni necessarie per una conduzione economicamente equilibrata del servizio e quindi quasi sempre in perdita. Sono aziende ancora per la maggior parte nate e cresciute per la raccolta e lo smaltimento in discarica che non sono in grado di gestire i processi necessari di trattamento e riciclo. Per raggiungere dimensioni adatte alla gestione di uno smaltimento e trattamento complessi (nella direzione del riciclo) è necessario superare la dimensione del territorio comunale e questa necessità impatta con le frammentazioni e le disconnessioni dei sistemi di governo territoriale di cui abbiamo parlato.
  6. È giusto e condivisibile l’obiettivo di favorire le occasioni di occupazione per le donne e i giovani che hanno perso lavoro in questi anni o hanno faticato a trovarlo (anche prima della pandemia). Tuttavia, si nota che il PNRR si occupa quasi esclusivamente di interventi di qualificazione dell’offerta di lavoro, come se il problema della bassa occupazione fosse dipendente da una bassa qualità dell’offerta di lavoro. Mentre il problema è quasi l’opposto: una insufficiente dinamica quantitativa e qualitativa della domanda (e delle condizioni di lavoro proposte in termini di orari, retribuzioni, prospettive di carriera, incertezze) che produce l’allontanamento di donne e giovani dal mercato del lavoro italiano. E fenomeni di emigrazione delle maggiori competenze. È la scarsità della domanda che produce disoccupazione ormai cronica, non la bassa qualità dell’offerta. È l’idea di un lavoro povero (che non garantisce prospettive certe di vita) che allontana donne e giovani.
  7. Qualificazione del lavoro e incentivi alle imprese perché assumano, questa la sostanza delle politiche per l’occupazione previste nel PNRR, in grande “coerenza” con quelle degli ultimi decenni, già risultate ampiamente improduttive. Assieme al sostanziale fallimento delle cosiddette “politiche attive del lavoro” che tutto sono tranne che attive. Se nei decenni passati si poteva comprendere il ruolo non promotore del soggetto pubblico per scarsità di risorse, oggi quel profilo passivo in presenza di ingenti investimenti pubblici risulta totalmente miope. L’ingente spesa prevista dal PNRR non può rivolgersi alle sole imprese esistenti, come fosse un “ammortizzatore economico”. Essa produrrà la nascita di nuove imprese di qualità, se legate ai progetti e agli indirizzi del PNRR: e quindi di nuova occupazione di qualità. Insomma, il PNRR è il più grande strumento di intervento sulla domanda di lavoro che ci sia. È qui che bisogna garantire il nesso tra qualità dell’impresa e qualità del lavoro, anche dal punto di vista del senso di appartenenza e partecipazione al piano nazionale di Ripresa e Resilienza. Anche su questo tema assolutamente strategico per il Paese dovrebbe avviarsi una iniziativa delle parti sociali, in specie dei sindacati. 
  8. Si sono mosse molte critiche pertinenti al PNRR, soprattutto sul metodo con cui è stato definito, considerato eccessivamente verticistico e poco partecipato (vedi la nota del Forum Disuguaglianze e Diversità). Tuttavia l’incognita più grande è relativa al percorso realizzativo a livello regionale e sub regionale. Non basta partecipare alla Cabina di Regia nazionale se poi l’”Autonomia regionale” è svolta senza verifiche e senza coordinamento. A maggior ragione nei livelli territoriali sub regionali dove non è chiaro chi esercita funzioni di controllo e di omogeneizzazione degli interventi, specie per i grandi obiettivi di innovazione che devono interessare l’intero Paese. È nostra opinione che per l’applicazione coerente e valorizzante del PNRR si debba sperimentare un percorso di partecipazione diffusa che consenta un dialogo e un confronto concertativo tra organizzazioni sociali e istituzioni di governo. A partire da un protagonismo delle parti sociali (sindacati e imprese). Il Piano Partecipato Nazionale di Ripresa e Resilienza (PPNRR) darebbe maggiori garanzie di riuscita omogenea dei suoi obiettivi.