La “prima bozza” della Conferenza delle Nazioni Unite sul quadro globale per la biodiversità post-2020 inizia così: “The framework aims to galvanize urgent and transformative action by Governments and all of society”, mira cioè a galvanizzare un'azione urgente e trasformativa da parte dei governi e di tutta la società, comprese le popolazioni indigene e le comunità locali, la società civile e le imprese, per raggiungere i risultati stabiliti. La biodiversità e i benefici che offre sono fondamentali per il benessere umano e per un pianeta sano. Nonostante gli sforzi in corso, però, la biodiversità si sta deteriorando in tutto il mondo e si prevede che questo declino continuerà o peggiorerà se il modello di sviluppo economico rimarrà quello attuale. Per questo viene definito un piano ambizioso per attuare un'azione di ampio respiro per trasformare il rapporto della società con la biodiversità e per garantire che, entro il 2050, la visione condivisa di "vivere in armonia con la natura" si possa realizzare.
Il quadro globale sulla biodiversità post-2020 ha strette correlazioni con il Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza e il Protocollo di Nagoya sull'accesso alle risorse genetiche, ed è destinato ad essere utilizzato non solo nell'ambito della Convenzione sulla diversità biologica e dei suoi protocolli, ma anche in altre convenzioni, le convenzioni di Rio, altri accordi ambientali multilaterali, altri processi e strumenti internazionali e la più ampia comunità internazionale. Le decisioni che saranno assunte a ottobre 2021, potranno includere obblighi in materia di rendicontazione, revisione e mezzi di attuazione, mobilitazione di risorse, rafforzamento delle capacità strategiche a lungo termine.
Il quadro è costruito attorno a una teoria del cambiamento che riconosce che è necessaria un'azione politica urgente a livello globale, regionale e nazionale per trasformare i modelli economici, sociali e finanziari in modo che le tendenze che hanno esacerbato la perdita di biodiversità si stabilizzino entro il 2030 e consentire il recupero degli ecosistemi naturali nei successivi 20 anni.
Il documento indica quattro obiettivi a lungo termine da realizzare entro il 2050, ogni obiettivo ha un numero di traguardi corrispondenti (21 in tutto). Le azioni stabilite in ciascun obiettivo devono essere avviate immediatamente, i risultati consentiranno il raggiungimento delle tappe fondamentali del 2030 e degli obiettivi orientati ai risultati per il 2050.
Il primo obiettivo punta all’integrità dei sistemi naturali. A questo proposito, le aree protette dovranno aumentare, tutelando le popolazioni animali e vegetali presenti sul pianeta. Inoltre, il tasso di estinzione delle specie va ridotto di almeno dieci volte (a oggi, 1 milione di specie sono a rischio di estinzione su 8 ml conosciute).
Il secondo obiettivo intende garantire alla collettività i beni e servizi “necessari alla vita umana” attraverso un uso sostenibile delle risorse.
Il terzo fa presente che le risorse genetiche devono essere condivise equamente su scala globale (va mantenuto intatto almeno il 90% della diversità genetica di tutte le specie).
Il quarto prevede di fornire i mezzi finanziari indispensabili per raggiungere questi obiettivi al 2030 e 2050.
A questi quattro obiettivi si aggiungono 21 target da raggiungere entro il 2030, tra cui:
- garantire che almeno il 30% delle aree terrestri e marittime a livello globale venga conservato (si pensa che solo circa il 17% della terra e il 7% dei mari siano protetti);
- ridurre del 50% la quantità di specie aliene introdotte in ecosistemi diversi da quelli di origine;
- arrestare di almeno la metà la perdita delle sostanze nutritive nel terreno (individuando, ad esempio, la quantità corretta di nutrimento per le piante, evitando dispersioni);
- utilizzare le Nature-based solution (soluzioni basate sulla natura, ovvero che utilizzano l’equilibrio ecosistemico per fronteggiare il surriscaldamento globale) per favorire le operazioni di adattamento e mitigazione al cambiamento climatico (in particolare, un terzo delle operazioni di mitigazione globali dovrebbe avvenire tramite questi strumenti). Si prevede inoltre che le soluzioni basate sulla natura – come il ripristino delle torbiere e l'adozione dell'agricoltura rigenerativa (tecnica per rigenerare il suolo sfruttato dalle pratiche agricole intensive e ottenere prodotti sani e di qualità) – potranno contribuire con almeno dieci GtCO2e (gigatonnellate di anidride carbonica) all'anno agli sforzi globali di mitigazione della crisi climatica, una cifra corrispondente a circa un terzo delle riduzioni annuali delle emissioni necessarie per gli Obiettivi al 2030, come ricordato nell’Emissions gap report 2020;
- aumentare le risorse finanziare di almeno 200 miliardi di dollari all’anno per mettere un serio freno alla perdita di biodiversità.
E, dal momento che finora obiettivi chiari e misurabili per indirizzare le politiche pubbliche, non hanno trovato ancora attuazione, gli effetti negativi dell’azione umana hanno iniziato a manifestarsi. E se esiste ancora qualcuno convinto che le conseguenze della perdita di biodiversità siano aspetti lontani dalla nostra vita quotidiana, si sbaglia di grosso.
Roma, ad esempio, nel giro di cinque, dieci anni potrebbe non apparirci più come è ora, con i suoi parchi e i viali di maestosi pini marittimi. L’importanza delle pinete e la loro funzione sono andate a modificarsi nel tempo anche in seguito a mutamenti socioeconomici, ciò ha inciso sulle forme di gestione selvicolturale, ma anche sullo stato sanitario. Sui pini le infezioni riguardano piante soggette, ad esempio, a squilibri idrici, soprattutto nei parchi urbani, per eccessivi ristagni in seguito a innaffiature inappropriate, a drastiche potature o a inquinamento. Più recentemente, i pini marittimi (Pinus pinea) che hanno reso famosa Roma, 11 mila in tutto (che possono vivere fino a 250 anni e arrivare a 30 metri di altezza), stanno morendo a causa della cocciniglia tartaruga (Toumeyella parvicornis), la "peste" dei pini originaria del Nord America e del Canada, arrivata dall’America centrale e dai Caraibi dove ha infestato e ucciso il 95% dei pini locali (Pinus caribaea), alterando il sistema ecologico dell’area. Un danno indiretto della cocciniglia tartaruga è la produzione di una grande quantità di melata, una sostanza densa e zuccherina che costituisce il substrato per la crescita di funghi agenti di fumaggine (funghi saprofiti che si nutrono della melata e formano una patina nerastra che compromette la fotosintesi clorofilliana) che indeboliscono la pianta. La melata, inoltre, ricopre e soffoca la vegetazione del sottobosco, e porta al deperimento vegetativo anche altre piante.
Nel 2014 era in Campania, dove ha attaccato le pinete di Napoli, dell’area Flegrea e del litorale Domizio. Dal 2018 è arrivata a Roma e l’impatto è oramai visibile nella zona dei Colli Aniene, dalla pineta di Castelfusano all’area dell’Appia Antica, da Saxa Rubra a Monte Antenne fino al perimetro del Raccordo Anulare. A rischio ora anche piante che rendono unici al mondo villa Borghese e Villa Pamphilj, via dei Fori imperiali, il Palatino. Tuttavia l’allerta dovrà essere nazionale, perché si è visto che questi insetti allargano rapidamente l’area di infestazione.
Come è avvenuto nel 2012 con la “lebbra degli ulivi”, il batterio Xylella, che ha colpito parte dei 9 milioni di ulivi secolari del Salento. Ma, anche in quel caso, si è scoperto che il CoDiRo, Complesso di Disseccamento Rapido dell'Olivo, non colpiva tutte le coltivazioni allo stesso modo. Chi aveva amato gli alberi, ne aveva movimentato la terra sottostante con l'antica tecnica del sovescio; chi per coltivare aveva rifiutato la chimica perché abbatte le naturali difese immunitarie dell'albero; chi aveva usato solo concimi naturali permettendo che lombrichi vermi ed erba nutrissero profondamente le radici con la loro sostanza organica; chi aveva potato le piante senza mutilarle trattando le ferite da taglio con appositi rimedi; chi aveva utilizzato zolfo (noto sin dai tempi di Omero), e altri fungicidi o battericidi naturali quali calce e solfato di rame su tronco e chioma, aveva esemplari d'olivo rigogliosi e non registrava alcun calo produttivo.
Tutto questo, come si dovrebbe facilmente immaginare, è strettamente correlato al nostro ambiente di vita, alla nostra economia e ha conseguenze negative sulla nostra salute e sul futuro. Lo dimostra l’infausta indicazione data, nel 2015, dall’Osservatorio Fitosanitario della Puglia, che ha invitato gli agricoltori ad adottare misure obbligatorie per il contenimento delle infezioni di Xylella fastidiosa. Nella determina si imponevano operazioni finalizzate alla distruzione delle erbe spontanee, il diserbo su pietre dei muretti a secco, alberi da frutto e ornamentali, campi incolti e persino sulla macchia mediterranea dato che è appurato che l'insetto vettore, la sputacchina, si sposta dalle erbe spontanee essiccate per andare su alberi e arbusti. Questo è il classico caso nel quale “la pezza è peggio del buco”, infatti, diserbando la macchia mediterranea si sarebbe decimata la popolazione delle api, creando un autentico disastro agro-ecologico.
La diffusione dell’ape, ne ha fatto per millenni il principale agente impollinatore delle specie vegetali coltivate. Con il declino drammatico di questa specie si è avuta testimonianza concreta, per la prima volta, di diminuzioni di produzione agricola dovute a deficit di impollinazione. Una terra senza api, infatti, non è più feconda, perché viene meno sia l'impollinazione sia la biodiversità (Fonte: Lista rossa delle api italiane minacciate, IUCN, 2018).
La penisola italiana è posizionata al centro del bacino del Mediterraneo, considerato uno dei 34 hotspots di biodiversità mondiale (Myers et al. 2000; Mittermeier et al. 2004). Gli hotspots sono aree chiave per la conservazione della biodiversità a livello globale, poiché presentano un elevato tasso di specie endemiche, ma sono spesso soggetti ad una forte pressione antropica che causa degradazione e perdita di habitat, con impatti negativi sulla diversità biologica. L’Italia oltre a essere tra i Paesi europei con maggior ricchezza floristica e faunistica, è caratterizzata da elevatissimi tassi di endemismo, ovvero dalla presenza di specie che vivono solo all’interno dei confini italiani. Gli elevati numeri di specie esclusive del nostro Paese comportano una grande responsabilità in termini di conservazione. Sul sito dell’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura, impegnata ad aiuta il mondo a trovare soluzioni pragmatiche per le sfide ambientali e di sviluppo più urgenti, si possono trovare le Liste rosse. Si tratta del più completo inventario del rischio di estinzione delle specie a livello globale.
L’attività umana è il più importante fattore ambientale che influenza il mondo che ci circonda, è indispensabile e urgente collaborare per il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030.
Link: ONU_BOZZA_SULLACCORDO_GLOBALE_SULLA_BIODIVERSITA_5_LUGLIO_2021.pdf
Link: Lista_rossa_delle_api_italiane_minacciate_.pdf
Per la Redazione - Serena Moriondo