contattaci2
Chiamaci: 06 441 146 25
Scrivici una e-mail
area riservatacerca
cercaarea riservata
logo rigenerazioni NEWS 800x100 trasparente

FOTO GIOVANI disoccupazione neet 625x350 1570685957L’Agenda Onu del 2015 vincolava a una sostanziale riduzione, entro il 2020, dei NEET, ovvero i giovani che non studiano, non lavorano e non seguono percorsi di formazione (NEET è l'acronimo inglese Neither in Employment nor in Education or Training), sono persone che spesso vivono in una condizione di disagio ed esclusione sociale.

Invece sono oltre tre milioni (un giovane su quattro).

L'andamento dei dati mostra che nel 2018 in Italia i NEET tra i 15 e i 29 anni erano pari a 2.116.000 e rappresentavano il 23,4% del totale dei giovani della stessa fascia d'età presenti sul territorio. Ma già nei primi anni di studio del fenomeno l’Italia presentava livelli più elevati della media europea: nel 2007 era il 18,8% contro media UE del 13,2%. Il fenomeno si è poi aggravato durante gli anni della crisi economica, toccando l'apice nel 2014 (26,2%) per poi cominciare a diminuire (25,7% nel 2015, 24,3% nel 2016, 24,1% nel 2017).

Dopo la Turchia (33,6%), il Montenegro (28,6%) e la Macedonia (27,6%), nel 2020 l’Italia con il 25,1% è il Paese con il maggior tasso di NEET in Europa.

Osservando i dati per fasce d’età è possibile osservare che nella fascia di età scolare (15-19 anni) i NEET italiani sono il 75% in più della media europea; nella fascia di età universitaria (20-24 anni) i NEET italiani sono il 70% in più della media europea. Con riferimento alla dimensione di genere, come avviene in altri Paesi europei, anche in Italia si registra una marcata differenza a scapito delle donne.

I dati presentati hanno subito negli ultimi mesi brusche variazioni dovute all’impatto della pandemia da Covid-19. A livello internazionale Eurostat e OCSE delineano un aggravamento per quanto riguarda l’occupazione femminile: in Italia una donna su due non lavora e il 25% delle ragazze con meno di 30 anni non lavora, non studia e non cerca un’occupazione (delle 8,6 milioni di donne in questa condizione in Europea, un terzo appartiene all’Italia).

Alta è la quota di giovani che escono prematuramente dal sistema di istruzione e formazione dopo aver conseguito al più il titolo di scuola secondaria di primo grado. Nel secondo trimestre 2020, in Italia, il percorso formativo si è interrotto molto presto per il 13,5% dei giovani tra 18 e 24 anni. 

La situazione resta estremamente critica per il concentrarsi di tre elementi: alti tassi di abbandono scolastico vero e proprio, uniti a molte ripetenze; alto numero di ragazzi che, anche quando promossi, hanno bassi livelli di competenze; e una forte concentrazione della povertà educativa minorile, secondo l’Indice di povertà educativa (IPE), intesa sia come condizione di povertà multidimensionale all’inizio della vita sia come prolungamento dell’esclusione per mancanza o debolezza di politiche e dispositivi compensativi presenti davvero e costanti nel tempo.

Si tratta - come ha fatto rilevare tramite analisi e proposte il ForumDD -  di una crisi strutturale, condanna all’emarginazione sociale e all’esclusione culturale almeno un quarto dei minorenni; comporta un abbassamento del livello culturale dell’intera società, contribuendo a produrre maggiore spesa pubblica, generando marginalità e conflitto sociale e condizionando negativamente la partecipazione democratica di tutti e, infine, genera una perdita di coesione territoriale e sociale e di crescita economica per l’intero paese.

Il fenomeno dell’uscita anticipata dal sistema di istruzione e formazione preoccupa, soprattutto, in termini di disuguaglianze. Attraverso l’esame dei dati del 2019 si conferma, ancora una volta, come la prosecuzione nel percorso formativo, le competenze apprese e le scelte successive sono determinate ancora in maniera elevata dal contesto socio-economico di provenienza. Per esempio, il titolo di studio dei genitori condiziona fortemente la riuscita scolastica e la permanenza nel sistema di istruzione e formazione. 

Nel 2018, un sondaggio condotto da Demopolis per Oxfam sulla percezione delle disuguaglianze in Italia mostrava come i cittadini avvertano una forte necessità di agire sulla disuguaglianza (l’80% degli intervistati considerava prioritarie le politiche di lotta alla disuguaglianza). Ma la situazione non è cambiata se non in peggio. Negli ultimi 20 anni, si è allargata la forbice tra l'1% più ricco e il 90% più povero della popolazione: per i primi la quota di ricchezza è passata dal 17% al 21% del totale mentre la quota del 90% più povero si è ridotta di 11 punti percentuali, passando dal 55% al 44%, in peggioramento.

COPERTINA PIANO NEETAlla fine di gennaio il ministero delle Politiche giovanili, in collaborazione con il ministero del Lavoro e delle politiche sociali, ha lanciato il piano “Neet working che ha l’obiettivo di ridurre il numero di giovani NEET, attraverso una strategia in tre mosse: emersione, ingaggio e attivazione. In allegato una sintesi del provvedimento.

Il 3 marzo, l’editorialista del Corriere della Sera, Dario Di Vico, ha criticato il provvedimento ravvisando la mancanza di soluzioni innovative ed efficaci:La strategia di Garanzia Giovani - egli scrive - a suo tempo rappresentò un fallimento, nel migliore dei casi fu una fabbrica di tirocini senza successiva stabilizzazione. Riproporla cambiandole nome e inventando l’acronimo Gol di per sé sposta assai poco”.

L’Italia, rispetto agli obiettivi dell’Agenda 2030, non solo non ha nuovamente rispettato i propri impegni ma ha subito un forte arretramento.  Dopo la mancanza di un piano straordinario di interventi per le persone anziane e non autosufficienti, una seria azione di contrasto culturale ad ogni forma di esclusione e violenze verso le donne,  parlare dei NEET come di una "generazione perduta" è un'ulteriore grave responsabilità.

Torniamo con i piedi per terra, riconnettiamoci al Paese reale.

Link: Piano_NEET_-2022.pdf

Per la Redazione - Serena Moriondo