di Serena Moriondo
Un interessante articolo pubblicato da due ricercatori indipendenti, Stefania Salmaso e Cesare Cislaghi, sul giornale di attualità e cultura scientifica “scienzainrete”, partendo dai dati pubblicati dall'ISS (Istituto Superiore di Sanità) nell’ultimo bollettino del 12 novembre relativi all'epidemia di Covid-19 divisi per vaccinati e non vaccinati e all’efficacia media dei vaccini nei primi sei mesi dalla seconda dose e quella oltre i sei mesi dalla seconda dose, spiega perché, se si vuole ottenere una crescita della protezione dai contagi ma ancora di più dai ricoveri, sembrerebbe più produttivo cercare di vaccinare chi ancora non si è vaccinato rispetto a somministrare il richiamo a chi ha ricevuto la seconda dose più di sei mesi fa.
Se ci fosse una carenza di vaccini - spiegano i due ricercatori - come purtroppo accade in alcuni Paesi, allora la scelta dovrebbe essere quella di riservare le dosi ai non ancora mai vaccinati. Se invece non c'è carenza né di dosi né di capacità organizzative, allora si devono portare avanti contemporaneamente i due sforzi ma, avendo ben chiaro, che si otterranno maggiori benefici convincendo i non vaccinati a vaccinarsi piuttosto che somministrando i richiami.
Tuttavia, non si devono sottovalutare le differenze di impegno organizzativo per ottenere l'adesione dei non vaccinati rispetto ai già vaccinati, come pure il fatto che per ottenere i massimi benefici della vaccinazione è necessario effettuare due dosi a circa quattro settimane di distanza l’una dall’altra. Queste differenze devono essere valutate nel rapporto tra costi e benefici, costi di convincimento e benefici di effetti evitati, ma anche in termini di disuguaglianze sociali per offrire a tutti la stessa possibilità di comprendere e scegliere gli effetti della vaccinazione.
L’ascolto e la possibile risposta ai dubbi o difficoltà di chi ancora non si è vaccinato sono dunque doverosi, anche in vista di ulteriori allargamenti dell’offerta di vaccinazione ai bambini sotto gli 11 anni e su questo punto un’importante contributo dovrebbe essere garantito dai medici di medicina generale nei territori, cosa che, inspiegabilmente salvo le solite eccezioni, non sta avvenendo.
Ciò detto, personalmente penso che sia necessario che il Governo prenda atto delle difficoltà culturali e organizzative del Paese e assuma una decisione che tuteli, in primo luogo, la salute pubblica e con essa la nostra quotidianità, dato che è oramai chiaro a tutti che nuove restrizioni (lockdown) avrebbero conseguenze negative ancor più rilevanti, rispetto al primo impatto, sulle persone (soprattutto giovani e anziani), sulle attività produttive e sull’ambiente.
Per questo hanno ragione i ricercatori quando indicano prioritarie campagne d’informazione convincenti, perchè è importante far conoscere alla popolazione il fatto che il tasso di ospedalizzazione, per i non vaccinati, è di circa sette volte più alto rispetto ai vaccinati (con ciclo completo da meno di sei mesi) e che, la qual cosa, mette a rischio di tragiche conseguenze non solo le persone infette, ma anche chi si prende cura di loro come gli operatori sanitari che non reggerebbero una terza ondata di contagi negli ospedali e chi ha dovuto rinunciare da molti mesi alle prestazioni assistenziali ambulatoriali, a interventi chirurgici o alle cure domiciliari.
Penso sia ora di premiare il senso di responsabilità di quel 90% della popolazione che ha completato il ciclo vaccinale e sciogliere definitivamente il nodo dell’obbligo vaccinale, se cioè esistono gli estremi per rendere obbligatorio il vaccino, sia esso a vettore virale oppure con il principio mRna (Pfizer e Moderna), non solo quindi per chi lavora in sanità.
Penso che sia una strada di ripiego ma anche l’unica che avremo se, in presenza di un agente patogeno endemico, continueranno le proteste ingiustificate di coloro che definiscono questa situazione una "dittatura sanitaria", non solo rifiutando la prevenzione per sé stessi ma ostentando il diritto di esercitare una libertà di scelta che, potenzialmente, è in grado di provocare contagi ad altri (dal bollettino ISS "Nuove infezioni da virus SARS-CoV-2 in Italia. In aumento il numero di casi tra gli operatori sanitari come nel resto della popolazione ").
In tal caso, al di là dell’indispensabile riconoscimento da parte dell’ Ema e dell’Aifa del vaccino, come è avvenuto negli Stati Uniti, come farmaco ordinario e non più emergenziale (almeno per le persone con età superiore a 16 anni) e di una regolamentazione per Legge (cosa che del resto in Italia già accade con riferimento a numerose altre malattie e in Austria sta avvenendo anche per il Covid-19) è evidente che lo Stato potrebbe rendere obbligatorio, e sanzionabile, un comportamento solo se sarà in grado di creare le condizioni per permettere ai cittadini di ottemperare a quell’obbligo.
Nell’Italia arlecchino dove non sono garantiti ovunque neppure i LIVEAS, i Livelli essenziali delle prestazioni sanitarie “ordinarie”, questa potrebbe risultare davvero una mission impossible.
La riprova? Dopo due anni di emergenza sanitaria il disegno di legge di bilancio 2022, dal punto di vista finanziario, non sembra dare luogo a un effettivo rafforzamento strutturale del SSN, ma sarebbero piuttosto confermate le precedenti scelte di allocazione delle risorse, che ponevano l’Italia tra i Paesi europei con spesa sanitaria meno elevata e in progressiva riduzione.
Inoltre, si avvicina il termine per l’approvazione della Riforma dell’assistenza territoriale prevista dal PNRR (entro l’anno) ma, al di là dei documenti elaborati dal gruppo di lavoro Stato-Regioni coordinato da Agenas (il più recente è di fine ottobre “Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale”), il confronto che il Governo avrebbe dovuto promuovere e che avrebbe dovuto coinvolgere, accanto alle istituzioni (Governo, Regioni, Comuni), le organizzazioni sociali e sindacali, finora non c’è stato.
Difficile essere convincenti quando si è i primi a fare scelte sbagliate che andranno a indebolire, ulteriormente, il sistema pubblico di tutela della nostra salute.
Importante la mobilitazione dal basso promossa da oltre cinquanta organizzazioni sociali - tra cui CGIL-CISL-UIL, Forum Disuguaglianze Diversità, Gruppo Abele, ecc. - per il 2 dicembre a Roma dal titolo "Il PNRR e la riforma dell’assistenza socio sanitaria territoriale: la tutela della Salute e la Cura nei luoghi della vita quotidiana".
Link: assemblea-2-dicembre-PNRR-sociosanita-territoriale-d.pdf